Abstract
Continuiamo nella nostra storia degli uomini che hanno fatto la storia della criminalistica. E’ il turno di Edward Henry, brillante poliziotto inglese che impone la dattiloscolopia nei territori dell’impero britannico.
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Nel 1873 il londinese Edward Henry prende la via delle Indie dove entra a far parte dell’amministrazione civile. Si costruisce una brillante carriera che, ne 1891, lo conduce a ricoprire l’importante ruolo di ispettore generale della polizia del Bengala.

Henry, un uomo intelligente, colto, amabile, fantasioso ma al contempo metodico e pragmatico, accoglie con entusiasmo il metodo antropometrico di Bertillon che viene introdotto nel distretto di Calcutta. Da attento osservatore quale egli è, ben presto si rende conto anche dei limiti della metodologia, in particolare della difficoltà nell’istruire appropriatamente gli operatori e dell’ampio margine di errore delle misurazioni.
A questo punto entra in gioco il destino che colloca Henry nella regione indiana del Bengala, dove, qualcuno ricorderà, abbiamo già fatto la conoscenza di William Herschel, convinto assertore dell’utilità delle impronte digitali a fini identificativi.
Evidentemente Henry ha avuto notizia del lavoro di Herschel e, così come sta accadendo a Vucetich all’altro capo del mondo, anch’egli coglie l’importanza delle idee riversate da Galton nel suo ormai famoso manuale Fingerprints. Non solo. Alla prima occasione di tornare in patria, Henry ha l’opportunità di incontrare Galton che lo accoglie con entusiasmo e lo fa partecipe delle sue convinzioni e di tutte la sua esperienza.
Henry torna in India con questo prezioso bagaglio e, dopo anni di studio e di raffronto fra le impronte digitali raccolte nelle situazioni più disparate, finalmente riesce a superare uno dei principali limiti della metodica costruendo un sistema per registrare e catalogare le impronte digitali in modo che possano essere agevolmente recuperate quando necessarie per fini investigativi. Il metodo di Henry non solo è efficace ma anche facile da realizzare e non richiede dotazioni speciali.
Nel 1896 Henry dispone che le impronte digitali vengano rilevate in tutta la giurisdizione della Polizia del Bengala e, appena un anno più tardi, si rivolge al governatore britannico dell’India per proporre l’introduzione sistematica dell’identificazione mediante impronte digitali in sostituzione del bertillonage.
Nel marzo 1897 viene insediata una commissione presieduta dal sovrintendente generale dell’India che da parere favorevole, così esprimendosi:
“In conclusion, we are of opinion that the method of identification by means of finger prints, as worked on the system of recording impressions and of classification used in Bengal, may be safely adopted as being superior to the anthropometrics method—(1) in simplicity of working; (2) in the cost of apparatus; (3) in the fact that all skilled work is transferred to a central or classification office; (4) in the rapidity with which the process can be worked; and (5) in the certainty of the results.”
Per Henry è un successo clamoroso: non solo le impronte digitali sono acquisite al metodo ma in tutta l’India sostituiscono il metodo antropometrico. Negli anni che seguono i risultati sono incoraggianti: le identificazioni passano dalle 345 del 1898 alle 569 del 1899.
Ma anche per le impronte digitali serve “il caso” che ne sancisca il riconoscimento nel mondo giudiziario e nella opinione pubblica.
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Il caso Charan
Nell’agosto del 1898, durante una perlustrazione in una piantagione di tè, il capo della polizia del distretto di Julpuguri ritrova il proprietario della fattoria all’interno della sua abitazione riverso sul letto con la gola tagliata. La casa è in disordine e nessuno dei servitori viene reperito all’interno di essa. Anche l’amante del fattore non è reperibile: si pensa inizialmente che tutti si siano dati alla fuga per scampare alla rapina.
La vicenda solleva un grande scalpore e le indagini si fanno pressanti.
Ben presto l’amante del fattore ed il cuoco vengono rintracciati. La donna riferisce di non essere stata a casa al momento del delitto mentre il cuoco asserisce di aver visto un uomo scappare nella fievole luce del crepuscolo. Durante la perquisizione della casa è reperito il portafoglio della vittima, mancante del denaro che solitamente contiene. Al suo interno è però rimasto un piccolo calendarietto bengalese sul quale è visibile una macchia scura. Il funzionario locale informa Calcutta dei risultati dell’indagine ed Henry da disposizione perché vengano prelevate le impronte digitali della vittima e di tutti i presenti. Le impronte e il piccolo calendario devono essere subito trasmesse negli uffici della Polizia di Calcutta. Qui l’intuizione di Henry trova conferma: la macchia sul calendarietto è l’impronta di un dito della mano destra ma il raffronto con quelle rilevate sui sospettati ne esclude la responsabilità nel fatto.
