Vi abbiamo presentato la settimana scorsa la sentenza della Cassazione che riteneva non indennizzabile in ambito di polizza privata infortuni la malattia di Alzheimer (VEDI)
Qualche considerazione medico legale volando bassi
II commenti su questa sentenza possono essere molti anche orientati su profili giuridici legati alle interpretazioni degli articoli del Codice Civile da prendere in considerazione in relazione ai rapporti tra assicuratore e contraente la polizza.
Vorremmo, però, in queste poche righe “volare bassi” e fornire un commento orientato prevalentemente su quello che un comune professionista medico-legale può affermare in relazione ad una vicenda, in qualche modo, inusuale sotto il profilo giudiziario soprattutto in relazione alle interpretazione di criteri di polizza più propriamente legata a fatti clinici, che, secondo la relativamente rara letteratura sull’argomento può apparire chiara ma come la vicenda che stiamo trattando, proprio limpida non è.
In primis, è inutile negarlo, certamente la maggior parte di noi avrebbe senz’altro ritenuto la “malattia di Alzheimer”, al di là delle dotte disgressioni tra la definizione di “sindrome” o “malattia”, come collocabile nella categoria delle “sindromi organiche cerebrali” di cui parlava il contratto ovvero di una condizione di alterazione mentale e quindi psichica prodotta da delle disfunzioni cerebrali da cause organiche ovvero da caratteristiche diciamo così, morfologiche e anatomo-patologicamente individuabili (il dizionario Treccani, su questa accezione del lemma organico dice: “la connessione di una malattia, di un sintomo con l’alterazione anatomica o biochimica di un organo“).
Usiamo il dizionario
Ora non si insorga, se, a mio parere, per “tradurre”i dettati di polizza, sia meglio far uso di un comune dizionario rispetto riferimenti di letteratura scientifica o giuridica a meno che questi non siano perfettamente intellegibili dal contratto anche nel rispetto – unica digressione “legale” che mi concedo – degli art.i 1366 e 1370 del Codice Civile. Tutto questo sapendo benissimo che le norme a riguardo sono molto più numerose e degne di un approfondimento maggiore di un articolo sul web e, peraltro, in un contesto giuridico complesso dal quale, come medico, mi tengo lontano per mera incompetenza.
Come è noto, la “malattia”,nelle usuali polizze che coprono le invalidità permanenti da questa accezione, viene definita come “l’alterazione dello stato di salute che non dipende da un infortunio“, ovvero non attribuibile a una causa esterna, fortuita e violenta.
E qui tutto potrebbe apparire anche chiaro (non sempre lo è per i contraenti) ma il contratto è esplicito sul punto.
La sindrome, sempre secondo il dizionario Treccani, indica “un complesso più o meno caratteristico di sintomi, senza però un preciso riferimento alle sue cause e al meccanismo di comparsa, e che può quindi essere espressione di una determinata malattia o di malattie di natura completamente diversa; è per lo più seguito da opportune specificazioni che orientano sulla sede, natura, sul carattere o sulla causa dei disturbi“.
Al contrario la malattia, sempre per lo stesso dizionario, è “una condizione abnorme e insolita di un organismo vivente, animale o vegetale, caratterizzata da disturbi funzionali, da alterazioni o lesioni – osservabili“.
Malattia di Alzheimer: ma che cos’è
Ma la malattia di Alzheimer (confronta Uptodate) è in realtà un fenomeno patologico di eziologia sconosciuta (multiple sono le ipotesi), caratterizzato da un preciso quadro morfologico dal punto di vista anatomo-patologico ovvero da diffuse placche neuritiche, caratterizzate dalla deposizione extracellulare di amiloide beta, e grovigli neurofibrillari, costituiti dall’accumulo intracellulare di proteina tau iperfosforilata (p-taս). Tanto che, per alcuni, per far davvero diagnosi di malattia di Alzheimer, bisognerebbe eseguire una biopsia encefalica.
