Abstract
La richiesta di CTU ex 696 bis introdotta, insieme alla mediazione, come procedura “apparentemente” obbligatoria dalla Legge Gelli Bianco ha trovato, in alcuni Tribunali italiani, difficoltà di applicazione in quanto, alcuni Giudici con diverse motivazioni, ne hanno rigettato l’ammissibilità con aggravio di spese per i ricorrenti. Il Dott. Lucio Di Mauro (Segretario SIMLA) e l’Avv. Dario Seminara del foro di Catania, affrontano il tema e le sue criticità esaminando la giurisprudenza in tema e sottolineando la volontà del Legislatore dell’adozione anche di questo mezzo a scopo deflattivo del contenzioso.
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Dott. Di Mauro
Avv. Seminara
Sulla Consulenza Tecnica Preventiva ex artt. 696 bis c.p.c. ed 8 L. 24/17
La legge Gelli Bianco (08.03.17 n. 24) sta per compiere cinque anni. Maturo è quindi il tempo per un bilancio sulla sua applicazione, in chiave civilistica, da parte della Magistratura.
Non è inutile, sul punto, ribadire che la Legge in parola, proseguendo nel solco tracciato dalla L. Balduzzi, tende rettamente a superare i guasti della c.d. medicina difensiva, permettendo ai medici di lavorare più serenamente, anche superandosi il contrasto paziente / medico, frenando il proliferare di azioni risarcitorie prive di fondamento. Proprio per questo motivo, il Legislatore ha previsto come condizione di procedibilità per il giudizio civile una previa consulenza tecnica preventiva, dal codice di rito civile già prevista dall’art. 696 bis. Or ci pare che detti fini della Legge Gelli – Bianco, pur evidentissimi, siano da alcuni magistrati, certo in buona fede, non compresi.
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Sulla consulenza tecnica preventiva in generale: un primo, limitativo, orientamento giurisprudenziale
L’art. 696 bis, dal Legislatore inserito nel codice di rito civile nel 2005, prevede la possibilità che colui che si ritiene creditore di una somma di danaro, per un’obbligazione contrattuale od extracontrattuale, possa richiedere al giudice di nominare un consulente tecnico che tenti la conciliazione e in caso negativo accerti l’ipotetica responsabilità e quantifichi l’ipotetico danno come conseguenza dell’illecito ascritto al convenuto: ciò prima del giudizio che, -nel caso in cui il consulente tecnico neghi il danno, o il nesso eziologico con la condotta del convenuto-, neanche sarà iniziato. Evidente è l’utilità del nuovo istituto, che si muove nell’ottica conciliativa, al fine di evitare la lite tra consociati, e quindi alleggerire la macchina della Giustizia, utilizzando le competenze di un terzo (il CTU) che, ben a conoscenza della materia, può ben guidare le parti verso una transazione alle stesse conveniente. Purtroppo, però, questo vento di degiurisdizionalizzazione non è stato gradito da taluni magistrati, che l’hanno interpretato come un vulnus alla giurisdizione. Col che la prima interpretazione dell’istituto della C.T.P. (Consulenza Tecnica Preventiva) è stata nel senso che essa va ammessa solo se entrambe le parti ne fanno istanza, ovvero se la controversia è solo sul quantum debeatur. Si iscrivono a questo filone interpretativo, tra le altre, Trib. Milano 17.04.06 e 23.01.07, appunto nel senso dell’inammissibilità della C.T.P. essendo da risolversi, assieme a questioni estimative, anche assorbenti questioni di diritto.
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Un secondo, corretto, orientamento giurisprudenziale sull’ammissibilità della C.T.P.
A confutare le tesi dei sostenitori del detto orientamento, -contrari all’ammissibilità del ricorso per C.T.P. se non nel caso -di scuola- di concorde richiesta per risolvere contesa sul solo quantum debeatur-, era facile rispondere:
Non è necessario l’accordo del resistente alla C.T.P., perché il Legislatore non prevede la domanda congiunta (che invece è prevista espressamente ex art. 791 bis c.p.c., introdotto ex lege 98/13: “ubi lex voluit, dixit”): in difetto, ben potrebbe il resistente, dopo aver verbalmente aderito alla ipotesi di richiesta di CTP, rimanere contumace, e, quindi provocare il rigetto del ricorso, pur proposto a seguito dell’affidamento ingenerato colpevolmente dalla controparte.
Non concettualmente corretto è negare la ammissibilità della CTP perché l’accertamento sull’esistenza del credito è (nella quasi totalità dei casi, convenendo comunque al debitore contestare l’an debeatur) quaestio juris, oltre che quaestio facti. La consulenza ex art. 696 bis è infatti espressamente prevista ai fini “dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”. In sostanza, oggetto espresso della consulenza è l’an debeatur, oltre che il quantum debeatur. Né certo si ha alcun vulnus alla giurisdizione, per il fatto che la CTP, quand’anche univocamente si concluda con l’accertamento di precise responsabilità del resistente, comunque non si traduce in provvedimento di condanna, dovendo il ricorrente iniziare regolare giudizio di merito, nel corso del quale ben potrà il Giudice anche ritenere non rilevante la CTP, magari rigettando la domanda per prescrizione (o comunque ordinare nuova CTU ritenendo insoddisfacenti le risposte dei consulenti dell’Ufficio date ai puntuali rilievi dei consulenti di parte).
È così questo secondo orientamento –favorevole all’ammissibilità della CTP non ostante la mancata adesione del resistente, e non ostante, a fianco alla soluzione della questione tecnica, comunque risultassero da risolvere questioni giuridiche- con il passare del tempo è diventato assolutamente prevalente.
In questo senso si è, infatti, espressa la più recente giurisprudenza, ripetutamente affermandosi che: “la ratio della norma di cui all’art 696-bis c.p.c., finalizzata a prevenire le liti e a deflazionare il contenzioso… ne impone la applicazione a tutte le possibili controversie in cui il soddisfacimento della pretesa economica dipenda da un accertamento in fatto” (Tribunale Cremona, 14/05/2014); che “la consulenza di cui all’articolo 696-bis c.p.c. può essere disposta anche a fronte di contestazioni circa l’an della pretesa a condizione che la stessa sia comunque volta ad acquisire elementi tecnici di fatto risolutivi ai fini non solo della quantificazione ma altresì dell’accertamento del credito” (Tribunale Parma Ord., 22/09/2014); che “lo strumento della consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della lite previsto dall’art. 696 bis c.p.c. non presenta fra i requisiti di ammissibilità la non contestazione in ordine all’an debeatur, diversamente da quanto affermato in alcune pronunce dalla giurisprudenza di merito minoritaria che non possono essere condivise; che, infatti, il tenore letterale della norma e la esplicita finalità deflattiva perseguita dal legislatore non consentono di ravvisare in via interpretativa siffatto preteso requisito di ammissibilità che, di fatto, finirebbe per vanificare lo strumento della consulenza preventiva a fini conciliativi qualora fosse sufficiente a paralizzarne l’espletamento la semplice contestazione sull’an debeatur da parte del convenuto (Tribunale Milano sez. I, 17/02/2015 e, in conformità anche E v. Tribunale Prato, ordinanza del 01/04/2015; Tribunale di Cosenza, 22/05/2015; Tribunale Roma Sez. VII Ord., 30/05/2016;Tribunale Verona, 06/03/2017).
L’orientamento oggi prevalente in giurisprudenza vuole quindi ammissibile il ricorso per Consulenza Tecnica Preventiva ai sensi dell’articolo 696 bis c.p.c. anche qualora sia oggetto di contestazione la sussistenza del diritto fatto valere dal ricorrente. Ed infatti, e come detto, lo stesso art. 696 bis si riferisce espressamente all’accertamento del credito, dimostrando in tal modo che la consulenza tecnica preventiva può essere richiesta anche per far accertare se sussista o meno il credito invocato dal ricorrente. Ebbene, tale accertamento non avrebbe ragion d’essere se le parti fossero già d’accordo in ordine alla sua sussistenza. In altri termini, se il legislatore avesse voluto limitare l’uso della consulenza tecnica preventiva soltanto ai casi in cui non fosse contestata l’esistenza del credito, ma la controversia sussistesse sulla sua sola quantificazione, non avrebbe previsto che la consulenza può essere richiesta anche ai fini dell’accertamento del credito -oltreché della relativa determinazione-, ma, evidentemente, si sarebbe limitato soltanto a questa ultima previsione!
