Si è concluso da pochi giorni il congresso nazionale nella nostra società, che è stato caratterizzato da indiscutibile spessore scientifico e giuridico.
Tra le varie sessioni, una tematica centrale è stata riservata alle infezioni correlate all’assistenza (ICA).
Senza alcun dubbio, tutti coloro che sono intervenuti (presidente, moderatori e relatori) hanno apportato contributi importanti, che si spera potranno dare avvio ad approfondimenti sul tema quanto mai necessari.
Gli interventi al Congresso
Personalmente, nel ripercorrere mentalmente ogni singolo intervento, mi porto a casa quattro spunti di riflessione, che possono essere così sintetizzati:
- Microbioma: Il Professor Cacopardo, Ordinario di Malattie Infettive presso l’Università degli Studi di Catania, ha ben delineato il panorama dei possibili patogeni che possono dare luogo alle infezioni che complicano il decorso dei pazienti ospedalizzati, ma ha anche chiarito alcuni aspetti che, se sul piano clinico sono dati per scontati, sul piano giuridico sono ancora ben lontani dall’essere conosciuti e considerati. Mi riferisco, in particolare, al microbioma intestinale e al microbioma polmonare, che definiscono l’ambiente in cui numerosi patogeni possono crescere sviluppando multiresistenze antibiotiche, da cui possono originare infezioni per traslocazione.
- Infezioni correlate alla giurisprudenza: Il Professor Vetrugno, Associato di Medicina Legale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ha ottimamente delineato le complessità di una attenta e puntuale attività di prevenzione del rischio infettivo all’interno di un’azienda sanitaria e la difficile traduzione di essa in un contesto giuridico. Il termine da lui coniato (che, confesso, riutilizzerò in futuro dichiarandone la paternità) inquadra perfettamente la deriva che si sta osservando nel contenzioso medico-legale correlato alle ICA.
- Contagio: la Dottoressa Stucchi, collega medico-legale di indiscutibile spessore tecnico, ha affrontato la problematica delle ICA dalla parte del paziente, descrivendo un corretto approccio metodologico su cui fondare le valutazioni, nel rispetto di quell’etica valutativa sempre necessaria per la tutela dei vari interessi in gioco. Non di infezione correlata all’assistenza si dovrebbe parlare, bensì di contagio correlato all’assistenza, che è il vero evento su cui riflettere per individuare un possibile presupposto di responsabilità contrattuale.
- Giurisprudenza correlata alle infezioni: il Presidente della III Sezione Civile della Cassazione Dott. Travaglino ha sapientemente sfruttato l’assist fornito in precedenza, ribaltando il punto di vista – quello del giurista – chiamato a tutelare soprattutto gli interessi del danneggiato.
La sentenza 6863/2023
Da questi ultimi due interventi vorrei partire per proporre una riflessione, invero già sollecitata in precedenza.
La giurisprudenza che finora si è espressa sul tema delle ICA si è orientata sulla base di quegli elementi probatori portati all’attenzione nelle sentenze di merito appellate.
La nota sentenza n. 6386 del 2023 sembra dettare le regole cui attenersi per valutare un’ipotesi di responsabilità in caso di infezione correlata all’assistenza.
Primo, non si tratta di una responsabilità oggettiva: “spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione”.
Secondo, in tema di infezioni nosocomiali, “spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico”.
Terzo, a proposito degli oneri probatori, viene delineato il famoso decalogo per chiarire “gli oneri probatori gravanti sulla struttura sanitaria”:
Il “decalogo” della 6386
- L’indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali;
- L’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
- L’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami;
- Le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;
- Le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;
- La qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento;
- L’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;
- L’indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori;
- Le procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali;
- L’indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti;
- La sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio;
- La redazione di un report da parte delle direzioni dei reparti da comunicare alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella;
- L’indicazione dell’orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.
Una lettura critica
La sentenza va, a mio avviso, letta in modo costruttivo; si vuole tentare di definire la strada per escludere responsabilità solo in quei casi dove il debitore (la struttura sanitaria) ha davvero adempiuto in modo corretto all’obbligo contrattuale, ciò al fine di una tutela massima nei confronti del paziente danneggiato. E su questo non si può far altro che condividere il punto di vista.
Tuttavia, si vogliono esprimere due considerazioni critiche, poiché il “decalogo probatorio” viene preceduto da un passaggio logico ben preciso: “a fronte della prova presuntiva della relativa contrazione in ambito ospedaliero (nella specie, non contestata in causa), ed ai fini della dimostrazione di aver adottato, sul piano della prevenzione generale, tutte le misure utili alla prevenzione delle lo [n.d.r. infezioni ospedaliere]”.