E’ vero, peraltro, che l’Alzheimer è la più comune causa di demenza tra le persone di età avanzata (l’incidenza, a partire dai 60 anni, raddoppia ogni 10 anni) ma ciò non esclude che si possa manifestare in età più giovanile: in uno studio quotato l’incidenza della malattia di Alzheimer come causa di demenza nei soggetti tra 30 e 65 anni è del 34 %.
Se non è stata chiaramente una causa alla base della malattia di Alzheimer è vero che la letteratura ha individuato molteplici fattori di rischio: genetici, cerebropatia vascolare, ipertensione, dislipidemia, fumo anche passivo, pregressi traumi a livello encefalico e ancora alcuni altri.
Dal punto di vista clinico, la malattia di Alzheimer si presenta, come caratteristica principale con disturbi delle funzioni superiori (diciamo demenza) caratterizzati da diversi sintomi: depauperamento della memoria, delle funzioni esecutive/ problem solving e di altri domini cognitivi nonché disturbi psicologici e comportamentali (apatia, disimpegno sociale, irritabilità, depressione).
Ma attenzione, assieme a questi, la malattia di Alzheimer si può presentare anche con una sintomatologia più propriamente neurologica tipo aprassia, afasia, disfunzioni dell’olfatto ecc…
Dunque, la classificazione ICD 10 è del tutto pertinente quando incasella il fenomeno Alzheimer sia tra le sindromi psichiche organiche, sia nell’ambito delle malattie neurologiche ma i distinguo, nel caso di specie, tra sindrome e malattia sono tutt’altro che certi (andate a rileggere la definizione del vocabolario).
I medici legali e la definizione di sindrome organica cerebrale
Detto qualcosa sulla clinica e sulla patogenesi – ce ne sarebbe molto di più da argomentare ma lo spazio è limitato, – andiamo ad interessarci sull’essenza del motivo del contendere anche, sotto il profilo squisitamente medico-legale.
Che cosa intendiamo, quindi, noi medici legali, quando le polizze private parlano di “sindrome organica cerebrale”.
Certamente, il capitolo in discussione non è tanto quello dell’indennizzabilità ma è quello dell’assicurabilità del soggetto soprattutto se si parla di polizze infortuni (ma attenzione qui, nel caso specifico, ci troviamo a discutere di altro tipo di contratto ovvero quello che copre l’invalidità da malattia).
Quello che conta, almeno per i sacri testi a cui tutti noi facciamo riferimento (ad. esempio il Ronchi, Mastroroberto e Genovese “Guida alla valutazione medico-legale. dell’invalidità permanente in responsabilità civile e nell’assicurazione privata contro gli infortuni e le malattie”, Giuffré, 2015), è che le sindromi organiche cerebrali sono “quelle che si estrinsecano con una serie polimorfa di affezioni mentali, le quali hanno un unico denominatore comune la natura organica della lesione” debbano “determinare contemporaneamente anche una infermità mentale“. Ma il testo citato, attenzione, si esprime, in relazione alla assicurabilità in tema di polizza infortuni cioè all’ovvio aumento del rischio connesso al soggetto portatore di un’infermità psichica.
Nello stesso testo, si riporta, parlando di polizze IPM riferendosi a contratti standard, che tra le esclusioni sono indicate “le malattie mentali e le neurosi“. Ciò esprime la volontà dell’assicuratore di garantire all’assicurato l’indennizzo delle malattie relate a patologie organiche cerebrali anche con ripercussioni psichiche e non a quelle psichiche, per così dire “pure” prive quindi di substrato organico.
Ritornando al caso specifico, almeno secondo quanto riportato nella sentenza, ci stiamo interessando di un caso in cui si discute dell’indennizabilità – non dell’assicurabilità – di un soggetto affetto da malattia di Alzheimer in ambito di polizza IPM., deducendo, peraltro, che l’assicurato non fosse affetto precedentemente alla stipula del contratto, della predetta alterazione patologica perché non è questo l’argomento contestato.
