Abstract
Ci siamo già interessati dell’opera di Alphonse Bertillon (vedi) inventore di un metodo di identificazione personale basato sui dati antropometrici. Certamente l’opera di Bertillon è macchiata da un clamoroso errore nella perizia calligrafica che determinò la condanna del Capitano Albert Dreyfus in un famoso processo per “tradimento” che attirò l’attenzione della Francia e di tutto il mondo tenutosi alla fine dell’800.
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La vicenda del processo al capitano d’artiglieria dell’esercito francese Albert Dreyfus è notissima per l’interesse che suscitò nell’opinione pubblica francese e internazionale anche grazie agli interventi di tipo politico, giornalistico e letterario che vedere coinvolti alcuni importanti personaggi come Georges Clemenceau, futuro Presidente del Consiglio francese durante la Prima Guerra Mondiale detto “Il Tigre”, il grande scrittore Emile Zola autore del famoso articolo “J’accuse” incentrato proprio sull’affaire Dreyfus e Theodor Herzl, padre del sionismo.
E’ difficile sintetizzare in poche righe il complicatissimo intrigo che portò alla condanna di Dreyfus e alle successive intricate vicende che condussero alla sua riabilitazione avvenuta dopo anni di terribile prigionia nell’Isola del Diavolo.
Le accuse contro Dreyfus, siamo nel 1894, erano relative ad un biglietto, strappato e poi ricomposto, denominato poi “bordereau“, in cui sarebbero state fornite alcune notizie di carattere tecnico, peraltro di scarsa importanza, essenzialmente riferibili a caratteristiche dell’artiglieria francese, ad un addetto militare dell’ambasciata tedesca. Come è noto la Francia era stata sconfitta nel 1870 dalla Prussia e l’Impero germanico, nato proprio in occasione di quel conflitto, era visto come il principale nemico della repubblica francese.
Il capitano Dreyfus, un alsaziano di famiglia ebraica, fu sospettato di essere l’autore del bordereau, venne imprigionato e si arrivò al processo in acceso clima di campagna stampa incentrata su un nazionalismo esasperato e sull’antisemitismo.
Il processo, rapidissimo che si svolse dal 18 al 22 dicembre 1894 a Parigi – l’arresto di Dreyfus era avvenuto solo 15 ottobre dello stesso anno – portò alla condanna di Dreyfus che venne dapprima degradato pubblicamente e deportato poi nella Guyana francese.
In realtà, si seppe poi che l’autore del famoso biglietto era un altro ufficiale francese, il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy ma le prove che portarono alla sua identificazione, raccolte principalmente da un altro ufficiale il colonnello Georges Picquart dei servizi segreti, che coraggiosamente e contro tutta d’élite militare si schierò con Dreyfus, non bastarono per far assolvere il capitano in un secondo processo, sempre svoltosi davanti ad una corte militare nel 1899 a Rennes dove il capitano fu nuovamente, incredibilmente, condannato e dove Bertillon ribadì le sue ardite teorie.
Il clamore per l’ingiusta sentenza portarono, nello stesso anno, alla concessione della grazia da parte del Presidente della Repubblica francese anche se Dreyfus dovette forzatamente dichiararsi colpevole.
Dreyfus fu definitivamente riabilitato solo nel 1906.
Nel primo processo, quello che portò alla condanna, uno dei principali elementi dell’accusa fu rappresentato da una perizia grafologica redatta proprio da Alphonse Bertillon che, all’epoca, godeva di una fama vastissima. Pensate che che in sede congressuale a Parigi, nel 1889, il fondatore della nostra Società Scientifica, Cesare Lombroso definì il metodo antropometrico di Bertillon, “il bertillonage” come “la più grande utilità per la repressione del crimine” e che tale metodo doveva essere utilizzato dagli antropologi criminali per i suoi “risultati indiscutibili”.
Ma Bertillon era tutto fuorché un esperto di grafologia e l’accettazione dell’incarico peritale, tutto teso a dimostrare che il famoso bordereau fosse stato scritto da Dreyfus, era basato su teorie del tutto inaccettabili sul piano scientifico e logico.
