Abstract
La Prof.ssa Cristina Cattaneo e il Prof. Riccardo Zoja dell’Istituto di Medicina Legale di Milano ci inviano questo articolo che prende spunto da una loro recente lettera ad una prestigiosa rivista di epidemiologia. Perché, si chiedono gli autori, le morti violente non interessano dal punto di vista epidemiologico? Perché si eseguono sempre meno autopsie? La patologia forense in questo modo rischia di scomparire? Ci sembrano quesiti fondamentali per la disciplina. Interrogativi su cui tutti noi, come medici legali, siamo tenuti a confrontarci.
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È di recente pubblicazione sulla prestigiosa rivista International Journal of Epidemiology organo ufficiale della International Epidemiologica Association, una lettera all’editor (Cattaneo C, Tambuzzi S, Maggioni L, Zoja R. Has violent death lost the interest of epidemiology? Int J Epidemiol. 2022 Apr 26:dyac088. doi: 10.1093/ije/dyac088. Epub ahead of print. PMID: 35474538) che si interroga su quale sia il motivo della perdita d’interesse della epidemiologia per le “morti violente” e quindi delle indagini autoptiche a cui è deputata la patologia forense.
Due degli autori, la Prof.ssa Cristina Cattaneo e il Prof. Riccardo Zoja, Ordinari dell’Università statale di Milano, ne hanno rielaborato il contenuto per diffonderlo attraverso SIMLAWEB.
Buona Lettura.
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Le morti violente, solitamente trattate dai patologi forensi, hanno un ruolo chiave nella ricostruzione del profilo epidemiologico della società. La patologia forense e il suo declino non dovrebbero quindi interessare solo la comunità forense. Attraverso le autopsie, la medicina legale svolge un ruolo essenziale per il controllo della morte e delle malattie dovute alla violenza, proteggendo quindi la salute pubblica nel senso più ampio del termine. Solo attraverso l’autopsia e le relative analisi di laboratorio è possibile individuare con precisione le cause di morte e anche i crimini più efferati, ma anche non intenzionali, dai soffocamenti agli avvelenamenti. Ciononostante, le autopsie richieste dai Pubblici Ministeri, e a volte anche dai servizi sanitari nazionali, stanno diminuendo, non a causa di una diminuzione dei crimini, ma come conseguenza di decisioni politiche troppo spesso basate sulla percezione della medicina legale come disciplina incapace di produrre risultati tangibili in termini di contributi economici e alla salute pubblica.
Sebbene non sia possibile calcolare il numero di autopsie forensi richieste in ogni Paese, l’impressione generale è che in Europa sia diminuito l’interesse per le morti violente e sospette. Ciò è stato confermato in diversi articoli, a partire da Olanda, Norvegia, Danimarca, Germania e Austria. L’Italia non fa eccezione. A Milano, la città con il più grande obitorio italiano, le autopsie sono fortemente diminuite negli ultimi 20 anni. Da oltre 1.000 autopsie all’anno negli anni ’80 e ’90, il numero è sceso a 600-700 nel quinquennio 2014-2019, con un calo percentuale variabile tra il 40% e il 70%. Lo stesso si può dire per il numero di indagini sulla scena del crimine.
Anche la mancanza di una leadership di alto livello e un livello insufficiente di ricerca e sviluppo (la medicina o le scienze forensi non sono previste tra i temi o i campi di ricerca del Consiglio europeo della ricerca) contribuiscono all’impoverimento dello scenario culturale. Inoltre, gli atteggiamenti, i costi e i vincoli di tempo, insieme all’avversione culturale a interferire con i cadaveri, unitamente alla crescente idea che le autopsie possano essere obsolete, hanno sicuramente influenzato negativamente il tasso di autopsie negli ultimi decenni.
D’altra parte, il ruolo della medicina legale e della patologia forense, e quindi dell’autopsia giudiziaria, nell’epidemiologia è poco compreso. Se il ruolo dell’epidemiologia è quello di esaminare la presenza o l’assenza di malattie e disturbi nella società e se, giustamente, gli effetti della violenza diretta e indiretta sono equiparati alla malattia e alla sofferenza, è evidente l’importanza della patologia forense nello studio delle morti legate a interventi di terzi, omicidi evidenti, suicidi o accidenti. Per esempio, l’ “epidemiologia medico-legale” sta portando a una migliore comprensione del femminicidio (un esempio di violenza diretta) e delle morti infantili o di anziani legate all’abbandono (un esempio di violenza indiretta). Inoltre, nella ricerca di indizi di reato nelle morti sospette (dall’overdose alla responsabilità medica), la patologia forense può far luce su diverse cause di morte legate a cause naturali, fornendo quindi dati più tipicamente epidemiologici e informazioni su rischi per la salute precedentemente sconosciuti ai parenti dei deceduti, come nel caso del test del DNA per gravi malattie genetiche. Infine, gli esami autoptici di routine su larga scala, come quelli tossicologici e microbiologici, possono aiutare a individuare nuove tendenze sociali di morte e malattia legate all’abuso di droghe, alle intossicazioni, alle infezioni e persino all’inquinamento ambientale, fornendo informazioni essenziali su cui basare le strategie di prevenzione.
Un esempio molto recente dell’importanza dell’autopsia è stato dimostrato dall’epidemia di infezione COVID-19. Sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisse di eseguire esami post-mortem per le persone decedute con COVID-19, molti governi, tra cui l’Italia, hanno scoraggiato l’uso della pratica autoptica nei decessi da COVID-19.
Questo approccio ha causato la perdita di dati preziosi che hanno portato a un ritardo nel chiarire gli aspetti fisiopatologici del virus.
Non dobbiamo mai dimenticare che c’è sempre molto da imparare dai morti per contribuire al benessere dei vivi, sia dal punto di vista clinico che giudiziario, e che in tutti i casi questo porta alla prevenzione di ulteriori morti naturali o violente o traumatiche.
In conclusione, la consapevolezza dell’importanza delle autopsie e della patologia forense deve essere coltivata e sostenuta a livello globale attraverso riforme e investimenti, come nel caso della Francia. Se non agiamo ora, la patologia forense andrà lentamente perduta: questo priverà la società di uno strumento fondamentale sia per la sorveglianza della salute nel suo senso più ampio sia per affrontare quella malattia impegnativa chiamata violenza.
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