Le regole generali
In questo articolo si vuole partire considerando un presupposto noto sulle regole di accertamento della responsabilità professionale medica. Essa, soprattutto per quanto riguarda la struttura (debitrice di prestazione d’opera), è di natura contrattuale, per cui, una volta allegato (e non dimostrato) l’inadempimento idoneo a cagionare il danno da parte del paziente presunto danneggiato (creditore), nonché il nesso causale tra essi[i] [ii], la prova liberatoria positiva richiesta consiste nel dimostrare l’esatto adempimento (la prestazione sanitaria) e la riconducibilità del danno ad un evento esterno (estraneo) non imputabile: quello che si definisce “la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione”[iii] [iv] [v].
Il primo costituisce un “fatto costitutivo del diritto”, il secondo un “fatto estintivo del diritto”. L’interesse primario tutelato del paziente creditore corrisponde alla guarigione, l’oggetto della prestazione sanitaria consiste nel diligente svolgimento della prestazione professionale, ossia nel rispetto delle leges artis. Quindi, l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione e “il difetto di diligenza consiste nell’inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività alla quale il debitore è tenuto”[vi].
Un sistema che tutela gli interessi del paziente
Il medico, nell’adempimento delle obbligazioni inerenti alla propria attività professionale, è tenuto a una diligenza qualificata (ex art. 1176, c. 2), che comporta il rispetto di quelle regole che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica e che comprende la perizia, da intendersi come “conoscenza e attuazione delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione”[vii].
L’aspetto cruciale della questione è che, nella prospettiva del paziente, l’aspettativa è quella di un trattamento medico consono alla diligenza professionale qualificata (conforme alle leges artis), che però non equivale al raggiungimento di un risultato (ad esempio la guarigione), ma alla garanzia di un mezzo affidabile (la cura).
Il sistema è concepito per tutelare gli interessi prevalenti del paziente danneggiato e questo segue una logica del tutto condivisibile e accettabile, ma in un sistema in cui le prestazioni sanitarie sono tutte inquadrabili come di “normale complessità”.
Esiste, tuttavia, un’ipotesi particolare di esclusione della responsabilità del debitore per colpa lieve (la scusante non vale in caso di dolo o colpa grave), nei soli casi in cui la prestazione richiede la soluzione di un problema tecnico di speciale difficoltà (ex art. 2236).
Quando la prestazione può definirsi di speciale difficoltà
Si pone, dunque, un interrogativo: quale prestazione sanitaria può definirsi di speciale difficoltà?
La giurisprudenza fornisce alcune delucidazioni di carattere generale.
La mera complicanza non qualifica una speciale difficoltà[viii] e deve essere dimostrata dal medico e/o dalla struttura[ix]. Essa, per essere definita tale, ricomprende non solo “la necessità di risolvere problemi insolubili o assolutamente aleatori, ma anche l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media, o che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza”[x]. Tale valutazione può riferirsi esclusivamente all’ambito della perizia, non potendo immaginarsi che la copertura giuridica possa essere estesa anche alla negligenza e all’imprudenza, per le quali si risponde anche per colpa lieve[xi].
È opinione diffusa, nella comunità medico-legale, che per il giudizio sulla speciale difficoltà ci si debba riferire soprattutto alla seconda parte della criteriologia fornita nella sentenza sopracitata: casi clinici che non siano ancora adeguatamente studiati dalla scienza, per cui l’inquadramento diagnostico-terapeutico è ancora incerto (o, addirittura, ignoto). L’esempio frequentemente richiamato è la gestione del COVID nei primi mesi della pandemia.
Ma siamo sicuri che la speciale difficoltà sia solo quella?
In quali casi dovrebbe, invece, essere considerata “l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media”?
Si vuole, a questo punto, proporre uno spunto riflessivo sulla lesione iatrogena in corso di intervento chirurgico o procedura interventistica.
In questi casi, il metro di valutazione civilistica della responsabilità professionale medica porta inevitabilmente ad inquadrare la prestazione medica come qualcosa di atteso, in cui il risultato positivo è dato per “scontato” e dove l’evento avverso viene a priori interpretato come errore e diventa oggettivamente impossibile reinterpretarlo come complicanza.
Ma questo non corrisponde sempre al vero.
Occorre compiere uno sforzo mentale per confrontare, ad esempio, due differenti ipotesi di intervento di chirurgia addominale – il primo eseguito in elezione, il secondo eseguito in urgenza – complicati entrambi da una lesione iatrogena della parete intestinale, cui segue una peritonite con evoluzione settica fatale a breve distanza. Per entrambi è prevedibile un giudizio tecnico espresso in ambito peritale orientato verso una responsabilità per presunto errore tecnico, per cui non sarà possibile dimostrare che si sia trattato di un evento inevitabile e per cui non si ravviseranno i presupposti della speciale difficoltà.
Siamo così sicuri che sia sempre così?