Ecco come ci descrive la testimonianza di Bertillon avvenuta il secondo giorno del processo Dreyfus, Piero Trellini autore del bellissimo libro “L’Affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus“:
“Gli elementi dell’identificazione antropometrica erano impassibili e concreti… La calligrafia, invece, per quanto concreto possa essere il suo tratto su una carta, e sì misurabile ma frutto di fattori psicologici. Questi in quanto tali erano inquantificabili. Bertillon, invece, pretendeva di calcolarli… Il punto di partenza fu quasi un’assoluzione: la scrittura del bordereau e quella di Dreyfus presentavano incontestabili difformità. Ma su queste divergenze Bertillon costruì il suo edificio. Per dimostrare che la grafia del bordereau era quella dell’imputato, la descrisse come il frutto di un artifizio finalizzato ad alterare lievemente la propria scrittura, intercalando il suo grafismo con ritocchi e incertezze. Anziché adottare una calligrafia differente, dunque, Dreyfuss, avvalendosi delle sue vecchie pratiche depositate al ministero, avrebbe ricalcato le sue stesse parole per poi modificarle. Era autofalsificazione (autoforgerie). Quindi, come un bandito che si faceva crescere i capelli e si tagliava la barba, Dreyfuss aveva allungato linee e accorciato asticelle per falsificare l’aspetto della propria grafia e occultare in questo modo la propria identità. Per avvalorare l’inverosimile ipotesi il fantasioso biometrista parlò per tre ore illustrando la sua teoria sul sistema di ricalco adottata dall’imputato con l’introduzione di dissimulazioni calcolate. Il cuore della sua dissertazione, infatti, doveva come sempre essere misurabile. Perché solo la misurazione dava la scientificità. Per arrivare a tesi fondate, dunque, cercò la scientificità nella modalità di falsificazione della scrittura. E dimostrò che questa era frutto di regole esatte”.
Per attestare la veridicità del suo dire, Bertillon si avvalse di enormi tavole grafiche che srotolò a beneficio della corte sulla base delle quali introdusse argomentazioni di natura geometrica e basate sul calcolo delle probabilità e, per concludere, cercò un colpo ad effetto così descritto sempre da Giorgio Trellini:
“Tirò fuori dal cilindro due carte. Su una aveva scritto la parola “adresse”, sull’altra “A Dreyfus”. Poi, come un illusionista, le fece scivolare una sull’altra. “Come potete constatare, l’impressione visiva”, sostenne, “E’ assolutamente identica”. Di fronte agli sguardi perplessi aggiunse la controprova fonetica: “Pronunciate velocemente i due nomi, finirete per confonderli”. Era quella la prova della colpevolezza di Dreyfus”.
La perizia e le dichiarazioni di Bertillon furono poi clamorosamente smentite da un rapporto redatto nel 1904 da alcuni accademici matematici francesi, tra i quali il famoso Jules Henri Poincaré.
Vi rimandiamo per completezza ad un assai interessante articolo pubblicato sul sito del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) dal titolo Matematica e metodo scientifico applicati all’Affaire Dreyfus (vedi).
Per gli appaianti di cinema segnaliamo anche il bellissimo film di Roman Polansky “L’ufficiale e la spia” (“J’accuse“) visibile su Raiplay con Jean Dujardin, dove viene ricostruita la vicenda del processo Dreyfus vissuta attraverso l’operato del Colonello Georges Picquart che rischiò vita e carriera perché Dreyfus fosse assolto e dove Bertillon viene impersonato da Mathieu Amalric.
Cosa possiamo dire per concludere?
Beh ci troviamo di fronte al classico caso in cui il perito, del tutto inesperto della materia di trattazione, si affida a sue personalissime interpretazioni basate su argomentazioni inconsistenti e non avvalorate dalla comunità scientifica con conseguenze gravissime sul piano giudiziario.
E, purtroppo, quanto successe con Bertillon durante il processo Dreyfus continua, secondo comune esperienza, ancora oggi in molti processi con le medesime tragiche conseguenze e tutto ciò non può che essere di monito per quelli che, come noi medici legali, siamo spesso chiamati alla sbarra per porre la Scienza – quella vera – al servizio della Giustizia.
Ringraziamo l’amico, collega e Socio SIMLA Dott. Marco Giannini per averci suggerito l’argomento dell’articolo
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Leggi anche: I personaggi ed i casi che hanno fatto la storia dell’identificazione personale (Parte II): Herschel, Faulds, Galton e lo studio delle impronte digitali