Ben presto però si apre una nuova pista: si cerca un servitore di nome Charan, licenziato del fattore qualche anno prima e che aveva giurato di vendicarsi per l’allontanamento.
Dopo essere stato licenziato Charan è stato arrestato e imprigionato a Calcutta. Henry fa recuperare la scheda con le impronte di Charan rilevate in quell’occasione e dimostra la corrispondenza con l’impronta insanguinata trovata sul calendarietto. Dopo l’arresto del 1896, Charan era stato oggetto di amnistia in occasione dei festeggiamenti per il compleanno della regina Vittoria, e dunque era libero al momento dell’omicidio del fattore. Il caso è risolto.
Charan è rintracciato e portato a processo ma per i giudici l’impronta digitale non è prova sufficiente per condannarlo a morte. Il processo si conclude con un compromesso: Charan è condannato per furto ma non per omicidio. Per Henry una vittoria solo parziale.
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Dal Bengala all’Inghiletrra
Quanto sta accadendo in India non passa inosservato nella madre patria e, nel luglio del 1900, a Londra viene insediata la commissione Belper, presso la quale Henry è chiamato ad illustrare i risultati del proprio lavoro. Sono sufficienti pochi mesi perché la commissione si esprima, anche in questo caso, in favore di Henry: è sancito che in Inghilterra il bertillonage venga abbandonato e che tutta l’attività identificativa sia effettuata mediante il metodo dattiloscopico. Henry è nominato vice presidente della Polizia di Londra e Capo della Sezione delle Indagini Giudiziarie. Sotto la sua direzione sono ben 1772 le identificazioni efficacemente completate in un solo anno.
Ma la meta non è ancora raggiunta: serve che le impronte digitali siano riconosciute come prove di fronte alle corti di giustizia perché Henry possa dire di aver raggiunto il proprio obiettivo.
Un primo successo arriva nel settembre del 1902. Un caso di scasso è condotto davanti all’Old Baily e l’imputato è condannato a sei anni di lavori forzati, affermandosi l’attendibilità della rispondenza con le impronte digitali rinvenute sul luogo del fatto.
Tuttavia si tratta di un caso di modesta portata, di scarsa risonanza pubblica. A Henry serve un risultato di più eclatante e sarà il caso Beck ad offrirgli l’opportunità tanto attesa.
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Il caso Beck
Sul finire del 1800 a Londra diverse donne avevano dichiarato di essere state sedotte da un certo John Smith, alias Lord Salsbury, alias Lord Willoughby, che aveva sottratto loro gioielli e denaro. L’uomo era stato rintracciato, processato e condannato a 4 anni di reclusione. Di lui si erano poi perse le tracce.
Nel 1896 un rispettabile proprietario di miniere norvegese, Adolph Beck, durante il suo soggiorno a Londra è accusato da una donna di averla derubata dopo essersi spacciato per Lord Salsbury.
L’uomo viene fermato e sottoposto ad un confronto “all’americana”: ben 22 sono le donne che denunciano analoghi reati e che partecipano al confronto.
Tutte identificano Beck e gli investigatori si convincono che egli non è altri che John Smith. Nonostante si dichiari innocente, asserendo di trovarsi in Africa al momento dei delitti, Beck è condannato a 7 anni di lavori forzati.
Nel 1901 Beck esce di prigione con la forte intenzione di dimostrare la propria innocenza. Ma l’incubo si ripete: alcune donne accusano Beck dei medesimi reati e, a solo pochi mesi dalla scarcerazione, l’uomo è di nuovo all’Old Baily. Tuttavia, mentre vengono date disposizioni per il suo trasferimento in prigione, un ispettore che ha partecipato alle indagini su Beck, è chiamato in una stazione di polizia dove è stato arrestato un uomo che ha cercato di vendere degli anelli rubati a due donne. Quanto l’investigatore vede l’arrestato si rende conto di trovarsi difronte al sosia di Adolph Beck! Saranno le impronte digitali a permettere la corretta identificazione dei due uomini, consentendo la riabilitazione di Beck e la condanna del vero responsabile dei furti.
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Ora serve un omicidio. Il caso Stratton.
