Abstract
Con l’ordinanza N. RG 18842/2023 del 28/06/2023 la III Sezione della Cassazione Civile (Presidente Travaglino, Relatore Cirillo) ci spiega, ancora una volta, la modalità di valutazione e di liquidazione del danno ove sussistano menomazioni concorrenti. Non grandi novità ma, certamente, l’intervento medico-legali in tema di valutazione del danno differenziale incrementativo, nell’occasione, almeno a leggere quanto scritto dei Giudici, sono state decisive nel portare il contenzioso fino alla Suprema Corte. Sul tema, quindi, nel nostro mondo è ancora nebbia fitta.
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I fatti
Una giovane donna si recava presso un ente ospedaliero per effettuare un’isterosalpingografia, cui seguiva l’asportazione della tuba sinistra, essendo già stata persa la controlaterale in seguito ad altro intervento chirurgico. Instaurato il giudizio, era disposta una CTU che riteneva sussistente la responsabilità professionale dei sanitari, sia per un difetto di consenso antecedente all’esame sia per l’aver proceduto senza attendere l’esito del tampone vaginale, che rivelava la presenza di ceppi batterici determinanti un rischio infettivo che avrebbe dovuto sconsigliare l’effettuazione dell’esame.
Considerata la precedente perdita della tuba ed ovaio destri per altre cause (non è noto quali), il ctu riteneva esistesse una “lesione policrona (sic) concorrente” ed era applicato un coefficiente di maggiorazione del grado di invalidità utilizzando la “formula di Gabrielli” giungendo quindi al 22%, danno estetico incluso.
Il convenuto ricorreva in appello e la Corte competente riduceva gli importi, considerando che la persona possedeva, a causa dell’assenza della tuba e dell’ovaio destri, metà della funzionalità riproduttiva e riteneva quindi congrua la percentuale di danno riconosciuta dal C.T.U. (10%), applicando la personalizzazione massima dell’importo e riconoscendo il danno da mancato consenso.
L’intervento della Suprema Corte
Proposto ricorso per Cassazione dagli attori con resistenza dell’ospedale, la Suprema Corte ribadiva i seguenti principi, in continuità con quanto già affermato:
- in tema di risarcimento del danno alla salute, la preesistenza della malattia in capo al danneggiato costituisce una concausa naturale dell’evento di danno ed il concorso del fatto umano la rende irrilevante in virtù del precetto dell’equivalenza causale dettato dall’art. 41 c.p. sicché di essa non dovrà tenersi conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno;
- può costituire concausa dell’evento di danno anche la preesistente menomazione,”coesistente” o “concorrente” rispetto al maggior danno causato dall’illecito. In particolare, quella “coesistente” è solitamente irrilevante rispetto ai postumi dell’illecito per cui non si dovrà tenerne conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno; viceversa quella “concorrente” assume rilievo in quanto gli effetti invalidanti sono più gravi se incide su un’altra menomazione sicché di essa si dovrà tener conto ai fini della sola liquidazione del risarcimento del danno e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità che va determinato comunque in base alla complessiva invalidità riscontrata, senza maggiorazioni o riduzioni.
- l’apprezzamento delle menomazioni “concorrenti” in capo al danneggiato rispetto al maggior danno causato dall’illecito deve compiersi stimando, prima, in punti percentuali l’invalidità complessiva, risultante cioè dalla menomazione preesistente sommata a quella causata dall’illecito e poi quella preesistente all’illecito, convertendo entrambe le percentuali in una somma di denaro, con la precisazione che in tutti quei casi in cui le patologie pregresse non impedivano al danneggiato di condurre una vita normale lo stato di invalidità anteriore al sinistro dovrà essere considerato pari al cento per cento; procedendo infine a sottrarre dal valore monetario dell’invalidità complessivamente accertata quello corrispondente al grado di invalidità preesistente, fermo restando l’esercizio del potere discrezionale del Giudice di liquidare il danno in via equitativa secondo equità giudiziale.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
Qualche parola di commento
La sentenza in discussione si inserisce nell’alveo delle precedenti pronunce della Suprema Corte, a partire dal novembre 2019, in tema di danno differenziale incrementativo. Sono ribaditi i principi sin qui affermati dalla Suprema Corte, ovvero che ruolo del consulente tecnico è indicare la stima del danno biologico complessivo e di quello antecedente l’illecito da cui discende la menomazione concorrente. Solo successivamente, al momento della monetizzazione, si procederà ad effettuare la differenza tra il primo ed il secondo. Ciò non può essere effettuato in sede di valutazione del danno in quanto una valutazione differenziale è altra cosa rispetto ad una valutazione riferita al 100% della validità della persona.
In conclusione, la sentenza è nella scia maggioritaria delle pronunce di Corte di Cassazione in tema di valutazione dello stato anteriore, che vuole l’applicazione della valutazione differenziale del danno alla persona laddove la nuova menomazione sia concorrente.
Restano numerosi dubbi in merito, almeno dal punto di vista di parte della dottrina medico legale, specie per quanto riguarda i criteri evanescenti di concorrenza e coesistenza del danno (nel caso de quo, ad esempio, vi è anche un danno estetico e vi è da chiedersi se sia da valutare anche questo con il criterio differenziale o meno), così come nel caso di menomazioni monocrone interessanti diversi organi e solo alcune di esse concorrenti con menomazioni pre-esistenti; ancora, vi è da chiedersi se delle malattie sistemiche, laddove impattanti la validità del soggetto, si debba o meno tenere conto; di come debba valutarsi il danno in soggetti che potrebbero apparire “senza valore residuo”; come debba essere quantificato il danno biologico temporaneo e gli altri danni alla luce del danno differenziale.
In definitiva, appare urgente che la Medicina Legale si confronti sul tema e che al problema sia trovata una soluzione, in cui il ruolo del Legislatore appare imprescindibile, che preveda la partecipazione di tutti i soggetti che hanno un ruolo nella valutazione del danno alla persona, nell’ambito di un percorso condiviso reso possibile solo dall’elaborazione di una norma di Legge.
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