Abstract
In questo articolo i nostri Soci, Davide Santovito e Saverio Gerace affrontano il contesto e le motivazioni della recente Sentenza della Corte Suprema americana che ha di fatto tolto la possibilità di procedere all’interruzione di gravidanza su tutto il territorio degli Stati Uniti lasciando la facoltà ai singoli Stati di prendere decisioni in proposito.
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Venerdì 24 giugno 2022 i Giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America hanno annullato la sentenza “Roe vs. Wade” che ormai dal 1973 riconosceva alle donne il diritto all’interruzione di gravidanza nei vari stati confederati, in virtù di una lettura della Carta dei Diritti e degli emendamenti, così di fatto statuendo un principio generale valido su tutto il territorio della nazione.
Per capire il contesto storico, basti ricordare che solo cinque anni più tardi in Italia sono state emanate tre leggi che hanno profondamente arricchito il mondo dei diritti in Italia: la legge di istituzione del Sistema Sanitario Nazionale, la legge per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza e la legge sugli accertamenti e trattamenti sanitari volontari o obbligatori.
L’ultima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America di cui ci stiamo occupando, rappresentando una netta discontinuazione con il passato, è dunque meritevole di attenta lettura e di riflessione.
Pertanto, si propongono di seguito i passaggi ritenuti più significativi, con la finalità di destare nel lettore, secondo la propria sensibilità, spunti di riflessione morale, etica, religiosa, culturale e giuridica.
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Il riferimento storico
Nella carta costituzionale statunitense non vi è uno specifico riferimento al diritto all’interruzione di gravidanza. Sul punto, occorre ricordare che la Carta dei Diritti deli Stati Uniti d’America declina nei primi dieci emendamenti i diritti costituzionali che ogni cittadino americano possiede. Il quattordicesimo emendamento di fatto obbliga i singoli Stati ad aderirvi.
Sulla base della Carta, fino all’inizio degli anni 70 del XX secolo, il diritto all’interruzione della gravidanza era regolamentato dai singoli stati federati con una legge propria. Nella maggior parte di essi tale diritto era espressamente negato, tanto da configurare l’aborto come reato. In alcuni Stati l’interruzione era permessa soltanto in alcune condizioni (stupro, immediato pericolo per la donna oppure malformazioni fetali diagnosticate), mentre solo pochi lo riconoscevano semplicemente dietro richiesta della donna.
La storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America “Roe v. Wade” mutò radicalmente questa impostazione giuridica e riconobbe il diritto all’interruzione di gravidanza su tutto il territorio americano, almeno fino ad un mese fa.
Nella sentenza del 1973 si discuteva la causa di Jane Roe (nome di fantasia ai fini di tutela privacy) contro lo Stato del Texas nelle vesti del suo Procuratore Distrettuale, Henry Wade. La donna, protagonista del caso, aveva vissuto un’infanzia difficile, era sposata sin dalla giovane età con un uomo violento, dal quale aveva avuto due figli e nel mentre era in corso una terza gravidanza; oltre a ciò, abusava regolarmente di sostanze stupefacenti e versava in gravi condizioni economiche. Tramite i suoi avvocati, la donna chiese alla Corte che le venisse riconosciuto il proprio diritto ad interrompere la gravidanza, pur in presenza di buone condizioni generali di salute ed in assenza di patologie fetali non compatibili con la vita al di fuori del grembo materno in atto.
In data 22 gennaio 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, con sette voti a favore e due contrari, si espresse a vantaggio della donna, accogliendo la sua domanda di riconoscimento ad interrompere la gravidanza. Tale diritto venne riconosciuto come facente parte di un più ampio sussistente diritto alla “privacy” – non interpretabile come siamo soliti fare nel nostro Paese – ma da intendersi come il frutto di scelte consapevoli e libere sulle quali lo Stato non ha diritto di intervenire, interpretando così il 14° Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti.
