Con la sentenza 3016/2025 del 6-2-25 (Presidente De Stefano, Relatore Rossetti) la III Sezione Civile della Corte di Cassazione ha forse scritto la parola fine ad una serie di vertenze giudiziarie, accompagnate da un dibattito intenso in sede medico-legale, sull’indennizzabilità o meno dell’infezione da Covid 19 in ambito di polizza privata infortuni, negandola in modo assoluto.
La vicenda processuale
Il contenzioso riguardava la morte di un medico di medicina generale avvenuta durante la pandemia Covid 19 a causa della suddetta infezione virale, che era assicurato attraverso una convenzione stipulata con Enpam.
Una prima sentenza del tribunale di Torino aveva dato ragione agli eredi del medico riconoscendone l’indennizzabilità equiparando i dettati di polizza a quanto stabilito dall’INAIL in materia.
La Corte d’Appello della medesima città aveva invece preso decisione contraria stabilendo che la polizza privata non poteva essere equiparata alla normativa INAIL, che il rischio morte da infezione non era coperto contrattualmente, che non poteva applicarsi l’art. 1370 del Codice Civile, che l’infezione non costituiva “causa violenta” e che la polizza prevedeva l’esclusione delle conseguenze delle infezioni al di fuori da quelle provocate da morsi da insetti, esclusa la malaria, e da animali.
La sentenza veniva impugnata dagli attori e si giungeva, quindi, alla pronuncia della Suprema Corte.
Le decisioni della Cassazione
Esaminiamo la sentenza seguendo le prospettate censure dei ricorrenti tutte respinte dagli Ermellini
Il dubbio
Non esisteva, nel caso di specie, a giudizio della Corte d’Appello e anche della Cassazione, alcun “dubbio” interpretativo sui contenuti della polizza secondo un apprezzamento fattuale che solo i Giudici potevano stabilire. Quindi, nel caso in termine, l’art. 22 del contratto per il quale, in caso appunto di ambiguità di clausole la decisione doveva pendere forzatamente a favore dell’assicurato, non era applicabile.
Mi ammalo…non mi infortuno
Così sinteticamente aveva deciso la Corte d’Appello. La polizza presentava due diverse definizioni per il caso “infortunio” e per quello “malattia” e, quindi, secondo la Cassazione, erano anche diversamente disciplinati. La mancanza di “causa violenta” nella genesi qualificava l’infezione come malattia e la differenza tra questa e l’infortunio non stava nelle conseguenze degli eventi ma nella loro essenza definitoria.
Giudizi francamente pienamente condivisibili anche se poi i Supremi Giudici, forse per una svista, cadevano in un errore da matita rossa quando affermavano che “Anche un infortunio, infatti, può provocare una malattia (una ferita lacero-contusa può provocare il tetano); così come una malattia può provocare un infortunio (l’osteoporosi può provocare una caduta e una frattura)“. Per tutti i medici-legali è ovvio che l’osteoporosi non causa l’infortunio ma concausa la lesione che deriva da un fatto infortunio per cui il sinistro non è indennizzabile in quanto la causa non è da considerarsi come diretta ed esclusiva.
La polizza infortuni non è equiparabile alla Legge che regola gli infortuni sul lavoro tutelata dall’Inail
Qui la Suprema Corte è chiarissima quando sostiene che “la logica giuridica non si basa sulle assonanze; ed è dogmaticamente scorretto ritenere che princìpi giuridici affermati a determinati fini ed in determinate materie, oltretutto caratterizzate da principi informatori speciali e da discipline specifiche, siano liberamente esportabili in utroque iure“.
Le argomentazioni della Suprema Corte, sul tema, appaiono altrettanto difficilmente scalfibili. Infatti, riassumendo i concetti contenuti nella pronuncia:
- La tutela in ambito INAIL delle infezioni contratte sul lavoro, stabilita anche dalla giurisprudenza, derivava dal fatto che del DPR 1124 del 65, le “malattie professionali” erano solo quelle presenti nell’elenco previsto dalla disposizione di Legge.
- Quando poi la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità della nota tabella delle malattie professionali, tutte le infezioni contratte sul lavoro divennero indennizzabili e ciò determinò l’irrilevanza giuridica della differenza tra il’evento infortunio e quello malattia.
- I rischi assicurati dall’Inali sono stabiliti dalla Legge e non tra parti private come accade nella polizza infortuni Nel contratto assicurativo privato l’elemento centrale è rappresentato dalla volontà delle parti, che appare chiara dalla lettura del contratto, quando l’infortunio viene definito, in quanto tale definizione, appunto, escludeva l’infezione se non prodotta da causa violenta.