Ebbene, la stessa finalità deflattiva della norma sarebbe fortemente svilita qualora l’Istituto potesse essere utilizzato esclusivamente nei casi in cui le parti già concordano sulla esistenza del diritto del ricorrente e controvertono solo sulla sua quantificazione. Infatti, in tal caso, l’istituto si applicherebbe soltanto in casi molto limitati dal punto di vista numerico e che già sono in stato avanzato di conciliazione: col che l’istituto, che ha proprio la finalità di cercare di risolvere in maniera conciliativa e bonaria le controversie insorgende tra le parti e così impedire l’instaurazione di un giudizio di merito, non potrebbe svolgere tale funzione. Invece, ammettere la possibilità di utilizzare la consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. anche nei casi in cui le parti discutono sulla sussistenza del diritto al risarcimento invocato dal ricorrente, permette all’istituto in esame di svolgere compiutamente -sotto la guida di esperti consulenti- la propria funzione conciliativa.
Inoltre, va rilevato che l’adesione all’orientamento minoritario -che vuole l’ammissibilità del ricorso soltanto quando non vi sia un contrasto tra le parti in ordine all’an debeatur- comporterebbe l’attribuzione di un potere arbitrario al resistente / convenuto in ordine allo svolgimento o meno del procedimento stesso. Infatti, in tal caso, al convenuto / resistente basterebbe contestare l’an della pretesa invocata dal ricorrente per far dichiarare l’inammissibilità del ricorso ex art. 696 bis c.p.c. introdotto da controparte e evitare l’accertamento preventivo, rimandando tale accertamento a un successivo giudizio di merito.
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Sulla CTP siccome imposta ex lege Gelli – Bianco
Ad ogni modo, se incerta può essere l’interpretazione dell’art. 696 bis in un campo diverso dalla responsabilità sanitaria, l’art. 8 della L. Gelli-Bianco, In alternativa al procedimento di mediazione e conciliazione cui all’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Espressamente prevedendo la CTU come condizione di procedibilità dell’azione risarcitoria per responsabilità sanitaria, appare sul punto dirimente. Precisamente nel senso che condizione di procedibilità per ogni azione risarcitoria per responsabilità sanitaria è appunto costituita dalla previa CTP, con nomina di un collegio medico i cui componenti abbiano le specializzazioni richieste dal caso, per dire se effettivamente vi è stata colpa medica, e con quali conseguenze. Non dimentichiamo, peraltro, che il ddl originario prevedeva, come condizione di procedibilità, la sola consulenza tecnica preventiva, cui solo successivamente, e precisamente con ultima modifica, nella Camera alta, è stato affiancato, in alternativa, il tentativo di mediaconciliazione, introducendosi il periodo “E’ fatta salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis del D.LGS 28/10.
Evidente è, inutile a dirsi, l’utilità della CTP, col che, prima dell’intrapresa di un lungo giudizio civile, in pochi mesi possa, in ipotesi, il paziente rasserenarsi sull’assenza di colpa medica, con liberazione del medico incolpato; o, nel caso inverso, di sussistente colpa medica, possa la struttura sanitaria e il medico, coi loro assicuratori, prontamente transigere la pratica, anche in questo caso, seppure con modalità diverse, comunque prevenendo e dirimendo la lite tra le parti. Anche così migliorandosi il rapporto paziente / medico.
Invero, se infatti l’utilità della conciliazione e comunque della celere definizione vale per tutte le cause, ancora più urgente è la definizione delle cause di responsabilità medica. E ciò, come detto, sia per il paziente -o per i congiunti del paziente deceduto- stante che il superamento dello stress psico fisico presuppone la definizione della causa; sia anche per il medico, la cui colpa (in ipotesi assente) è affermata dal paziente, con conseguente possibile perdita dell’autostima, e problematiche anche lavorative, col riparo della c.d. “medicina difensiva” (per tale intendendosi l’eccesso di esami anche non necessari, onde evitare rischi legali): a tutto danno dell’intero sistema sanitario.
Proprio per questo motivo, la consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis era nella prima formulazione del d.d.l. Gelli-Bianco prevista come unica precondizione in tutte le cause di responsabilità medica: oggi, può alternativamente richiedersi il tentativo di mediazione e conciliazione (che però, privo com’è di un CTU che con cognizione di causa tenti la conciliazione, è destinato in casi come questi ad esser del tutto inutile).
Dire inammissibile una richiesta di C.T.P. in hac materia, a seguito delle -interessate- censure della parte resistente (che ha comprensibilmente un vantaggio nel ritardare di parecchi mesi il paventato accertamento della propria responsabilità, anche sperando che il danneggiato, piuttosto che iniziare un lungo e costoso giudizio, defletta dalle sue iniziative giudiziarie, o comunque si accontenti di un irrisorio risarcimento), costituisce evidente antinomia. Peraltro gravemente perniciosa per l’amministrazione della Giustizia: ed infatti, la CTP assurta a condizione di procedibilità ex lege Gelli-Bianco ha proprio il vantaggio di eliminare ab initio una causa ingiusta, tutte le volte in cui –e sono numerosissime, come ben consta ai sottoscritti, che a volte assistono i pazienti, ma tante altre volte (certo non nella stessa causa) le strutture sanitarie– viene negata la responsabilità sanitaria, o comunque il danno siccome conseguenza della colpa medica.
L’opinamento contrario –nel senso cioè della tendenza al rigetto del ricorso ex art. 696 bis per colpa medica- non avrebbe altro esito che provocare un maggiore afflusso di cause civili, favorendo l’esplosione del conflitto medico / paziente che la Legge Gelli Bianco ha cercato -con apprezzabile risultato- di contrastare.
Quanto precede non deve però portare all’errore opposto, ovvero all’indiscriminato accoglimento di tutti i ricorsi per C.T.P.. Rimangono infatti fermi tutti i requisiti della domanda, anche in punto alla determinazione della stessa, con specifico riferimento all’oggetto della richiesta consulenza, che non può certo risolversi in un inammissibile mandato ad explorandum. Né peraltro può esservi incertezza sulla struttura sanitaria in thesi inadempiente: è chiaro che se incerta è la struttura sanitaria che ha proceduto alle cure -in tesi incongrue- del paziente, allora inammissibile sarà il ricorso. Ancora, in punto all’oggetto dell’esame della CTU, esso non potrà esser certo il danno morale (che appunto è quello per definizione interno al paziente, inesplorabile ed estraneo agli accertamenti medici) o il danno patrimoniale sofferto dalla vittima, o il danno -patrimoniale e non- patito dai congiunti a seguito della morte del loro caro: elementi che devono certamente esser inseriti nel ricorso ai fini conciliativi (del resto, la condizione di procedibilità non può che riguardare ogni diritto da azionarsi nel successivo processo di merito), ma, appunto, devono rimanere estranei alla richiesta CTU.
Il punto, suscettivo di ingenerare equivoci, va chiarito. Oggetto della richiesta CTP può esser solo la colpa medica e il danno eziologicamente correlato (decesso o danno biologico). E però nel ricorso vanno pure enunciate le altre voci di danno risarcibili (es: danno morale, danno patrimoniale, danno da perdita del congiunto etc.) e ciò al fine
- SIA di integrare la condizione di procedibilità, dal momento che, come ovvio, essa (esperita nel nostro caso con il deposito di art. 696 bis c.p.c. e art. 8 l. 24/17) deve comprendere ogni domanda successivamente proponenda nel giudizio di merito (ed infatti, se in sede di merito si formula una domanda di danno “non preannunciata” in sede di ricorso ex art. 696 bis c.p.c., detta domanda NON sarà procedibile);
- SIA di favorire la conciliazione delle parti: ciò che è proprio l’espressa finalità dell’art. 696 bis e quindi dell’art. 8 l. 24/17 che detto procedimento ha elevato a condizione di procedibilità della domanda di merito per responsabilità sanitaria.
Ove mai, per errore, la parte ricorrente, nel ricorso ex art. 696 bis, inserisca in ricorso voci di danno non verificabili dalla CTU, senza esplicitare che esse voci sono solo enunciate come oggetto del doveroso risarcimento, ma non anche come oggetto di verifica, non di meno tale imperfezione non condurrà all’inammissibilità del ricorso, ma solo alla loro irrilevanza ai fini dei quesiti da porre al CTU.
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Conclusioni
In sintesi conclusiva, in tema di C.T.P. richiesta in materia di responsabilità sanitaria, possono svolgersi le seguenti considerazioni:
Ex lege 24/17 (c.d. L. Gelli Bianco), senz’altro ammissibile -ed anzi necessario, siccome condizione di procedibilità- è il ricorso ex art. 696 bis in materia di responsabilità sanitaria.
