Si ritorna sulla responsabilità da danno erariale del medico, ma questa volta vogliamo portare all’attenzione del lettore la sentenza della 2° sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello della Corte dei Conti, che con la sentenza n. 275/2023 affronta il tema di divergenze giuridiche derivanti dai giudizi in ambito penale e contabile, in modo particolare in merito all’assenza dall’ospedale per motivi contrattuali e obbligo di informarsi delle condizioni del paziente prima di uscire dall’ospedale.
Il fatto
Un paziente sottoposto ad intervento di colecistectomia laparoscopica da un’equipe chirurgica sviluppava nel post-operatorio ittero, febbre e debolezza, caratterizzandosi così un decorso anomalo, che spinse i curanti al trasferimento del paziente presso altra struttura ospedaliera. Qui, fu individuata la lesione del coledoco, scambiato per il dotto cistico che fu erroneamente chiuso e lesionato con apposizione di una clip. Nonostante le cure del caso, il paziente andava incontro all’exitus.
Il giudizio penale
In conseguenza a tale fatto si originava un procedimento penale, che in primo grado dava luogo alla condanna penale per aver cagionato la morte del paziente a causa di una condotta ritenuta negligente, imperita, imprudente ed inosservante delle regole e delle prescrizioni della scienza medica. Tale condanna fu nuovamente confermata in secondo grado, per poi divenire definitiva con il rigetto del ricorso in Cassazione proposto dai chirurghi, nonostante uno dei chirurghi si fosse allontanato dall’ospedale per motivi contrattuali.
Parallelamente al processo penale di primo grado era instaurato un procedimento civile di richiesta danni, che vedeva connati i tre chirurghi in via solidale ed anche la struttura sanitaria, così obbligandoli al risarcimento del danno, ripartendolo tra i corresponsabili. Anche in questo caso, la Corte di Appello confermò la sentenza civile di primo grado.
La vicenda davanti alla Corte dei Conti
A seguito degli esborsi patiti dalla struttura sanitaria, la Procura contabile chiamava a dedurre i tre chirurghi ritenendoli responsabili del danno erariale avanti alla Corte dei conti della Lombardia. In questa seda i Giudici contabili rigettavano l’atto di citazione per difetto di nesso eziologico, così specificando: “la condanna che ha determinato l’esborso dell’Amministrazione che la Procura intende recuperare…non consegue alla condotta illecita dei medici dipendenti della struttura sanitaria per l’errore chirurgico, ma alla responsabilità della struttura stessa per fatto proprio, ossia per le proprie carenze organizzative e inadempienze”.
Di tali inadempienze, pertanto, non potevano essere chiamati a rispondere i medici.
La Procura contabile propose appello avverso tale sentenza, così giungendo il caso alla Sezione Giurisdizionale Centrale d’Appello.
La sentenza della Corte Giurisdizionale Centrale d’Appello appello
La Corte Centrale di Appello riteneva l’appello parzialmente fondato.
Nell’analisi della vicenda giudiziaria il Collegio giudicante prendeva atto della condanna penale e della sentenza civile, con la relativa CTU, che individuava nel post-operatorio “…una ingiustificata lentezza nell’approntare gli esami, a fronte dei segnali univoci di malessere della paziente, quanto agli esami specialistici eseguiti, sostanzialmente insoddisfacenti (ecografie piuttosto che TAC) e, quindi, all’assistenza prestata in reparto, tutti elementi idonei a integrare una responsabilità diretta anche in capo a detto Nosocomio nel corso di tale successiva degenza protrattasi, inutilmente, per ben quattordici giorni”.
Inoltre, era rilevato come il giudice contabile di primo grado avesse escluso che quello all’esame fosse un danno indiretto perché non conseguente alla condotta illecita dei medici dipendenti, ma dipendesse dalla “…responsabilità della struttura stessa per fatto proprio, ossia per le proprie carenze organizzative e inadempienze. Di tali inadempienze i convenuti non sono responsabili e non possono essere chiamati a rispondere”.
