Abstract
Se un medico esegue un accertamento strumentale ben poco conta la sua specializzazione riguardo al profilo diagnostico. Deve, nei limiti delle tue conoscenze, indirizzare comunque l’iter clinico nella corretta direzione. Questo ci dice in questa sentenza la Cassazione commentata dal nostro Davide Santovito.
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Gli Ermellini (Ordinanza 28811/23 del 16/6/23 Presidente Travaglino, relatore Porreca) sono tornati ad esprimersi in merito alla prestazione sanitaria erogata, questa volta, da un medico specialista in ginecologia che ha eseguito una ecografia specialistica ginecologica.
La Corte di Cassazione, 3° Sezione Civile, ribadisce il principio di diritto dell’obbligo di garanzia che tutela il paziente ed impegna il medico ben oltre la sua specializzazione, dovendo il secondo ponderare i propri giudizi diagnostici secondo la diligenza qualifica stabilita dal secondo comma dell’art. 1176 c.c.
Il principio che rimarcano gli Emellini è il seguente:
“in alcun modo può cioè avallarsi la conclusione per cui la distinta specializzazione medica esclude la colpa di chi, eseguendo un esame e dunque assumendosi la responsabilità di quello, lo referta in modo erroneo e senza indirizzare ai necessari approfondimenti con la cautela e tempestività del caso concreto, traducendosi, altrimenti, la grave imperizia della condotta posta in essere in uno speculare quanto ingiustificato vuoto di tutela”.
Andiamo con ordine e ricostruiamo il fatto descritto nella ordinanza.
La vicenda
Una donna colpita da forti dolori addominali si recava in pronto soccorso, dove era dimessa con diagnosi di dismenorrea, senza procedere ad accertamenti e dopo una breve visita. Lo stesso giorno la signora si recava dal proprio medico di base che prescriveva una terapia antispastica. Il giorno successivo, la stessa si recava dal proprio ginecologo di fiducia in quanto permanevano i dolori. In questa sede il ginecologo, durante l’esecuzione di una ecografia, identificava una cisti liquida, annotava la presenza di forti dolori, e alla visita obiettivava un utero fibroso e molle, una tumefazione dura e dolente e prescriveva un ricovero, senza indicare se urgente o meno.
Permanendo i dolori, il giorno successivo la signora si recava in pronto soccorso, dove era ricoverata con diagnosi di addome acuto e sottoposto ad intervento chirurgico. Due giorni dopo la signora decedeva per sindrome da disfunzione multiorgano da sindrome compartimentale addominale secondaria a shock tossinfettivo insorta come complicanza di un intervento chirurgico tardivo per volvolo intestinale in quadro clinico già compromesso da una ileocolite con megacolontossico.
In primo e secondo grado, erano ritenuti sussistenti gli addebiti (ritardo diagnostico e mancanze dei medici della struttura) ed il conseguente danno non patrimoniale. La CTU espletata specificava che si era compiuto:
“un errore di refertazione ecografica, indicando come formazioni anecogene le immagini riferite con tutta probabilità ad anse intestinali dilatate e fisse alla parete addominale; una corretta analisi ecografica avrebbe dovuto indurre il deducente a correlare i sospetti ai forti dolori addominali manifestati in anamnesi, indirizzando la paziente all’immediato ricovero ospedaliero per accertamenti”.
Di qui il riconoscimento di una condotta gravemente colposa.
Le deduzioni della Suprema Corte
Il ricorso in Cassazione, mosso dal ginecologo, è stato ritenuto infondato ed inammissibile. Ciò che qui interessa è proprio il tema della specializzazione medica del ginecologo, che non né stata ritenuta una causa di giustificazione sufficiente ad elidere il nesso causale tra la sua condotta ed il danno.
Gli Ermellini hanno infatti specificato che, eseguendo l’ecografia addominale, il ginecologo:
- aveva la responsabilità di leggere correttamente le relative immagini ovvero,
- nella consapevolezza dei limiti derivanti dalla propria competenza settoriale, ma pur sempre cointeressata dalle verifiche quanto meno per esclusione delle ipotesi superficialmente formulate (dismenorrea), ovvero ancora nella consapevolezza dalla mancanza di ulteriori strumenti di opportuna indagine,
- aveva la connessa responsabilità di correlare quelle stesse immagini a dubbi, infatti, variamente insorti – e la cui presa in considerazione non può che far parte del bagaglio professionale del medico – in uno alla significativa e specifica anamnesi nel caso già emersa e persistente, così da
- indirizzare, nello specifico, senza alcun ulteriore ritardo, la paziente, come osservato dalla Corte territoriale, presso strutture in grado di risolvere tempestivamente la criticità diagnostica.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
Un rapido commento
Ora, sulle considerazioni degli ermellini, forse, un po’ la punta del naso si torce: il ginecologo ha fatto una ecografia addominale da intendersi come quella eseguita da un ecografista radiologo od internista? Oppure ha utilizzato lo strumento ecografico a solo fine ginecologico, mirando l’attenzione sugli organi di sua competenza? Poteva quindi da lui pretendersi l’accuratezza e la specificità di un vero ecografista addominale?
Perché, leggendo questa ordinanza, è questa la tematica che dovrebbe essere discussa, sebbene sia stato scritto già molto al riguardo. Ovviamente non si è a conoscenza di tutta la vicenda clinica e degli atti ma, sia permesso, tale perplessità sorge naturalmente.
Diversa è la questione sulla valutazione complessiva che ogni medico deve fare tra il quadro clinico-sintomatologico e quello strumentale a sua disposizioni, tale per cui l’obbligo di garanzia a tutela del paziente va ben oltre la propria specializzazione. Anzi, conoscere i propri limiti è un atto di prudenza a tutela del paziente stesso.
Penso che sia necessario ancora un po’ di inchiostro, ma proprio dalla Medicina Legale Clinica a favore del paziente e dei medici tutti.
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