Come l’Enterprise che, uscendo dalla velocità a curvatura, compare all’improvviso nello spazio sconfinato che la circonda stagliandosi tra le puntiformi luci stellari, così la Cassazione Penale riaffronta la tematica dell’omissione di ufficio da parte di quei medici che svolgono la funzione di guardia medica territoriale.
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11085 del gennaio 2024 è ritornata sulla questione.
Fatto
Un medico che aveva assunto l’incarico di medico di guardia territoriale è stato condannato dalla Corte di Appello per omissioni di atti di ufficio in quanto aveva rifiutato di eseguire la visita domiciliare presso un paziente. La telefonata di richiesta di visita giunse da parte della moglie del paziente. Dalla registrazione della conversazione, secondo quanto riportato in sentenza, la signora aveva riferito al medico di avere già contattato in precedenza la guardia medica e richiedeva la visita domiciliare in quanto il marito a) aveva dolori fortissimi addominali, che si estendevano alle mani, con formicolio e non passavano, b) aveva vomito e diarrea, c) era molto pallido e sudatissimo. La guardia medica poneva come diagnosi di gastroenterite al telefono e non riteneva necessaria la visita domiciliare. Successivamente il quadro clinico risultò essere un infarto che portava al decesso il paziente. La Corte di appello, confermando la sentenza di primo grado, aveva escluso che la condotta di tipo omissivo del medico avesse causalmente cagionato la morte del paziente anche sulla base di una perizia collegiale. Il procedimento di secondo grado si concludeva con la condanna per rifiuto di atti di ufficio, in virtù della registrazione della telefonata.
Diritto
Gli Ermellini specificano che il medico, assumendo il servizio di guardia medica, incardina la funzione di pubblico ufficiale ed integra “il delitto di rifiuto di atti di ufficio la condotta del sanitario in servizio di guardia medica che, pur richiesto, decida di non eseguire l’intervento domiciliare urgente per accertarsi delle effettive condizioni di salute del paziente, nonostante gli venga prospettata una sintomatologia grave, trattandosi di un reato di pericolo per il quale a nulla rileva che lo stato di salute del paziente si riveli in concreto meno grave di quanto potesse prevedersi.”.
L’omissione di atti di ufficio, nel caso in discussione, è un reato di pericolo, tanto che lo stato di salute del paziente nulla rileva ai fini della sua realizzazione.
È ben chiaro in sentenza che il ruolo del medico di guardia assume, come sempre, quel valore di garanzia a tutela del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 della Costituzione, fine ultimo dello Stato nelle modalità con le quali organizza l’assistenza al cittadino. Difatti, l’omissione di atti di ufficio rientra tra i delitti contro la pubblica amministrazione, in quanto è sanzionata la violazione di doveri imposti e, di conseguenza, il rifiuto consapevole alla visita in assenza di altre esigenze di servizio.
È molto utile sottolineare come i Giudici della Cassazione penale, in questa sentenza, richiamino due criteri, in forza degli elementi di prova disponibili, su cui bisogna riflettere assai attentamente:
a) la ragionevolezza, come elemento che il giudice deve adottare nella valutazione della condotta del medico che, ricevendo le informazioni sullo stato di salute per via telefonica, discrezionalmente decide di omettere la visita sulla base della sintomatologia riferita e della propria esperienza, ricollegandosi al fatto concreto;
b) l’inequivocità della gravità di allarme in riferimento alla sintomatologia ingravescente;
Il nocciolo della sentenza
Rimarca, infatti, la sentenza: “In sostanza, il delitto è integrato ogniqualvolta il medico di turno, pubblico ufficiale, a fronte ad una riferita sintomatologia ingravescente e alla richiesta di soccorso, che presenti inequivoci connotati di gravità e di allarme, neghi un atto non ritardabile, quale appunto quello di un accurato esame clinico volto ad accertare le effettive condizioni del paziente”.
Quello che abbiamo qui definito “criteri” sono basati sulla interpretazione dell’art. 13 del DPR n. 41 del 25 gennaio 1991 “Accordo collettivo nazionale per la regolamentazione dei rapporti con i medici addetti al servizio di guardia medica ed emergenza territoriale, ai sensi dell’art. 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833.”, che fissa compiti e obblighi del medico.
Non vi è quindi scusante al rifiuto di una visita domiciliare là dove:
- non si è in presenza di altri obblighi di servizio, come il carico di lavoro e lo stare già attendere ad altre visite domiciliari;
- i sintomi riferiti sono ingravescenti e presentino connotati di gravità;
- manchi, nel fatto concreto, quella ragionevolezza nel rifiuto alla visita domiciliare desumibile dallo specifico contesto e dai protocolli sanitari applicabili, tra i quali ben potrebbero essere inclusi quelli previsti dalla ASL in capo a cui ha riferimento il servizio stesso.
Qui potete leggere e scaricare l’intera sentenza: