L’autrice di Immemòriam racconta il suo lavoro di ricercatrice e scrittrice nel mondo dei cimiteri per far emergere storie dimenticate tra notizie storiche e dettagli sulle conservazioni dei corpi.

Giulia Depentor è una scrittrice e studiosa dei luoghi di sepoltura. Autrice del podcast Camposanto, dedicato all’esplorazione documentata dei cimiteri di tutto il mondo col loro carico di racconti e suggestioni, l’abbiamo intervistata per approfondire anche alcuni aspetti del suo libro Immemòriam. I cimiteri e le storie che li abitano (Feltrinelli 2023) che riportano, in maniera puntuale, diversi dettagli che riguardano la conservazione e la mummificazione dei corpi, con spunti interessanti per la comunità medico-legale.
Al di là del taglio più immediatamente riconoscibile del tuo lavoro, che forse è quello macabro, c’è alla base una grande profondità di contenuti. Segnaliamo una particolare attenzione anche a tematiche medico-legali e vorrei chiederti come hai sviluppato questa idea di miscelare nei tuoi podcast, e poi nei tuoi scritti, gli aspetti legati al folklore, alla letteratura, al racconto popolare e, appunto, alle modalità più tecniche delle sepolture?
In realtà non direi che l’aspetto più immediatamente riconoscibile del mio lavoro sia quello macabro. Io compio innanzitutto una vera e propria ricerca storica nei cimiteri che visito prima di raccontarli dal punto di vista di una sepoltura, di aneddoti o di una storia particolare che ho scoperto. L’aspetto macabro, ovviamente, talvolta sopraggiunge perché magari racconto delle storie di cronaca nera oppure perché nei cimiteri, nei luoghi di sepoltura, girano sempre leggende, fantasmi, infestazioni. A me piace molto creare nel modo più completo possibile il contesto di un cimitero che ho scelto di raccontare. Io voglio appunto, da scrittrice, dare la mia versione del cimitero e quindi raccontare anche le emozioni che ho provato nel visitarlo. Allo stesso tempo, desidero anche che le mie puntate siano una fonte di informazioni oggettive.

Nel nostro Paese è vastissima la presenza di mummie celebri.
L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di mummie che perlopiù si sono conservate attraverso fenomeni naturali, come si è poi appurato in studi successivi. In passato, parliamo di epoche remote, questi eventi erano però considerati come segni divini e quindi le mummie venivano esposte in diversi luoghi d’Italia come una sorta di memento mori, un monito per i fedeli, per dir loro: “ricordati che è qui che finirai, quindi comportati bene nella tua vita terrena”. In Italia ci sono circa tremila mummie: molte sono famosissime, come ad esempio la mummia di Rosalia Lombardo che è conservata nelle catacombe dei Cappuccini di Palermo, oppure ci sono le mummie della chiesa di Urbania nelle Marche.
C’è una sepoltura speciale – anche tra le tue esplorazioni più recenti – che vuoi raccontarci proprio per la particolarità delle modalità di conservazione del cadavere?
Vorrei ricordare la storia della morta di Agrano – un piccolo paese sul lago d’Orta in Piemonte – che si trova in una cripta accanto alla chiesa e che ha una storia abbastanza misteriosa. Per certi versi il ritrovamento è simile ad altre mummie, ma a creare la leggenda è ciò che è successo in seguito. La storia inizia nel 1792, quando il parroco chiese di ristrutturare la parte femminile dei sepolcri che si trovavano nella chiesa. All’epoca il seppellimento all’interno era ancora concesso, dal momento che ci troviamo in età pre napoleonica [in Italia la Legge di Saint Cloud, che prevedeva la collocazione delle tombe fuori dalle mura cittadine, si inizierà ad applicare dal 1806, ndr]. Tra tutte le salme riesumate, ormai ridotte a scheletri, venne trovato il corpo quasi intatto di una donna che era stata sepolta mezzo secolo prima. Il mistero attorno a questa mummia è che non si sia mai capito chi fosse, nemmeno il suo nome. Di lei si sa solo che era una donna di circa 40 anni, alta poco più di un metro e 60, morta per un’infezione generica. Si risalì alle cause del decesso, perché era così ben conservata che in una delle braccia c’era ancora il segno di un salasso che era stato fatto dai medici dell’epoca. Visto lo stato di conservazione eccezionale di questa mummia – una mummificazione totalmente naturale, dovuta come sempre a condizioni del terreno, climatiche eccetera… – si pensò all’epoca che fosse miracolosa, quindi si decise per l’esposizione della mummia, divenendo oggetto di devozione per gli abitanti della zona.
Dalla tua vasta esperienza, cosa ci dicono le differenti tecniche di preparazione e conservazione cadaverica rispetto a una specifica cultura?
Dico sempre che dai cimiteri si capisce qual è la concezione della morte e della vita di varie culture. Perché i cimiteri sono fatti dai vivi, perché i vivi ne fruiscano, anche se ovviamente nei cimiteri vengono sepolte le persone morte. Io credo che la stessa riflessione si applichi anche a tutto ciò che riguarda le modalità di sepoltura, di preparazione e di conservazione dei cadaveri.
Cito appunto l’esempio delle mummie che, anche se derivano da una somma casuale di eventi, poi possono diventare strumenti di diffusione della fede. Anche nelle tecniche di preparazione e conservazione dei cadaveri si rispecchiano queste concezioni della morte delle varie culture. Penso anche, ad esempio, alla diffusione della cremazione che è lo specchio dei tempi, perché c’è sempre meno posto nei cimiteri e le persone ci vanno sempre meno a visitare i propri cari.
Oggi, anche in Italia, si parla sempre più frequentemente di tanatoprassi – celebre il caso del Papa Emerito Benedetto XVI – anche nell’ottica di procedure avanzate che consentano di conservare il Dna ai fini medico legali. Considerando anche il successo del tuo lavoro e del libro, secondo te in Italia la tematica della morte, e di tutto ciò che le sta intorno, si sta sdoganando anche sui media generalisti?
Sicuramente attorno alla tanatoprassi o alla tanatoestetica, soprattutto per quanto riguarda. i personaggi famosi come il Papa, c’è un grandissimo interesse da parte del pubblico che, secondo me, si divide tra l’attrazione per il macabro e l’interesse per tutto quello che riguarda i personaggi famosi.
Ad ogni modo credo che l’interesse per queste pratiche si stia diffondendo sempre di più anche in Italia e che ormai se ne parli sempre di più. Probabilmente per una specie di curiosità, perché alla fine siamo coinvolti quando c’è qualcosa che ci spaventa, ne veniamo quasi attratti, vogliamo saperne sempre di più.
Ad alimentare questo interesse, oltre al mio lavoro come storica, scrittrice e ricercatrice, c’è tutta una comunità di esperte. Segnalo numerose divulgatrici che fanno le necrofore e appunto forniscono dei contributi importanti a testate che si occupano della cura dei cadaveri, sia italiane che internazionali. Fanno un lavoro ottimo e contribuiscono a diffondere le conoscenze su questa materia e, di conseguenza, a rendere il tutto meno spaventoso.