Abstract
Fin dall’alba della moderna Psichiatria, l’esistenza dei disturbi dissociativi (DD) è stata oggetto di un acceso dibattito tra gli esperti (LINK).
Molti Studi supportano l’ipotesi che i DD nascano da traumi gravi e ripetuti occorsi durante l’infanzia, mentre gli scettici sostengono che i sintomi dissociativi siano artefatti del trattamento psicoterapico stesso o siano indotti dalle condizioni socio-culturali di vita dei pazienti.
. . . .
Ciò che è noto è che questi disordini producono spesso quadri clinici bizzarri, che nel tempo hanno ispirato scrittori e registi che hanno creato una miriade di personaggi fittizi, ma anche dato notorietà a persone reali, sedicenti portatori di personalità multiple, che ne governerebbero a turno il pensiero e le azioni.
Discernere ciò che è reale da ciò che è finzione non è di secondaria importanza nel caso in cui i soggetti affetti da disturbo dissociativo dell’identità commettano dei reati: è possibile stabilire con certezza l’infermità mentale o il rischio di simulazione è troppo alto? e ancora, se la responsabilità penale è personale, a quale delle personalità che vivono nel criminale è possibile attribuire il delitto?
.
Disturbi dissociativi e DSM-5
In accordo con il DSM-5, i disturbi dissociativi (DD) sono caratterizzati dalla frammentazione della normale integrità di coscienza, memoria, identità, emozioni, percezione, rappresentazione corporea, controllo motorio e del comportamento; essi includono cinque fattispecie: il disturbo dissociativo dell’identità, l’amnesia dissociativa, il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, altri DD specificati e il DD non specificato.
I sintomi dissociativi sono descritti come
- a) involontarie intrusioni nella coscienza e nel comportamento, accompagnate da perdite di continuità dell’esperienza soggettiva e/o;
- b) la inabilità di accedere ad informazioni o di controllare funzioni cognitive che sono normalmente di immediato accesso o controllo (per es. amnesia).
Tali disturbi si associano ad un aumento del rischio di comportamenti auto-lesionistici e suicidiari.
.
Il Disturbo Dissociativo dell’Identità (Dissociative Identity Disorder, DID)
I criteri diagnostici per il DSM-5 sono rappresentati da:
- A. frammentazione dell’identità caratterizzata da 2 o più distinti stati di personalità, che possono essere descritti in certe culture come una esperienza di possessione; la frammentazione dell’identità determina una marcata discontinuità nel senso del Sè e delle proprie azioni, accompagnata da alterazioni conseguenti di comportamento, consapevolezza, memoria, percezione, cognitività e/o funzionamento motorio; i sintomi possono essere osservati da terzi o riportati dal paziente;
- B. gap ricorrenti nel ricordare eventi della quotidianità, informazioni personali anche importanti e/o eventi traumatici;
- C. i sintomi causano distress clinicamente significativo o alterazione del funzionamento sociale, occupazionale o in altre importanti aree della vita quotidiana;
- D. i disturbi eccedono quanto comunemente accettabile in relazione al contesto culturale e religioso del paziente; nei bambini, i sintomi non sono imputabili alla ricorrenza di “amici immaginari” o altri giochi di fantasia;
- E. i sintomi non sono attribuibili all’effetto di sostanze psicotrope o ad altre condizioni mediche (per es. crisi comiziali parziali complesse).
Il DID è un disturbo complesso, a sviluppo post-traumatico. Il DSM-5 specificamente colloca i disturbi dissociativi dopo il capitolo dei disturbi da trauma e da stress, riconoscendone la correlazione.
Il core sintomatologico del DID è solitamente accompagnato da altre manifestazioni psichiatriche che sono quelle che in genere inducono il paziente a cercare aiuto presso i professionisti: possono essere presenti disturbi del tono timico, ansia, disordini alimentari, somatizzazioni, dipendenza da sostanze.
Il paziente spesso nasconde al proprio terapeuta i sintomi dissociativi perché se ne vergogna, così come fatica a rivelare la esistenza di traumi nel proprio passato.