- Nelle assicurazioni private l’assicurazione contro gli infortuni e quella contro le malattie costituiscono rami diversi anche perché tutelano rischi altrettanto diversi.
Covid 19 malattia tropicale?
I ricorrenti insistevano sul fatto che i Giudici dell’Appello avevano scarsamente argomentato sul fatto che la copertura si estendeva anche alle “malattie tropicali” e che l’infezione pandemica, per la diffusione internazionale, poteva essere considerata tra queste. La Suprema Corte, asserendo correttamente che non esiste alcuna norma di legge che definisca quali siano le malattie tropicali, si ispirava poi alla grammatica, al buon senso, e anche alle definizioni date dalla WHO per ritenere insostenibili le argomentazioni di parte attrice.
I contratti son cose diverse da una legislazione, per di più, emergenziale
E’ pacifico che l’art. 42 del DL 18 17-3-20 n. 18 (convertito nella L 24/4/20 n. 27) che stabiliva la procedura di denuncia d’infortunio Inail per le infezioni da SarsCoV2 contratte in occasione di lavoro, peraltro promulgata in una situazione eccezionale a causa della pandemia, è cosa ben diversa da un contratto assicurativo in quanto il suddetto provvedimento: nulla a che fare coi contratti di qualsiasi tipo, l’intenzione comune del contratto non era affatto quello di tutelare il rischio malattia infettiva peraltro in una situazione pandemica eccezionale e, infine, lo scopo della legge era quello di tutelare i lavoratori contagiati e non certamente quello di modificare l’oggetto di polizze private.
L’assicurazione di cui si discuteva era comunque “privata” anche se contratta nell’ambito di convenzione
L’assicurazione che copriva il medico purtroppo scomparso – tra i tanti della ormai dimenticata strage di colleghi avvenuta in epoca pandemica – era stata contratta nell’ambito di una convenzione tra un istituto assicurativo e l’Enpam. Per la Cassazione, come peraltro per la Corte d’Appello, la convenzione stipulata non poteva essere equiparata ad un’assicurazione sociale ma ad una forma di natura “integrativa” che, quindi, non godeva del medesimo statuto anche come stabilito da Giurisprudenza della medesima Suprema Corte.
Per concludere
La sentenza appare chiara e, peraltro, anche dal punto di vista medico-legale, l’ammissione dell’indennizzo, nel caso di specie, risultava ampiamente compromesso dalla clausola che escludeva l’indennizzo delle malattie infettive se non prodotte da morsi da insetti o da animali, delimitando quindi chiaramente i confini di copertura del rischio.
Un precedente
Assume, però, rilevante importanza in quanto stabilisce un precedente “nomofilattico” sull’interpretazione della definizione di infortunio che esclude l’infezione Covid – e tutte le altre malattie infettive di conseguenza – dall’indennizzabilità ribadendo la mancanza di “causa violenta” nella loro produzione – e qui forse qualche dubbio rimane – ma anche insistendo su concetti di natura giuridica che appaiono ben più rilevanti nel contesto complesso di un giudizio che, in ogni caso, esula dalla competenza medico-legale.
Fondamentalmente, la Cassazione ci ha detto che quando l’assicurato ha contratto una polizza infortuni non pensava affatto, come d’altronde l’Impresa che lo garantiva, di essere assicurato contro un’infezione tantomeno durante una pandemia. E francamente, prima di questa, nessuno si sarebbe sognato di chiedere un indennizzo per gli effetti di un virus influenzale e nemmeno contro il morbillo e la varicella.
Occhio consumatori
Forse, come consumatore, avrei da aggiungere qualcosa. Io pensavo, insieme a tutti gli altri, di aver acquistato una polizza infortuni che mi assicurava anche contro quegli eventi, certamente rientranti nella categoria infortuni, ma che avvenivano per una responsabilità di terzi, La Cassazione ha stabilito e ribadito recentemente in modo diverso perché non mi vuol far arricchire. E qui allora le deduzioni dei Supremi Giudici, almeno dal punto di vista logico, lo si dice sempre più da consumatore che da tecnico, forse un po’ d’acqua la fanno perché, non mi pare alla fine che vi sia una grossolana differenza tra le due fattispecie seguendo le medesime deduzioni contenute in questa sentenza. Ma questa è un’altra storia di cui ci si dovrà occupare e che è molto, molto, molto più rilevante sul piano del mercato e degli effetti sui cittadini clienti di Compagnie Assicurative.
Presumibilmente, dunque, pur potendo rimanere aperto un dibattito medico-legale legato ad una rivalutazione di radici storiche della nostra disciplina soprattutto in merito al concetto dell’interpretazione su quale sia il reale significato di “causa violenta”, la pronuncia dei Supremi Giudici pare chiudere definitivamente la, porta al contenziosi sul tema.