Abstract
Prima o poi si arriverà a discutere, anche in ambito giudiziario, se risulta davvero comprovato scientificamente che l’uso dei cosiddetti mezzi di protezione individuali (mascherine) evitino in modo sensibile e probabilisticamente determinato, l’infezione da Sars-CoV2. Questo è l’argomento di una recente revisione della letteratura scientifica pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine.
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È di recentissima pubblicazione su Annals of Internal Medicine, rivista dell’American College of Physicians (11,5 IF 376 HI – (leggi il ranking della rivista) ha pubblicato un articolo che potrebbe anche essere di interesse in possibili futuri casi giudiziari.
Eccone la citazione: Chou R, Dana T, Jungbauer R, Weeks C, McDonagh MS. Masks for Prevention of Respiratory Virus Infections, Including SARS-CoV-2, in Health Care and Community Settings: A Living Rapid Review [published online ahead of print, 2020 Jun 24]. Ann Intern Med. 2020; M20-3213. doi: 10.7326/M20-3213.
Gli Autori, tutti appartenenti al Pacific Northwest Evidence-based Practice Center and Oregon Health & Science University, Portland, Oregon, sintetizzano così il loro lavoro nell’abstract della pubblicazione:
“Sono stati inclusi 39 studi (18 studi randomizzati controllati e 21 studi osservazionali con un totale di 33 867 partecipanti). Nessuno studio ha valutato il riutilizzo o l’uso prolungato delle maschere N95 (cosiddette FP2). L’evidenza sulla SARS-CoV-2 era limitata a 2 studi osservazionali eseguiti però con gravi limitazioni dal punto di vista scientifico. L’uso di maschere in comunità è stato probabilmente associato a un rischio ridotto di infezione da SARS-CoV-1 negli studi osservazionali.
In ambienti sanitari ad alto o moderato rischio, studi osservazionali hanno rilevato che il rischio di infezione da SARS-CoV-1 e sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus probabilmente diminuiva con l’uso della maschera rispetto al non utilizzo e possibilmente diminuiva con N95 rispetto all’uso della maschera chirurgica. Studi randomizzati in contesti comunitari non hanno riscontrato alcuna differenza tra l’uso di N95 e maschere chirurgiche e probabilmente nessuna differenza tra l’uso di mascherina chirurgica e nessuna maschera in contesti a rischio di influenza o malattia simil-influenzale, ma la compliance risultava bassa. Nelle strutture sanitarie, l’uso delle’N95 e delle maschere chirurgiche era probabilmente associato a rischi simili nel contrarre malattie simil-influenzali e infezioni virali confermate in laboratorio… I sintomi fastidiosi nell’uso delle mascherine veniva riferito come comune.”
Qui sotto potete trovare il link dell’articolo citato:
Di diversa idea è invece un altro articolo, sempre recente (Gandhi M, Rutherford GW. Facial Masking for Covid-19 – Potential for “Variolation” as We Await a Vaccine [published online ahead of print, 2020 Sep 8]. N Engl J Med. 2020; 10.1056/NEJMp2026913. doi: 10.1056/NEJMp2026913) pubblicato sul NEW England Journal of Medicine – la 4° rivista nel ranking internazionale delle riviste mediche con 387 di HI (leggi il ranking della rivista).
Nell’articolo gli autori (tutti appartenenti al Center for AIDS Research, Division of HIV, Infectious Diseases, and Global Medicine, Department of Medicine (M.G.), and the Division of Infectious Disease and Global Epidemiology, Department of Epidemiology and Biostatistics (G.W.R.), University of California, San Francisco, San Francisco), anche se con due autocitazioni su 4 articoli nella bibliografia di riferimento, sostengono che l’utilizzo delle mascherine riduce senza alcun dubbio la trasmissione del virus come segnalato nella prima epidemia da SARS anche diminuendo l’impatto della gravità del fenomeno infettivo determinata da una più alta concentrazione di carica virale. Citano, a questo proposito, il caso della nave argentina da crociera in cui l’infezione fu contenuta con un’80% di asintomatici – coloro che indossavano la mascherina – rispetto ad un 20% di sintomatici anche gravi che contrassero la malattia nelle prime fasi del contagio a bordo quando nessuno, ovviamente, usava i mezzi di protezione. Concludono il loro dire asserendo che sempre maggiori evidenze suggeriscono che l’uso delle mascherine favorendo anche la riduzione della carica virale aumenta la possibilità della risposta dell’organismo attivando una specifica popolazione cellulare di tipo T.
Qui sotto potete trovare il link dell’articolo citato:
È chiaro che in entrambi gli articoli si sottolinea che gli studi in merito sono assai scarsi e che trarre conclusioni definitive non è allo stato ancora scientificamente possibile. Si badi bene, in questa sede nessuno vuole sostenere sciagurate tesi negazioniste sull’uso dei mezzi di protezione che rimangono, con il distanziamento sociale e il lavaggio frequente delle mani, tra le poche armi che abbiamo, in questo momento, per prevenire e combattere il fenomeno pandemico.
È interessante però far notare, in un’ottica di acquisizione di prova scientifica, anche in sede processuale, che questa carenza di dati, almeno a tutt’oggi, non aiuterebbe a sostenere tesi che attestino legami tra trasmissione del virus Sars-CoV2 con tutte le sue devastanti conseguenze e l’utilizzo dei mezzi di protezione.
E questo è un dato di una certa rilevanza se si dovesse ragionare, non tanto dal punto di vista logico, ma su quello della cosiddetta “sussunzione sotto leggi scientifiche”. Sempre, naturalmente, che tale teoria giuridica sia perfettamente applicabile all variegato sistema biologico che noi medici legali dobbiamo affrontare pensando anche alla pratica forense.
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