Situazioni elettive e di urgenza/emergenza
Innanzitutto, occorre distinguere la situazione elettiva per la teorica possibilità di approfondire ogni singolo fattore potenzialmente pericoloso (precedenti chirurgici, anamnesi positiva per patologie in grado di determinare quadri aderenziali), valutando le migliori modalità e vie di accesso ed eventualmente predisponendo misure atte a ridurre al minimo il rischio operatorio. In un simile frangente è plausibile, quantomeno in termini di preponderanza causale, attribuire un eventuale lesione iatrogena ad un difetto di tecnica chirurgica per imperizia, piuttosto che qualificarlo come evento avverso non altrimenti evitabile. Tale logica valutativa, a parere del sottoscritto, può anche essere giustificata, sul piano giuridico, come assunzione del rischio da parte del prestatore d’opera (il medico e la struttura), che, nel prendersi in carico quel paziente, è chiamato a rispondere di eventuali inadempienze in quanto garante della tutela di un diritto ad essere curato con gli standard di sicurezza previsti.
Proviamo, però, ad immaginare se quello stesso intervento sia eseguito in regime di emergenza, in un paziente magari non conosciuto o non adeguatamente indagato dal punto di vista anamnestico, che tuttavia richiede necessariamente un trattamento urgente non procrastinabile poiché in pericolo di vita, e che presenta un quadro aderenziale e di fragilità della parete (su base ischemica) che, da un punto di vista chirurgico, indubbiamente facilita il verificarsi di una lesione iatrogena.
I casi con elevata quota di rischio non prevedibile
Entro quale limite può essere circoscritta la tutela del diritto alla salute (e al risarcimento del danno) del paziente, senza addossare ingiustamente quote di rischio non prevenibile su chi materialmente non può sottrarsi alla sua gestione?
Decidere di eseguire un intervento in elezione può, per certi versi, portare a farsi carico di una quota di rischio in eccesso non prevedibile (ma prevenibile), proprio perché, nel momento in cui diventa evidente lo sbilanciamento con gli oggettivi benefici che ne possono derivare, si può soprassedere dall’esporre il paziente ad un’inutile sproporzione per lui del tutto sfavorevole.
Ma questo non è quasi mai possibile quando ci si trova in una situazione di urgenza/emergenza, in cui l’intervento non può essere procrastinato e dove la quota di rischio non prevedibile è più elevata, al punto che spesso non può essere neppure valutata a priori la sua prevenibilità.
La domanda da porsi è la seguente: quando un intervento complesso per un clinico diventa complesso anche per un medico-legale, chiamato a tradurre tale concetto in un’ottica giuridica?
Se si domanda, ad esempio, ad un cardiochirurgo di elencare alcuni interventi tecnicamente complessi, questo risponderà citando la sostituzione valvolare in un contesto di precedente endocardite destruente o una aneurismectomia ventricolare. Ovviamente, non tutti gli interventi appena citati possono essere inquadrati come “di speciale difficoltà”; ma siamo così sicuri che in nessun caso possa sussistere, ad esempio, l’esigenza di affrontare problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, che richiedano un impegno intellettuale superiore alla media?
Sia concessa, a questo punto, una riflessione conclusiva.
L’attività medica è come quella aereonautica?
Il campo della medicina viene spesso paragonato a quello dell’aereonautica per quanto riguarda l’importanza della prevenzione del rischio.
Questo è assolutamente corretto solo laddove non ci si dimentichi che tra i due ambiti sussiste una differenza fondamentale.
In aereonautica, il rischio è gestito attraverso l’adozione di tutte quelle norme e procedure che, se applicate, consentono di evitarlo in modo certo, eliminando ogni possibile errore umano e circoscrivendo al minimo la residua quota di rischio ineliminabile. Laddove permanga una quota di rischio non eliminabile (o non calcolabile), è facoltà della compagnia non far decollare l’aereo, sottraendosi così ad un assai probabile concretizzazione sfavorevole per i passeggeri.
In medicina, talvolta, tale scelta non può essere operata, poiché non ci si può sottrarre alla necessità di tutelare la salute psico-fisica di un paziente, garantendogli una cura. E spesso ci si trova a gestire un rischio non valutabile a priori, perché non legato al funzionamento di aereomobili (il cui impiego giustifica anche una responsabilità indiretta da malfunzionamento del prodotto), ma a eventi naturali non completamente prevedibili e/o prevenibili.
Riflessioni conclusive
Lo spunto riflessivo appena proposto non vuole in alcun modo assurgere a scriminante generica per l’attività medica priva di alcun fondamento pratico (si ricorda, in tal senso, che anche per gli interventi complessi è comunque prevista una responsabilità per colpa grave e che nei casi di negligenza e imprudenza non è, comunque, mai prevista alcuna scusante); semmai, stimolare una discussione sul tema della qualificazione colposa dell’errore, giudizio che non può in alcun modo prescindere da un’attenta valutazione del caso concreto e che vede il consulente tecnico medico legale chiamato ad esprimersi in un ambito finora poco sondato, con pareri che – si passi il gioco di parole – in alcuni casi potrebbero addirittura essere qualificati “di speciale difficoltà”.
[i] Cass. Civ. 07/03/2019, n. 6593
[ii] Cass. Civ. 02/09/2019, n. 21939
[iii] Cass. Civ 25/07/2017, n. 18392
[iv] Cass. Civ. 11/11/2019, n. 28991
[v] Cass. Civ. 31/08/2020, n. 18102
[vi] Cass. Civ. 09/11/2006, n. 23918
[vii] Cass. Civ. 13/01/2005, n. 583
[viii] Cass. Civ. 22/11/2012, n. 20586
[ix] Cass. Civ. 13/10/2017, n. 24074
[x] Cass. Civ. 31/07/2015, n. 16274
[xi] Cass. Civ. 13/01/2005, n. 583