La Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 17703 del 07.06.2024 ha chiarito nuovamente come la violazione al diritto di autodeterminarsi è un danno differente da quello da lesione alla integrità psicofisica e come tale deve essere invocato dal paziente nella sua richiesta risarcitoria.
Il fatto
La vicenda giudiziaria nasce a seguito di un intervento di chirurgia toracica che aveva l’obiettivo di rimuovere un nodulo programmando con il paziente un intervento in endoscopia. Il chirurgo, in luogo del concordato intervento, intervenne mediante una toracotomia (nella sentenza è presente l’avverbio inopinatamente) e ad una asportazione del nodulo mediante lobectomia sinistra, senza aver prima effettuato un esame istologico intraoperatorio estemporaneo. All’esame istologico il nodulo non risultò di natura neoplastica, ma conseguente probabilmente ad un precedente trauma fratturativo costale.
Il paziente mosse causa e si vide riconosciuto in primo grado un danno biologico permanente del 12%, ma non il risarcimento per la violazione del diritto all’autodeterminazione.
Non soddisfatto, il paziente fece ricorso in appello, ma anche in questa sede fu confermata la percentuale di danno biologico del 12% e fu negato il risarcimento per la violazione del diritto all’autodeterminazione. A questo punto fece ricorso in Cassazione nei confronti sia del medico che dell’Azienda Ospedaliera.
Le decisioni della Cassazione
Gli Ermellini rigettarono sia le doglianze del ricorrente, che le motivazioni del controricorrente e del ricorrente incidentale, non entrando nel merito del 12% ma specificando, nuovamente, i principi che sono alla base del risarcimento da danno biologico permanente e da violazione del diritto all’auto determinazione.
Infatti, uno dei motivi del ricorrente risiedevano nel fatto che la percentuale di danno biologico riconosciuto era errata in quanto non era il frutto di “una sommatoria delle percentuali previste dalle singole menomazioni compiendo una stima unitaria del danno, comprensivo del danno estetico e alla vita di relazione, negandogli anche una personalizzazione in aumento”.
Come oggi è ben noto, il danno biologico permanente è l’espressione di un giudizio di sintesi, complessivo e nella ordinanza di cui si discute il principio è nuovamente ribadito nei seguenti termini: “E’ corretta, peraltro, la valutazione globale dei postumi psicofisici effettuata dalla corte d’appello per stimare il danno biologico riportato, in conformità ai principi più volte enunciati da questa Corte, secondo i quali anche in caso di plurime menomazioni, è necessario giungere ad una valutazione globale della loro incidenza sulla residua capacità biologica del soggetto (in questo senso, tra le altre, Cass. 28990 del 2019)”.
Per quanto attiene alla personalizzazione, gli Ermellini hanno nuovamente specificato: “..le circostanze di fatto esposte non caratterizzassero la posizione del ricorrente rispetto a quella di altri danneggiati nella medesima situazione post-operatoria, non risultando accertata atro che una forma di ansia reattiva di grado lieve”.
La personalizzazione non c’entra col danno biologico
Pertanto, è bene sottolineare nuovamente come gli esiti dolorosi e le ripercussioni ordinarie di una menomazione sono parte integrante del danno biologico permanente. Solo se questo incide su un aspetto del tutto peculiare su attività proprie e coltivate dal danneggiato si potrà invocare una personalizzazione. La stessa ansia reattiva di grado lieve fa parte di un esito del tutto attendibile e ordinario di natura post-operatoria, riflessione questa che deve portarci ad aprire un nuovo capitolo: quello del danno psichico, che a rigore deve essere dimostrato, documentato, là dove non è la clinica che fa il danno, ma la sua ripercussione sulle ordinarie attività quotidiane sugli aspetti sociali, lavorativi, ludici, famigliari, ma questo è un altro argomento ed è meglio che ci fermiamo qui (per ora).
La violazione dell’autodeterminazione è tutt’altra cosa
Ora arriviamo al principio risarcitorio legato alla violazione del diritto all’autodeterminazione. Nell’ordinanza è riportato che se la doglianza in merito al consenso informato rientra come elemento concorrente a determinare l’inadempimento alla base del danno biologico richiesto, non vi è alcun diritto ad un’autonoma posta risarcitoria. In altre parole “l’inadeguata informazione preoperatoria…è stata tenuta in conto nel valutare l’inadempimento del medico e le sue conseguenze sulla persona del paziente.”. E’ necessario che il paziente, il ricorrente, introduca una azione autonoma “volta all’accertamento del diritto alla propria autodeterminazione, scisso dalle ricadute di tale carenza informativa sulla salute del soggetto leso.”.
Ne deriva che l’inadeguata informazione, per assurgere a posta autonoma di risarcimento, deve essere alla base di una azione autonoma di richiesta di danno e non meramente essere il fondamento concorrente di una inadempienza da cui far derivare una conseguenza psico-fisica di natura iatrogena.
PS: la prestazione sanitaria ebbe inizio nel 2003, l’ordinanza di Cassazione è del 2024. Fate Voi i conti.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’ordinanza della Suprema Corte