.
Il DID come fenomeno mediatico
Il primo caso di DID fu descritto da Paracelso nel 1646. Dopo un progressivo e stabile incremento dei report di DID durante il XIX secolo, l’interesse per l’argomento scemò all’inizio del XX secolo a causa di una serie di fattori, tra cui la morte di Jean-Martin Charcot (che aveva a lungo studiato i disturbi “isterici”) e alcuni scandali per presunti rapporti sessuali tra i pazienti e i propri terapisti.
Da quel momento e fino agli anni ’70 l’interesse per il DID fu soppiantato da quello per un “nuovo” disturbo psichiatrico, la schizofrenia.
Fu solo negli anni ’70 che i media tornarono prepotentemente a parlare del DID a causa di libri di grandissimo successo, come Sybil di Flora Rheta Schreiber, nel quale era descritto il trattamento di Sybil Dorsett, paziente affetta da DID, da parte della sua psicoanalista, la dr.ssa Cornelia B. Wilbur. Ma l’acme della celebrità per il DID fu raggiunta alla fine degli anni ’70 con la storia di Billy Milligan.
.
Il caso “Billy Milligan”
William Stanley “Billy” Milligan (1955-2014) è stato il primo criminale nella storia giudiziaria statunitense ad essere assolto perché giudicato affetto da una patologia psichiatrica che lo rendeva non responsabile dei reati commessi.
Nell’ottobre 1977 Milligan – che aveva alle spalle una lunga storia di psicopatologia (con allucinazioni uditive, amnesie e tentativi di suicidio), alcuni ricoveri in cliniche psichiatriche fin dall’adolescenza e vari arresti per reati violenti – rapì, violentò e rapinò tre studentesse della Ohio State University.
«Adesso mi rendo conto […] che quando la polizia venne a prendermi a Channigway, in realtà non sono stato arrestato. Sono stato salvato. Mi dispiace che delle persone abbiano dovuto soffrire prima che ciò accadesse, ma mi sento come se dopo 22 anni alla fine Dio avesse deciso di sorridermi.» |
Billy Milligan, dal libro “The Minds of Billy Milligan” di Daniel Keyes, 1981 |
Durante il processo, fu posta diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità, con l’individuazione di ben 24 personalità differenti. Il nucleo eziologico della patologia fu identificato nel pesantissimo passato di abusi prolungati e ripetuti che Milligan avrebbe subito ad opera del patrigno. Il caso divenne immediatamente un fenomeno mediatico eccezionale, che per molti anni tenne gli Stati Uniti incollati agli schermi televisivi, con accesi dibattiti tra i sostenitori della diagnosi e gli scettici, anche tra gli psichiatri. A seguito di numerosissime testimonianze e relazioni psichiatriche, Milligan fu giudicato «non colpevole per infermità mentale».
.
Il Giudice, pur confermando la responsabilità oggettiva dell’imputato per i reati di cui era accusato, giunse alla conclusione che all’epoca dei fatti Milligan non fosse nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e che quindi non fosse consapevolmente colpevole delle proprie azioni.
Seguirono anni di cure in diversi istituti psichiatrici, periodi di relativo benessere (grazie alla parziale “fusione” di alcune delle personalità) e gravi ricadute. Milligan morì all’età di 59 anni per una forma aggressiva di sarcoma.
Questa storia è stata recentemente ripresa da una docuserie di Netflix (I 24 volti di Billy Milligan), contenente lunghi spezzoni di interrogatori ed interviste a Milligan e alle persone che hanno gravitato attorno alla sua vita e al processo.
Alcuni altri lavori cinematografici precedenti (si pensi a Split del regista M. Night Shyamalan) hanno tratto liberamente ispirazione dalla storia di Milligan, cedendo tuttavia alla tentazione di attribuire al protagonista le caratteristiche di “genio del male” e togliendo in tal modo complessità ad una vicenda umana che è stata dolorosissima, da qualsiasi punto la si guardi.
