A Rimini, presso l’Hotel Ambasciatori, dal 21 al 23 novembre si terrà il Congresso Nazionale di FAMLI (Federazione delle Associazioni Medico Legali Italiane).
Qui potrete scaricare il PROGRAMMA DEFINITIVO e la SCHEDA DI ISCRIZIONE
Pubblichiamo qui sotto quanto trasmesso dal Presidente FAMLI Prof. Dell’Erba come messaggio di presentazione al Congresso:
Per battere un colpo.
L’intervento del Presidente Spera su “il nuovo quesito medico-legale all’esame dell’Osservatorio di Milano”[1]investe questioni dottrinarie ed applicative di rilevanza assoluta e che, palesemente, permeano precipuamente il sapere medico-legale.
Per la verità – e qui parlo a titolo assolutamente “personale” – il tema mi appassiona, sotto il profilo meramente speculativo, fino ad un certo punto. Non già – ovviamente – per la sua rilevanza che – lo si è già detto – è assolutamente centrale anche nella quotidiana operatività dello Specialista medico-legale, quanto piuttosto poiché – per certi versi ed evidentemente errando – ritenevo l’argomento una sorta di “dato acquisito” alla Disciplina ed alla dialettica tra Magistratura e Medicina Legale.
Così non è, ovvero le mie personali certezze – nel senso che anche altre cercherò di illustrare – sono minate alla base dall’intervento del Presidente Spera, prospettandosi nella mia percezione una sorta di pacifica e per certi versi proficua “invasione di campo”.
Se così è, se talune delle argomentazioni del Presidente investono il cuore (ma anche la mente) della professionalità medico-legale, ovvero le sue metodologie, appare evidente che tanto – sia detto con chiarezza e senza infingimenti – attiene ad un problema della Medicina Legale stessa, quanto meno in termini di “comunicazione”, se non proprio di evoluzione tecnico-scientifica e conseguentemente dottrinaria. In altri termini (sul punto tornerò in chiusura del mio dire) o, come nel mio personalissimo caso, l’ipotesi era di questioni talmente scontate da ritenerle dato acquisito e “non sindacabile”, oppure vi è stata una “insufficienza della Disciplina” nell’adeguarsi alla evoluzione normativo-giurisprudenziale ovvero ancora vi stata una sorta di ignavia che ha prodotto un progressivo scollamento tra quel che avrebbe dovuto essere e quel che è.
L’ipotesi a mio avviso prevalente è, come al solito, di tipo concausale.
Ricorrono quindi elementi che devono spingere la Medicina Legale ad una riflessione anche profonda; anche su questo tornerò al termine del mio dire.
Se tanto è vero, questo però non esime da una “analisi di contesto” che, in estrema sintesi attiene alla progressiva trasformazione del sistema risarcitorio in un sistema di tipo indennitario. Trasformazione motivata da forse condivisibili (ma forse anche no) principi/criteri di equità e sostenibilità ma che – specie in presenza del cosiddetto danno catastrofale – contrano con la “perdita” subita dal singolo e con principi di “Giustizia” filosoficamente intesa.
Non è tuttavia questo il tema in approfondimento, investendo tanto aspetti politici e di politica di ancora più vasta complessità.
La prima questione da porsi, in relazione alle argomentazioni del Presidente Spera, è se vi sia necessità di un quesito uniforme. La risposta è ovviamente affermativa, pur se necessita di qualche precisazione.
È infatti ovvio che per questioni di equità e giustizia (aristotelicamente intesa) e fors’anche di efficienza, un quesito “generico” che – di fatto – funzioni da “memento” in ordine alle voci di danno sia opportuno, non foss’altro che per evitare sperequazioni.
Allo stesso tempo tuttavia – e qui si entra più nel cuore del problema – il quesito non può non essere “personale” e “personalizzato”, funzione delle caratteristiche biologiche e delle allegazioni delle parti. In altri termini inane e vano, anche se “comodo”, è ritenere che vi possa essere un quesito talmente omnicomprensivo da essere idoneo per qualsivoglia fattispecie, essendo inevitabile che esso si attagli al caso concreto. Esso quindi dovrà essere funzione di preliminare vaglio e studio da parte del Giudice che consapevolmente potrà ritenere che quanto in esame sia conforme (o meno) alle caratteristiche generali della fattispecie (è ovvio che un minore è diverso da un anziano e che una macropermanente è altro rispetto ad una micropermanente), alla richiesta ed alle allegazioni. In funzione di tanto potranno elidersi/aggiungersi elementi, tal che l’argomentare tecnico medico-legale sia il più coerente con quanto in esame.
Inutile dire che l’esperienza professionale mi porta ad affermare che non sempre così è.
Non ho competenza – e per la verità neanche voglia – di entrare nel merito dell’“accertamento clinico-strumentale ovvero visivo”.
Tanto – forse troppo – è stato scritto sull’argomento anche in termini di interpretazioni lessical-semantiche ai limiti del virtuosismo linguistico.
Basti dire qui che, a mio avviso e limitatamente all’aspetto metodologico medico-legale, mi sembrava che da ultimo le Sentenze (nn. 10816 e 10819) della Cassazione del 18 Aprile u.s. avessero messo un punto fermo rispetto a tale querelle.
Mi permetto solo di osservare, ma tanto è già stato detto molto meglio, che non ha senso/coerenza la apparente (dal tenore letterale del dettato normativo) dicotomia accertamento strumentale vs. visivo. Quel che guida sono la Clinica e la Medicina Legale, con tutto quanto è stato scritto in termini di causalità, accertamento causale e valutazione. In questo senso peraltro vi è conformità rispetto al quesito proposto dall’Osservatorio di Milano nel 2013.
