Abstract
Gli Ermellini (Sentenza Corte di Cassazione, Sezione 3, numero 5737, Anno 2023 – Presidente Spirito Relatore Graziosi) colgono nuovamente l’occasione per ribadire come non un fatto naturale/ambientale parte di una catena causale essere posto a decremento del danno patito se a questo ha contribuito l’azione o l’omissione umana, partendo da un caso che aveva per oggetto il suicidio di una persona vittima di un sinistro stradale. Ne parliamo in questo articolo a firma di Davide Santovito e del Dott. Simone De Sanctis (Medico in formazione della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale di Torino).
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Il fatto
Un uomo, vittima di un sinistro stradale lesioni psico-fisiche, si tolse la vita, all’interno di un contesto che si caratterizzava per anche per “condizioni personali e sconvolgimento psichico derivato dalla grave malattia del padre”. In primo grado fu riconosciuto il nesso causale tra le conseguenze del sinistro e il suicidio come richiesto da parte attrice.
Avverso tale sentenza, la parte convenuta propose appello. La Corte d’Appello sollevò parzialmente i responsabili dalle loro colpe, riducendo a un terzo la responsabilità nella causazione della morte del sinistro stradale con tutte le conseguenze risarcitorie conseguenti.
Avverso tale sentenza, gli eredi ricorrevano in Cassazione, che accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava la questione alla Corte di Appello, entrando nel merito della problematica della concorrenza causale.
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Le motivazioni della sentenza
Rifacendosi all’articolo 41 c.p. (concorso di cause) la Cassazione ribadiva che: “se la causa naturale non è stata esclusiva ma solo concorrente rispetto all’evento, la responsabilità dell’evento sarà per intero ascritta all’autore della condotta illecita”. Di conseguenza, per i Supremi Giudici, “una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti è possibile soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile.” L’evento in questione (la morte) sarebbe quindi direttamente imputabile all’autore perché la causa naturale non è esclusiva, ma concorrente insieme alla causa umana nel determinare l’evento finale.
Da ciò deriva che non è possibile comparare il grado di incidenza di più cause concorrenti, se tra queste vi sono una causa umana (imputabile), cioè il sinistro direttamente provocato dal condannato, e una naturale (non imputabile), ovvero tutti gli altri presunti eventi o situazioni, accorsi alla vittima, che abbiano contribuito al suo suicidio.
Questi altri eventi sono ben analizzati nel terzo motivo (anch’esso accolto) redatto dai ricorrenti, secondo i quali “il peso causale di due terzi riconosciuto al contesto di già apprezzabile difficoltà, personale e familiare ed economica sarebbe contraddetto da tutti i fatti accertati”. Secondo la Cassazione, la Corte d’Appello non avrebbe isolato le conseguenze dannose del sinistro, stimando (in violazione degli articoli 40 e 41 c.p.) in un terzo il contributo causale rispetto al suicidio valorizzando l’intervento delle concause (“condizioni personali”, “contesto di difficoltà”). Nello stesso tempo, però, riconosceva che soltanto il sinistro aveva “destabilizzato le condizioni vita e soprattutto psicologiche” del soggetto.
Sempre secondo la Corte di Appello non risultava decisivo in ogni caso l’accertamento di una patologia depressiva insorta dopo il sinistro e neppure sarebbe stata da escludere una sua esistenza precedente al sinistro, motivata dalle difficili condizioni personali del soggetto.
Secondo il Giudice d’Appello il suicidio si spiegavava “solo” nei termini secondo i quali le conseguenze del sinistro si fossero inserite in un contesto di complicata condizione personale, e non ne potevano quindi rappresentare l’unica causa.
Citando la sentenza della Cassazione n. 30521 del 22/11/2019, che pone come base a sua volta gli articoli 40 e 41 c.p., e in particolare la concorrenza di cause, gli Ermellini replicavano al Giudice d’Appello, asserendo che il resistente era responsabile per intero delle conseguenze dell’evento (il suicidio) in quanto le condizioni ambientali o i fattori naturali intrinseci (come le condizioni di vita difficili o una possibile depressione), non potevano dare luogo, senza intervento umano, all’evento mortale di tipo suicidiamo. Il responsabile del sinistro stradale sarebbe sollevato da ogni colpa soltanto se tali condizioni fossero state sufficienti, da sole, a determinare l’evento. Non solo: la stessa sentenza citata dalla Corte ricorda come “non è ammesso affidarsi ad un ragionamento probatorio semplificato tale da condurre ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio”, come invece concluso nella sentenza d’Appello con un’impropria suddivisione del quantum risarcitorio.
La sentenza degli Ermellini ribadisce, nuovamente, come un fatto umano, attivo, omissivo o commissivo, antecedente ma da solo non sufficiente a generare un evento, a meno di partecipazione di fattori naturali o ambientali, rimane pur sempre all’interno della catena causale da considerarsi sempre in forma, comunque, unitaria, che non può essere frazionata così condurre ad un ridimensionamento del danno risarcibile.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza in questione
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Qualche piccola considerazione
Solo tre pensieri e interrogativi dietro a queste deduzioni della Cassazione che, nella loro oggettiva apparente semplicità, sono particolarmente piccanti se ci si riferisce a quanto ogni giorno affrontiamo nella nostra vita professionale. Quanto è spesso difficile far comprendere ad alcuni Colleghi la teoria della equivalenza delle cause. Osservate, ancora, come la valutazione del danno nell’anziano sia perfettamente aderente alle motivazioni della sentenza. E, infine, non sarebbe corretto ripensare alla validità dei coefficienti di correzione nell’ambito della valutazione del danno psichico?
Spunti di discussione naturalmente. Forse importanti, però.
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