.
Il caso “Azzolini”
In Italia si registra un caso di disturbo dissociativo dell’identità accertato in giudizio.
Si tratta del caso di Marco Azzolini, tecnico audiometrista, 47 anni all’epoca dei fatti. L’uomo nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 2003 a Rovereto uccise a colpi di ascia e di martello il padre e la madre durante quello che i periti descriveranno come un episodio confuso-onirico di disfunzione dissociativa sfociato nell’omicidio dei genitori.
Soltanto la mattina successiva Azzolini si sarebbe reso consapevolmente conto che il ricordo della notte precedente non era un incubo ma che il duplice omicidio era stato da lui realmente commesso.
L’uomo rimase in casa un paio di giorni, poi si diede alla macchia, lasciando i cadaveri in iniziale stato di decomposizione. Dopo un mese circa fu arrestato nei pressi di Castelnuovo del Garda (VE) mentre dormiva nella propria auto, con due pistole e vari coltelli.
Dopo la sentenza di non imputabilità per infermità totale di mente, l’uomo – considerato socialmente pericoloso – è stato ricoverato presso l’allora ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia e successivamente trasferito a Castiglione delle Stiviere (MN).
.
Lo scetticismo nei confronti dei Disturbi Dissociativi nella psichiatria moderna
Negli anni ’90 si alzarono le prime voci scettiche nei confronti dei Disturbi Dissociativi. In quegli anni, infatti, si iniziò a parlare di “Sindrome della Falsa Memoria” (False Memory Syndrome, FMS) a causa di un gruppo di persone che erano state accusate dai propri figli – con l’avvallo di specialisti psichiatri – di violenza sessuale. Queste persone denunciarono i clinici per malpractice e/o alienazione parentale, sostenendo che essi avessero “impiantato” false memorie di abuso e creato disturbi dissociativi iatrogeni ai figli.
Tale teoria, difesa da una schiera di avvocati e di loro esperti, divise per anni gli Stati Uniti.
Essa, pur avendo un seguito considerevole anche tra gli psichiatri, non fu mai validata clinicamente. Un solo articolo, pubblicato nel 1999 su The Journal of Psychiatry & Law, ha cercato di descrivere le caratteristiche di quelle che sarebbero le vittime della FMS: si tratterebbe di persone con disturbi di personalità, prone a assumere il ruolo di “vittima”, inclini a cercare in cause esterne la spiegazione ai propri problemi; essi avrebbero storie psichiatriche di lunga data, comprensive di disturbi post-traumatici da stress, somotoformi, e dissociativi.
.
Le evidenze scientifiche sui Disturbi Dissociativi
A partire dagli anni ’80 si è realizzato un accumulo crescente di ricerche sui disturbi dissociativi, corredate da strumenti testistici per i pazienti pediatrici, adolescenti e adulti.
L’utilizzo di tali strumenti in popolazioni eterogenee, con studi condotti in US, Canada, Cina, Europa, America Latina, Giappone, Korea, Israele, Turchia, Taiwan, Australia e Nuova Zelanda, ha identificato popolazioni di pazienti con DD appartenenti a contesti culturali profondamente diversi.
I test includono la Dissociative Experiences Scale (DES), la DES-Taxon Scale (DES-T), la Adolescent DES (A-DES), la Dissociative Disorders Interview Schedule (DDIS), la Clinician Administered Dissociative States Scale (CADSS), e la Structured Clinical Interview for DSM Dissociative Disorders (SCID-D).
Grazie all’uso di questi test è stato documentato come punteggi alti nelle scale diagnostiche si associassero a pazienti con gravi esperienze traumatiche acute e/o croniche.
Le popolazioni studiate sono costituite da vittime di abuso e maltrattamento pediatrico, violenze sessuali in età adulta, prigionieri di guerra, vittime di torture, traffico di esseri umani, genocidi, persone con storia di ripetute procedure mediche dolorose, incidenti stradali e disastri naturali.