Irrilevante è l’adesione al ricorso della parte resistente o la presenza di contestazioni in diritto, per quanto numerose e complesse, stante che ogni sentenza di per sé risolve -in disparte le questioni di fatto, anche – questioni di diritto. E che comunque l’esito della CTP non necessariamente incide sul successivo giudizio di merito, nel quale ben potrà l’istruttore mutare il rito e disporre nuova CTU, o comunque accogliere le eccezioni della parte resistente, in nessun caso venendo vincolato dalle risultanze della C.T.P.
Inammissibile resterà invece il ricorso se, ad esempio, non è provata la c.d. legittimazione sostanziale della struttura sanitaria resistente (mancando la cartella clinica, o addirittura risultando il ricovero in una struttura sanitaria diversa da quella resistente). Egualmente inammissibile sarà il ricorso ove non sia precisata la domanda di merito che si intende proporre all’esito della CTP. Inammissibile, infine, sarà il ricorso ove le questioni di diritto (e non tecniche, e quindi non demandabili alla perizia di un consulente) appaiono ben serie, dirimenti e preponderanti: ad esempio, nel caso di un’eccezione di prescrizione estintiva che appaia ben fondata, e sia stata eccepita e non contrastata dalla parte ricorrente.
In giurisprudenza, del resto, nettamente prevalente è la giurisprudenza che ammette il ricorso ex art. 696 bis, in tema di responsabilità medica: e plurimis, Trib. Prato – Ordinanza del 26/11/2018 di rigetto dell’ eccezione di inammissibilità sollevata dalla struttura sanitaria convenuta ritenendo “di dover aderire all’orientamento della giurisprudenza di merito che considera ammissibile il ricorso ex art. 696 bis c.p.c. non solo nei casi in cui si controverta esclusivamente sul quantum, ma anche a fronte di contestazioni inerenti all’an debeatur, ossia rilevanti sotto il profilo dell’esistenza della responsabilità ovvero della riferibilità causale di un evento lesivo ad una determinata condotta”. Conforme, Tribunale Venezia, 16/07/2018; Tribunale Palermo, 14/08/2019, Tribunale Novara, 17/09/2020.
In definitiva, ammissibile sarà la richiesta di C.T.P. nel campo della responsabilità medica tutte le volte in cui l’accertamento della colpa medica appaia la questione più rilevante, e in astratto decisiva per indurre le parti a conciliare o, in caso di mancata conciliazione, per la condanna la cui domanda è preannunciata nel ricorso. Mentre certamente potrà esser rigettato il ricorso in difetto di prova del contratto di spedalità stipulato con la struttura resistente, o di allegazione della supposta colpa medica, o di eccezione di prescrizione estintiva che appaia assistita da denso fumus boni juris, non contrastata da parte ricorrente.
Il rigetto del ricorso per C.T.P. (in difetto di dette carenze dello stesso) viola l’art. 696 bis e la L. 24/17 che l’ha elevato al rango di condizione di procedibilità.
Violazione tanto più evidente ove si consideri che lo stesso art. 8/2 L. Gelli-Bianco, prevede che, ove il Giudice del merito “rilevi che il procedimento di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile non è stato espletato … assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione dinanzi a sé dell’istanza di consulenza tecnica in via preventiva…”
Ed è esattamente quest’ultima interrogazione – a voler tacere dell’intero ragionamento che è stato sviluppato nelle pagine che precedono e che conserva piena validità – a indurre logicamente e necessariamente a ritenere che il legislatore abbia voluto modificare l’impianto più generale del codice di rito concedendo al ricorrente costantemente, ovvero in ambito di colpa medica sempre e comunque, la facoltà di ottenere l’istituzione di una C.T.U. medico-legale prima del giudizio di merito.
In sostanza, la CTP è tanto necessaria al rituale inizio della causa di responsabilità sanitaria che, ove mai non sia stata prima richiesta, è il Giudice, -all’inizio della causa, in via preliminare e prima della formale istruzione-, a disporla, come condizione di procedibilità.
Del tutto ingiustificato appare quindi negare la CTP jure proposta prima dell’inizio del giudizio (cfr Trib. Catania, sez. V, ordinanze di diniego di ricorsi ex art. 696 bis, in cause n. 7309/2020, e n. 12048/21).
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Leggi anche: ATP ai sensi dell’art. 696 bis: no conciliazione, no party