Nella prima sezione di quest’ultimo si legge, infatti:
“Nessuno Stato produrrà o applicherà una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà alcuno Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge; né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza Roe – Wade
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L’attuale ricorso alla Corte Suprema
All’incirca quattro anni fa, più precisamente nel marzo del 2018, lo Stato del Mississippi, su proposta del Governatore Phil Bryant, decise di approvare una nuova legge sul diritto all’aborto molto più limitativa di quanto indicato nella sentenza del 1973 della Corte Suprema. Nella legge in discussione, la pratica dell’aborto era espressamente vietata dopo le 15 settimane di gravidanza ad eccezione di emergenze mediche per la paziente o per malformazioni fetali incompatibili con la vita al di fuori del grembo materno. Non erano comprese motivazioni come la scelta personale o lo stupro.
La clinica Jackson Women’s Health Organization fece ricorso avverso la legge del Mississippi e dopo l’iter giudiziario ordinario la questione giunse avanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.
Con sei voti a favorevoli e tre contrari, quest’ultima concluse ritenendo non compreso nella Carta Costituzionale il diritto alle donne ad abortire non riconoscendo come sussistente il diritto alla quella libertà individuale denominata come “privacy” come motivato dalle precedenti pronunce. Di fatto la situazione giuridica è ritornata oggi a quella antecedente alla sentenza Roe v. Wade del 1973. Nella sostanza ogni Stato può legiferare sulla interruzione di gravidanza, in assenza di una norma che ponga il diritto in questione nell’alveo delle norme federali.
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Le motivazioni della sentenza
Le motivazioni della Corte possono essere sostanzialmente così riassunte:
- Il diritto delle donne ad interrompere la gravidanza non è presente nella Carta Costituzionale statunitense;
- L’interpretazione della Suprema Corte che discusse il caso di Roe v. Wade nel 1973 nasce su un fondamento errato: il diritto ad abortire non rientra nel più generale diritto alla “privacy”, come già specificata, e soprattutto non è “profondamente radicato nella storia e nella tradizione statunitense”.
- Se l’attuale Corte si fosse espressa solo ed esclusivamente in riferimento alla causa predetta suscitata dalla clinica Jackson’s contro lo Stato del Mississippi, ovvero la concessione dell’interruzione della gravidanza oltre le 15 settimane gestazionali, avrebbe di fatto creato a valanga altre cause stante le differenti legislazioni di ciascun Stato federale su tale argomento.
Nella sentenza la Corte analizza anche il sentire popolare e la tradizione americana e fa presente che fino agli anni 70 erano i cittadini attraverso i loro rappresentanti democraticamente eletti per ciascun stato a decidere su come legiferare sull’interruzione di gravidanza, non essendo quest’ultimo strettamente “radicato nella storia e nella tradizione americana” (“The Court finds that the right to abortion is not deeply rooted in the Nation’s history and tradition”). Secondo i Giudici, le sentenze inerenti i casi Roe e Casey hanno creato malumore e divisione nel paese americano (“Roe and Casey have enflamed debate and deepened division”), in quanto su queste questioni solo il singolo Stato federale, attraverso i rappresentanti eletti dai cittadini, può legiferare, avendo in ragione della specifica diversità culturale di ogni singolo Stato.
In sintesi, la Suprema Corte degli Stati Uniti rimandava ai singoli Stati Federati le decisioni legislative e di regolamentazione in merito al diritto della donna all’interruzione di gravidanza, non avendo riconosciuto tale diritto come sussistente all’interno della Carta Costituzionale federale.
Qui sotto potete leggere e scaricare la Sentenza della Corte Suprema del 2022
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Sono a tutti note le polemiche che la sentenza della Corte Suprema ha suscitato. I liberal hanno gridato allo scandalo mentre i movimenti “Pro Life” hanno cantato vittoria. Certamente questa sentenza è anche frutto della profonda divisione culturale e ideologica che sta influenzando la vita politica e sociale degli Stati Uniti dell’era post-trumpiana.
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