Il giudizio della Cassazione sul caso
Va detto, in primis, che le nostre deduzioni sono poco orientate non avendo in mano il contratto, non conoscendo le posizioni delle parti e non avendo alcuna Ida della storia clinica del soggetto che, comunque, qualche valore deve forzatamente avere: pensate solo all’epoca di insorgenza della malattia.
Ma, visto che non abbiamo a disposizione il contratto, posso immaginare, solo per esperienza, che quello sottoscritto dall’assicurato potrebbe essere uno di quei contratti, spesso assai poco chiari, che “vendono” sia una garanzia per invalidità permanente da infortunio che da malattia ove le condizioni di polizza spesso si sovrappongono. Questo potrebbe dare una spiegazione del motivo del contendere.
Sta di fatto che, in una polizza IPM “normale”, se il soggetto è sotto copertura e sviluppa una demenza conseguente a “malattia organica” dovrebbe essere indennizzato e che, quindi, alla fine. in una ratio di amministrazione della giustizia la sentenza è da ritenersi del tutto corretta.
Ma è anche certo, dall’altra parte che, al di là dei distinguo tra polizza IPM e infortuni, noi tutti eravamo convinti che, se in ambito di contratto infortuni, avessimo dovuto discutere sulla cessazione dell’assicurabilità sulla base del dettato “sindrome organica cerebrale”, la stragrande maggioranza di noi avrebbe detto sì.
Ma la Cassazione non dice sì all’indennizzabilità ponendo un distinguo tra “malattia” e “sindrome” ed è per questo che mi sono sentito di citare Tertulliano ovvero va bene così ci credo, ma se discutiamo sulla definizione di “sindrome organica cerebrale” davvero ero convinto di una cosa diversa.
Vetustà delle definizione nell’ambito delle polizze private e ruolo del CT di parte
Ultime due considerazioni finali, perché già ci si è dilungati fin troppo:
- questa sentenza deve, secondo me, essere di monito per le Compagnie Assicurative nel senso che è giunta l’ora di eseguire un adeguamento veloce ad un mercato che non può più essere legato a definizioni contrattuali che non tengano conto dell’evoluzione del lessico clinico medico e della possibilità di comprensione del cliente. Non è veramente possibile parlare, oggi, di “neurosi” e, probabilmente, anche di “sindromi organiche cerebrali”. E’ un lavoro difficile in cui un apporto medico legale “moderno” non può che contribuire nell’interesse di aziende e clienti.
- La posizione della sentenza sui detti di CT di parte che devono essere considerati dal Giudice come mere opinioni in quanto non fondate su fatti a meno che “non derivino da testi di legge…o…da regole di soft law quali Linee Guida ministeriali” (peraltro sarà bene che cominciamo a discutere anche su questo). E i Supremi Giudici ci dicono, anche, che sono da considerarsi opinioni quelle che derivino dalla lettura di “articoli scientifici o direttamente dal web,…in quanto…definizioni e classificazioni che non sono…dotate di alcuna attendibilità privilegiata“. Di conseguenza, non per estremizzare, se il CTU, a cui il Giudice ha dato l’incarico, basasse le sue teorie su casistiche tratte dalla prestigiosa rivista “Il raffreddore brianzolo”, mentre il CT di parte sostenesse le sue opinioni citando il “New England Journal of Medicine”, il Giudice stesso non avrebbe alcun dovere di motivare perché la tesi degli incliti editors di Bovisio Masciago sia migliore di quelli di Boston trovandole, comunque, convincenti. E allora attenzione perché, ancora una volta, come sempre e non devo spiegarvi certamente perché, è l’etica e la nostra professionalità che devono dominare ricordando, peraltro, il detto di Clemenceau ovvero che “La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai generali“. Chi ha orecchie per intendere, intenda.