Le conclusioni a cui gli Autori sono giunti sono che traumi precoci e massivi, così come i disturbi dell’attaccamento (specialmente il pattern di attaccamento disorganizzato, tipo D), sono altamente predittivi di punteggi elevati alle scale standardizzate di misurazione dei disturbi dissociativi, e di conseguenza correlano in maniera proporzionale con la probabilità di una diagnosi di Disturbo Dissociativo in età giovanile o adulta.
.
Traumi pediatrici e Disturbo Dissociativo dell’Identità
Ogni studio che abbia esaminato la questione della genesi del DID ha riscontrato una altissima frequenza di eventi traumatici in età pediatrica, usualmente prima dei 6 anni di età, nella storia dei pazienti con diagnosi di DID, molto più alta rispetto a quella osservata in qualsiasi altra popolazione di pazienti psichiatrici.
In 10 studi sul DID, la ricorrenza di abusi sessuali in età infantile è stata rilevata nel 70-100% dei casi (mediana 83%); maltrattamento fisico nel 60-95% dei casi (mediana 81%); entrambi nel 77-100% (mediana 94%). Frequentemente questi pazienti avevano subito abusi per molti anni da molteplici perpetratori.
Dal 92% al 100% dei pazienti con DID riferisce ideazione suicidiaria ricorrente. Il 60-80% ha una storia di tentativi anticonservativi. Il 78% ha messo in atto comportamenti auto-distruttivi.
.
Disturbo Dissociativo dell’Identità e Infermità Mentale
Il riconoscimento del DID quale motivo di non imputabilità per infermità mentale è controverso.
Sostenere l’incapacità di intendere e di volere per DID è sempre valutato con sospetto, a causa della possibilità che i sintomi dissociativi siano esagerati o addirittura simulati dalla difesa.
Infatti, pur essendo di piana evidenza che sperimentare uno stato dissociativo può ridurre la capacità di un individuo di comprendere il significato delle proprie azioni e di controllare i propri impulsi ad agire, la credibilità di tale linea difensiva è limitata dal fatto che molto spesso la fonte primaria delle informazioni sul verificarsi dei sintomi dissociativi è l’imputato stesso.
La storia giudiziaria statunitense, più ricca di casistica rispetto a quella italiana, insegna che il tentativo di ottenere la mancata condanna “by reason of insanity” nei casi di asserito DID raramente ha avuto successo.
In una review dei casi giudiziari in cui il DID fu invocato quale motivo di “not guilty by reason of insanity”, al 2011 le Corti di Giustizia avevano riconosciuto la validità di tale ipotesi esclusivamente nel caso Milligan.
Tentativi di utilizzo del DID come motivo di “not guilty by reason of insanity” (NGRI) negli Stati Uniti fino al 2011 (il DID in passato era chiamato multiple personality disorder, MPD), da Farrell HM 2011.
.
Storicamente sono state utilizzate molte tecniche per valutare la genuinità dei sintomi di DID, incluso il poligrafo (la “macchina della verità”) il quale trae le proprie basi dall’assunto che le persone involontariamente manifestino risposte emozionali e fisiologiche quando stanno mentendo. É stato tuttavia dimostrato che il poligrafo è fallace e può essere ingannato dall’alterazione indotta dall’assunzione di farmaci o dalla mera immaginazione.
Gli esperti forensi attualmente utilizzano un approccio multidisciplinare e un’ampia batteria di test per la valutazione giudiziaria del DID: lo studio del linguaggio verbale e non-verbale dell’imputato, la somministrazione di interviste strutturate, quali la Structured Inventory of Malingered Symptomatology, e di strumenti testistici validati sono indispensabili per discernere i casi reali dalle simulazioni.
Solo la convergenza delle evidenze può deporre per la genuinità dei disturbi dissociativi, la cui reale influenza sulla capacità di intendere e di volere nel momento del delitto è poi tutta da dimostrare caso per caso.
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
Leggi anche: È successo di nuovo: la storia senza fine delle sparatorie di massa negli Stati Uniti (e non solo)