Cass. pen., Sez. V, 18 ottobre 2016, n. 44089 (est. De Gregorio)
Massima:
L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all’art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità del soggetto passivo.
Il caso:
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Bari ha confermato la decisione di primo grado nei confronti dell’imputata, che l’aveva condannata a pena di giustizia per il delitto di abbandono di persone incapaci nei riguardi del padre.
La ricorrente ha lamentato l’errata applicazione dell’art. 591 c.p., avendo la Suprema Corte mal interpretato la disposizione incriminante, che sarebbe integrata dal pericolo per l’incolumità fisica derivante dall’inadempimento dell’obbligo di assistenza, obbligo nel caso di specie non gravante sull’imputata in quanto il padre non era affidato alla sua custodia.
Ricognizione:
La Suprema Corte ribadisce preliminarmente che il presupposto materiale del delitto di cui all’art. 591 c.p. è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità dei soggetto passivo.
Dunque, trattasi di norma posta a tutela della sicurezza personale intesa quale valore etico – sociale. E nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene; obblighi desumibili dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte, anche allorquando la derelizione sia solo relativa o parziale.
Alla luce di tale inquadramento dogmatico del reato oggetto di esame, deve considerarsi pienamente condivisibile il percorso motivazionale adottato dai giudici di merito.
Più precisamente, il primo giudice ha correttamente individuato in capo alla ricorrente un dovere giuridico di cura in riferimento all’anziano padre; dovere configurabile attraverso un’interpretazione sistematica delle norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (artt. 2 e 3 Cost.).
Il quadro valoriale delineato dalla Costituzione, teso al riconoscimento del valore fondamentale della famiglia, alla cui unità, stabilità e benessere anche i figli devono contribuire, è completato dalle norme del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori (in particolare, art. 315bis c.c.), che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento, operando in tal caso la disciplina di cui all’art. 433 c.c.; infine, a completamento di tale quadro normativo, devono citarsi le norme contenute nel codice civile sull’amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l’attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi (in particolare artt. 406 e 417 c.c.).
Sulla scorta di tali considerazioni, deve ritenersi non accoglibile il ricorso presentato dall’imputata, configurandosi in capo alla stessa uno specifico dovere di cura del genitore anziano, dovere provvisto di adeguato fondamento costituzionale e codicistico.
Riferimenti normativi: artt. 2, 3, 29, 30 Cost.; artt. 315bis ss., 404, 406, 417, 433 c.c.; art. 591 c.p.