Il fatto di sangue che consacra l’applicazione delle impronte digitali in Inghilterra arriva qualche anno più tardi, nel 1905. Nella mattina del 27 marzo i coniugi Farrow vengono brutalmente aggrediti nel loro appartamento in Deptford High Street: a causa delle gravi ferite al capo l’uomo muore sul colpo mentre la moglie gli sopravvive solo qualche giorno. Il movente del delitto è da subito identificato in una rapina: vicino ai loro corpi è rinvenuta una cassetta portavalori svaligiata e delle calze usate come passamontagna.
Alle indagini partecipa Melville Macnaghten che, solo qualche anno prima è stato membro della commissione Belper. Macnaghten esamina la cassetta vuota e scopre un’impronta digitale ben definita: si chiede se in questo caso la dattiloscopia possa essere utile per le indagini. Preleva dunque il reperto e lo porta presso il nascente Fingerprinting Bureau di Scotland Yard diretto da Henry.
Tuttavia, dal confronto con le 80.000 schede dattiloscopiche, quell’impronta non risulta fino ad allora registrata. Ma ci sono i testimoni che hanno visto fuggire dalla casa dei Farrow due uomini: uno di questi è identificato in Alfred Stratton. La descrizione dell’altro uomo calza a pennello con il fratello di Alfred, Albert Stratton. Entrambi sono noti alla polizia ma non hanno precedenti penali significativi. I due uomini vengono fermati e le loro impronte sono confrontate con quella presente sulla cassetta: l’impronta è attribuibile ad Alfred Stratton e i due fratelli vengono portati in giudizio all’Old Baily. Il Procuratore della Corona, Muir, sa che sarà una dura battaglia: le prove di cui dispone sono una impronta digitale e un testimone a favore mentre un altro testimone non ha riconosciuto né Albert né Alfred Stratton come i due uomini in fuga dalla casa dei Farrow. Ma non solo. La difesa ha ingaggiato due acerrimi rivali di Henry: il dott Garson, forte sostenitore dell’antropometria che Henry ha affossato e, incredibilmente, Henry Faulds! Quest’ultimo da anni combatte perché gli venga riconosciuto il primato di aver per primo scoperto le impronte digitali ed il loro potenziale in ambito giudiziario che, a suo dire, gli sono stati usurpati da Herchel e Galton.
Il caso Stratton si trasforma dunque nel campo di battaglia sull’affermazione delle impronte digitali che vede schierati per la pubblica accusa due convinti sostenitori della dattiloscopia, Henry e Muir, mentre per la difesa Garson e Faulds sono determinati a screditarla purchè Henry non l’abbia vinta!
Il primo argomento esposto dalla difesa si incentra sulle piccole incongruenze che derivano dalla materiale impossibilità di imprimere le dita sul foglio sempre nel stesso modo e con la stessa forza. La pubblica accusa risponde in modo pratico ma efficace: vengono prelevate più volte le impronte digitali dei componenti della giuria dimostrando concretamente che le “piccole differenze” richiamate dalla difesa rientrano fra le variazioni morfologiche che possono registrarsi nel ripetere il prelievo e che non interessano, né tanto meno influenzano, le strutture “principali” delle impronte sulle quali si basa l’identificazione. Faulds è sconfitto ma la sconfitta di Garson è ancora più dura: Muir gli sventola sotto il naso una lettera in cui il teste si propone al Procuratore della Corona come massimo esperto di impronte digitali e nella quale asserisce l’utilità di tale metodologia, smentendo clamorosamente quanto appena affermato davanti alla corte. Garson è congedato come teste non affidabile e la Corte deve ammettere il valore probatorio delle impronte digitali. E per la prima volta nella storia giudiziaria due imputati sono condannati a morte per una impronta rinvenuta sul luogo del delitto.
Il caso Stratton è la battaglia decisiva e la guerra è vinta: il sistema identificativo su base dattiloscopica, fortemente voluto da Henry, si estende a macchia d’olio dalla Gran Bretagna al resto d’Europa e del mondo, progressivamente sgretolando l’impero “antropometrico” di Alphonse Bertillon.
Nei primi anni del ‘900 il metodo sarà acquisito anche nella realtà investigativa del nostro paese ma con “l’impronta” dell’ingegno e dell’esperienza di alcuni grandi personaggi che hanno segnato la storia delle scienze forensi, primi fra tutti Salvatore Ottolenghi e Giovanni Gasti.
Ma di questo parleremo nei prossimi articoli.
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Leggi anche: Storia e storie della criminalistica e dell’identificazione personale