Abstract
La Cassazione Civile interviene affrontando il tema della causalità rispetto a plurime ipotesi. Simili prospettazioni, secondo gli Ermellini, non elidono forzatamente le relazioni eziologiche. Sembra però di leggere nell’intervento della Suprema Corte un velato monito che, tradotto, in lingua napoletana potrebbe essere così declamato: “Non facite ammuina”. Un contributo di Davide Santovito e Giuseppe Villani.
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Il 2 settembre del 2022 veniva depositata in cancelleria la sentenza n. 25884/2022 della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione (Presidente Travaglino, Relatore Pellecchia). Questa accoglieva il ricorso degli eredi di un paziente deceduto dopo un intervento neurochirurgico, cassando la sentenza della Corte di Appello e rinviando il procedimento ad altra Corte.
La tematica principale di questa sentenza ha come oggetto il nesso eziologico tra condotta esigibile e danno al paziente in presenza di più cause alla base dell’origine di quest’ultimo.
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ll fatto
Le sentenze di primo e di secondo grado rigettavano la domanda risarcitoria sostenendo che fosse incerto (o comunque non provato) il rapporto eziologico tra condotta esigibile da parte dei sanitari e danno riportato dal paziente. In particolare, il giudice di primo grado evidenziò che nella fase finale dell’operazione neurochirurgica, argomento del contendere, era sopravvenuta un’emorragia da una vena emissaria del seno trasverso di sinistra che aveva cagionato il decesso.
Nel corso del processo di primo grado la consulenza tecnica d’ufficio aveva prospettato quattro possibili ipotesi circa la causa di detta lacerazione, due sole delle quali da ritenersi maggiormente probabili, ed una soltanto riconducibile ad una scorretta esecuzione dell’intervento da parte dei medici. Tuttavia i periti, nel corso di un parallelo procedimento penale, non erano stati in grado di precisare quali delle due ipotesi alternative più probabili fosse effettivamente tale. Su tali dati fu ritenuto non possibile dipanare il dubbio in ordine alla sussistenza del rapporto di causalità tra l’evento e la condotta dei sanitari.
Tale pronuncia trovò conferma anche presso la Corte di Appello, che evidenziava come i CTU non avessero attribuito la stessa rilevanza probabilistica a tutte e quattro le ipotesi alternative della causa dell’emorragia, ritenendo che due di esse avessero maggior peso rispetto alle altre. In particolare, l’ipotesi della lacerazione del seno trasverso (l’addebito) doveva ritenersi meno probabile poiché non risultava dalla cartella clinica, nella quale si puntualizzava invece che l’emorragia era proveniente dalla vena emissaria, ed era stata prospettata dai consulenti in via di mera eventualità, in virtù del fatto che l’autopsia non aveva consentito di escluderne l’effettivo accadimento.
Gli eredi ricorrevano in cassazione e gli Ermellini accoglievano il ricorso e cassavano la sentenza, rinviando il procedimento ad altra Corte di Appello.
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Le motivazioni e il metodo
Nella parte motivazionale gli Ermellini ripercorrono in modo sintetico il ciclo causale da considerare nei giudizi di responsabilità medica di tipo contrattuale, sottolineando nuovamente il principio del duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, a carico dell’attore e l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle, a carico della parte convenuta. Se il danneggiato ha l’onere probatorio di dimostrare il danno e il nesso causale tra lo stesso e la condotta dei sanitari, il debitore (struttura sanitaria o medico) ha l’onere di provare che una causa imprevedibile e inevitabile abbia reso impossibile la prestazione.
La sentenza ribadisce come tale ciclo abbia una valenza cronologica, consecutiva e consequenziale nell’accertamento della verità processuale: l’onere del convenuto esiste solamente nel momento in cui l’obbligo della parte attorea sia completamente assolto, altrimenti non vi è necessità, per la parte debitrice, di provare che l’inadempimento fonte del pregiudizio lamentato dall’attore, sia stato determinato da causa non imputabile.
Il tutto trae fondamenti nell’istruttoria, per cui se restano incerti la causa del danno o quella della impossibilità ad adempiere per causa non imputabile al debitore della prestazione, le conseguenze sfavorevoli cadono a danno di chi ha l’onere di provare l’una o l’altra, sempre secondo il ciclo temporale prima specificato.
Il criterio da applicare all’intero ciclo rimane quello “della probabilità prevalente” o “del più probabile che non“. È qui però che sorgono le problematiche là dove vi sono più ipotesi.
Nella sentenza, gli Ermellini hanno però chiarito che rispetto ad ogni enunciato fattuale, sia considerato quello che possa essere vero o falso e che, una volta accertata la consistenza indiziaria, sia scelta l’ipotesi positiva più razionale e logicamente più probabile.
È specificato che, in altri termini, il giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale ritenuta “vera” in base all’enunciato che abbia maggior conferma relativa sulla scorta dei fatti indiziari disponibili rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero delle ipotesi alternative concretamente identificabili.
I Supremi Giudici strutturano in tre fasi l’operazione intellettuale da porre in essere:
- Tra il novero delle ipotesi valutabili, eliminazione di quelle meno probabili.
- Tra le rimanenti ipotesi, analisi di quelle più probabili.
- Tra le ipotesi così residuate, scelta di quella che abbia ricevuto, secondo ragionamento di tipo inferenziale, il maggior grado di conferma degli elementi di fatto aventi la consistenza di indizi, assumendo così la vesta di probabilità prevalente.
Il richiamo degli Ermellini è all’adozione di un modello analitico che segue un percorso logico distinguibile in due fasi:
- Rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante che emerge dagli atti di causa.
- Valutazione congiunta, complessiva e globale di tutti quei fatti, secondo una sintesi logica, la cui combinazione possa condurre alla prova presuntiva del factum probandum.
Non è quindi la confusione numerica sulle ipotesi causali del danno che rendono la causa del danno ignota e come tale in grado di interrompere il ciclo causale processuale al suo primo momento. Più ipotesi causali richiedono sempre una valutazione analitica di ogni fatto ipotetico, secondo il criterio della probabilità relativa prevalente, per poi ricomporre il “mosaico” e quindi giungere ad una scelta finale tra le varie ipotesi fattuali.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
Per concludere, se dovessimo operare un commento personale su questa sentenza, in tutto questo noi ci leggiamo anche un avviso ai CTU che potrebbe essere così declamato: NON “facite ammuina”. Ovvero NON applicate l’articolo 27 del regolamento numero 6975 della Regia Marina del Regno delle Due Sicilie (vedi). Anche se si tratta di un probabile clamoroso falso storico, l’aneddoto rimane bellissimo e, purtroppo, “l’ammuina” a cui si fa cenno risulta di riscontro frequente in alcuni nostri elaborati peritali.
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