Non vi è dubbio tuttavia che, sempre nella mia personale prospettazione, l’elemento di maggiore criticità ovvero –più correttamente- quel che necessita di maggiori precisazioni e puntualizzazioni è il tema dell’accertamento/valutazione della sofferenza soggettiva interiore.
Tanto necessita di una (forse due) premessa/e.
E’ ovvio infatti, sul punto non può esservi incertezza, che “le valutazioni squisitamente giuridiche rimangono territorio ed oggetto di analisi da parte del Giurista e non del medico-legale”. Deve conseguentemente affermarsi, per logica lineare (direi di base), anche l’esatto contrario: le valutazioni squisitamente cliniche (e quindi medico-legali) rimangono territorio ed oggetto di analisi da parte del medico-legale e non del Giurista.
Ed allora il punto è: la sofferenza soggettiva interiore è categoria “biologica” o è categoria giuridica” ?
La seconda premessa, anch’essa in assoluta assonanza con il Presidente Spera e che peraltro concettualmente rimanda a quanto già indicato in ordine al progressivo mutare del sistema risarcitorio in sistema indennitario, attiene l’uso “improprio” che –in riferimento alla sofferenza soggettiva interiore- si è fatto delle tabelle risarcitorie. Come già si è paventato per il “quesito generico”, ben più di una ipotesi è il fatto che esse siano utilizzate –magari non sempre- come comodo automatismo, prescindendo da qualsivoglia analisi di specifica.
Le due questioni sono, evidentemente, intimamente connesse e –si badi bene- sono temi che attengono nel profondo all’Essere della Medicina Legale.
Riprendendo le esemplificazioni del presidente Spera, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione sono o non sono categorie biologiche? La risposta affermativa a me sembra talmente banale da non necessitare di spiegazione, non foss’altro perché attengono l’essere umano e la persona. E tanto, ovviamente, prescinde la causa che li ha determinati: che sia endogena o esogena, funzione di lesione del bene salute e/o di altro da chicchessia e per qualsivoglia motivo garantito (che sia la Costituzione e/o un contratto, come anche non solo in ipotesi è paventabile), conseguenza di reato o meno. E se quindi esse sono caratteristiche (transitorie, permanenti) dell’essere umano/persona, innegabilmente esse sono competenza accertativa e valutativa medico-legale. Cosa diversa –ovviamente- è come, con quali strumenti, si debba giungere all’accertamento/valutazione, richiamandosi in questa sede la ben nota proposta di statement della SIMLA ed il lavoro da anni portato avanti dalla Società Medico-Legale del Triveneto. Se tanto, sotto il profilo metodologico, dovrà/potrà avvenire con l’ausilio di supporti medico-specialistici di branca (ed il pensiero corre ovviamente agli specialisti le cui competenze permettano un approccio sistematico alla materia che la difenda da incursioni arbitrarie) ben sia, nella consapevolezza –mi scuso per la retorica- che la visione olistica e sistemica dell’essere umano/persona, della sua validità (e spero che il Prof. Gerin mi perdoni per questa citazione), del suo valore e del suo disvalore è solo medico-legale. Senza contare –ed anche a tanto si è accennato- il tema della causalità.
Qui tuttavia, a mio avviso, termina la competenza diretta medico-legale. E’ infatti ovvio che la traduzione economica non è di stretta pertinenza tecnica, ancorché il professionista medico-legale debba essere ben consapevole di come le sue motivate affermazioni/valutazioni trovino riscontro, non foss’altro che per le benvenute incombenze relative agli artt. 696bis e 8 L. 24/2017.
L’unica precisazione, se si vuole un modesto “suggerimento” peraltro ancora una volta a mio avviso conforme al pensiero del Presidente Spera, è che –quale che sia il criterio ed il metodo di traduzione economica- esso sia di tipo realmente risarcitorio e non indennitario. In caso contrario qualsivoglia sforzo che la Dottrina e la Disciplina porranno in essere sarà di fatto inutile riproponendo, magari sotto forma diversa, incomprensioni tra Scienza medico-legale e Diritto (ed in questo caso spero nella indulgenza del Prof. Stella).
Ed allora? Ed allora la domanda da porsi è se la Medicina Legale sia pronta a raccogliere il guanto metaforicamente lanciato dalla Giurisprudenza. La mia personale risposta –non solo in una visione ottimistica- è che siamo nati pronti: abbiamo i metodi e gli strumenti, magari da affinare, si tratta di condividerli ed utilizzarli.
In questa prospettiva –per chiudere- non posso che fare mie le lucide riflessioni ed i suggerimenti di Gianni Norelli: “Gli argomenti (che i Giuristi hanno affrontato in modo solo parziale e spesso in difetto) certamente non mancano: dalla differenza sostanziale e sulla prevalenza dell’accertamento rispetto alla valutazione, alla definizione, una volta per tutte, della metodologia medico-legale come presupposto della operatività e della professionalità da ritenere irrinunciabile; dalla considerazione del danno psichico nelle sue molteplici sfaccettature, alla necessità di considerare il danno nella sua dimensione olistica ( soggettivo ed obiettivo, nella piena consapevolezza che solo il Medico Legale può lecitamente tradurre in obiettivo il danno che sia soggettivamente percepito dal leso). E così via per esemplificazioni che per il Medico Legale sono inutili perché evidenti”.
Ebbene di tanto si discuterà nel prossimo Convegno Nazionale FAMLI (Rimini 21-23 Novembre) non già nella presunzione di trovare risposte a tutti i quesiti, ma nell’intendimento di dare avvio ad un percorso ulteriormente condiviso, dimostrativo della forza ed unitarietàdi intenti della Disciplina.
Anche per questo Vi aspettiamo.
Alessandro Dell’Erba
Presidente FAMLI
[1]Ridare, Focus del 16 Luglio 2019.
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