In appello si smentisce il giudice di I grado in tema di responsabilità aziendale
Il Collegio dell’Appello ritenne tale conclusione frutto di un errore di giudizio in quanto:
- è indubbio, infatti, che anche il danno che il giudice civile ha imputato all’Azienda per fatto proprio (ritardi o inadempienze) sia stato comunque causato da soggetti legati all’Amministrazione da rapporto di servizio o di funzione, così facendo ritornare il danno erariale nell’alveo di quello indiretto;
- il giudice di primo grado in modo acritico imputava la ingiustificata lentezza ed il ritardo nel riconoscere l’errore chirurgico a fatto proprio dell’Azienda, là dove tale ingiustificato attendismo costituisce un ulteriore riscontro di imperizia, fatto questo riconosciuto anche dal giudice penale;
- in tema di causalità, dunque, una volta che l’equipe chirurgica abbia concluso l’atto operatorio in senso stretto, qualora il decorso post-operatorio riveli situazioni anomale e possibili complicanze, ha l’obbligo di non disinteressarsi del paziente e di attuare le cure e gli interventi che un’attenta diagnosi consigliano. Ciò in linea con il giudice penale, che censurava l’attendismo negligente nel decorso post-operatorio, così individuando il nesso causale con il decesso del paziente;
- la sentenza penale irrevocabile, a cagione dell’art. 651 c.p.p., dopo dibattimento (La relatività esiste anche nel diritto… con qualche eccezione) ha efficacia di giudicato nel giudizio contabile, ma tale efficacia è limitata alla sussistenza del fatto reato nella sua dimensione fenomenica, dovendo piuttosto il giudice contabile verificare, oltre alla riferibilità dell’evento dannoso alla condotta del soggetto agente, anche la sussistenza dell’elemento psicologico richiesto per la responsabilità amministrativa;
Sulla base di tali presupposti, la sezione di appello puntualizzava che la Corte territoriale avrebbe dovuto quantomeno esternare le motivazioni logico-giuridiche che l’avevano indotta a imputare il danno erariale per cui è causa a esclusiva responsabilità propria dell’Azienda ospedaliera. Pertanto, il Collegio di appello ritenne viziata la sentenza di primo grado e giudicò sussistente il nesso causale tra la condotta dei chirurghi e il danno erariale.
Non è colpa grave se te ne vai per motivi contrattuali
Fatto interessante, però, è che il Collegio di appello non ritenne sussistente la responsabilità contabile a carico di uno dei chirurghi coinvolti, che al termine del proprio turno lavorativo, per motivi contrattuali, si allontanò dell’ospedale e non si informò delle condizioni del paziente, fatto sanzionato nella sentenza penale.
La sentenza di appello della Corte dei conti richiama una affermazione della Corte di appello penale che affermava: “pur non essendo presente in ospedale per motivi contrattuali nel periodo immediatamente post-operatorio, avrebbe dovuto comunque tenersi informata sulle condizioni della propria paziente e monitorare i primi segnali delle complicanze a cui la stessa stava andando incontro”.
Per la sezione di Appello della Corte dei conti tale condotta non è connotata da colpa grave e il giudizio penale non è applicabile nel contesto della responsabilità contabile in quanto: “Il parametro di riferimento per valutare la sussistenza di una condotta gravemente negligente è rappresentato dagli obblighi di servizio e dalle regole di condotta che siano ex ante ravvisabili e riconoscibili dal soggetto come dovere di ufficio”.
La Corte di Appello, negando la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa grave, così specifica: “Non è revocabile in dubbio che…, “non essendo presente in ospedale per motivi contrattuali nel periodo immediatamente post-operatorio”, possa non aver percepito come dovere di servizio quello di informarsi, anche solo telefonicamente, sulle condizioni di salute della OMISSIS o di tenersi in contatto con il reparto. La condotta posta in essere da…nel periodo post-operatorio, pertanto, non può essere imputata a “evidente e marcata trasgressione degli obblighi di servizio” e alla “inosservanza di quel minimo di diligenza richiesto nel caso concreto”, che la giurisprudenza richiede perché un comportamento “censurabile” integri gli estremi della colpa grave. Il giudizio di riprovevolezza della condotta, infatti, si deve basare su un quid pluris rispetto ai parametri di cui agli art. 43 c.p. e 1176 c.c., che nella fattispecie in esame non è configurabile“.
Ancora una volta dicotomie
Emerge quindi una dicotomia difficilmente comprensibile per chi non è esperto dei due rami del diritto: quello penale che richiede sempre al medico una doverosa attenta condotta (su cui non si discute), visto l’obbligo di garanzia nei confronti del paziente, che si tramuta però in perplessità se tale condotta è richiesta anche quando non si è in servizio, di fatto astrattamente obbligandolo sempre e comunque ad essere al capezzale del paziente, apparentemente senza pause e senza poter confidare nei Colleghi, nel personale sanitario-infermieristico e nell’organizzazione della struttura in cui lavora, quasi richiedendogli di snaturare il proprio essere; da quello della Corte dei conti, che probabilmente restituisce la realtà ad una condizione più umanizzante per tutti gli operatori sanitari inseriti in un contesto strutturale ospedaliero.
Anche questo è un aspetto su cui riflettere, che attiene alla gestione del rischio clinico che deve attuare le dovute misure di sicurezza nelle cure.
La sentenza affronta anche le questioni relative alle normative introdotte a causa dell’emergenza pandemica COVID-19 e della retroattività della legge 24/2017, ma queste sono altre storie che per ora lasciamo al lettore.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza completa: