Abstract
Nel 2005 il patologo B. Omalu pubblica il primo case report che descrive le alterazioni neuropatologiche conseguenti ai traumi encefalici violenti e reiterati cui sono sottoposti i giocatori NFL. L’articolo fu veementemente avversato da una Commissione medica della lega professionistica americana. Successive ricerche nel campo hanno consentito di delineare un pattern di lesioni istopatologiche potenzialmente produttive di alterazioni psicopatologiche e cognitive. Sulla scorta di tali studi, la lega sportiva con più ricavi al mondo ha implementato nuove regole e programmi di sensibilizzazione per la prevenzione della CTE.
. . . .
La Dementia Pugilistica
Nel 1973, il neuropatologo inglese J.A.N. Corsellis e colleghi pubblicarono uno studio sull’analisi macroscopica e microscopica di 15 encefali di boxeurs. Tale pubblicazione rappresenta uno dei capisaldi per la successiva analisi e comprensione della Encefalopatia Traumatica Cronica. Lo studio illustra un chiaro pattern di alterazioni a livello del tessuto encefalico:
- Alterazioni del setto pellucido, con aspetto cavo o fenestrato.
- Esiti cicatriziali a livello cerebellare sulla superficie inferiore emisferica e principalmente a livello tonsillare, con deplezione di cellule di Purkinje all’analisi istopatologica.
- Degenerazione della substantia nigra, con depigmentazione macroscopicamente evidente e alterazioni neurofibrillari microscopiche.
- Aspetto diffuso di “Ammassi NeuroFibrillari” (ANF) nella corteccia e nel troncoencefalo, maggiormente evidenti nella sostanza grigia dei lobi temporali, in assenza di placche senili.
Il correlato clinico di tali alterazioni, riscontrabile dall’analisi della documentazione sanitaria e dal raccordo anamnestico con i familiari, variava grandemente da sfumati rallentamenti ideomotori, a deficit mnesici a quadri di atassie e disartrie conclamate.
.
Il caso Mike “Iron Mike” Webster
Nel 2002, il patologo forense Bennet Omalu, medico di origini nigeriane in servizio presso l’Allegheny County Coroner’s Office di Pittsburgh, eseguì riscontro diagnostico sul cadavere di Mike Webster.
Webster (1952-2002), nativo del Wisconsin, vantava un glorioso passato come Offensive Lineman/Centro dei gloriosi Pittsburgh Steelers vincitori di ben 4 Super Bowl NFL dal 1974 al 1979. Per i lettori poco avvezzi al mondo della palla ovale USA, specifichiamo che il ruolo del Centro è quello di dare il via all’azione “snappando” la palla, procedendo successivamente a proteggere Quarterback e Runningback dai tentativi di placcaggio della difesa avversaria. Nel corso della sua carriera, durata 17 anni, Webster ha giocato oltre 240 partite nella lega professionistica americana.
Dopo il ritiro, e comunque ben prima dei 40 anni di età, Webster manifestò un quadro di alterazioni cognitive e comportamentali ingravescenti che culminarono in un severo quadro di amnesia, depressione, segni di Parkinsonismo. I familiari e amici riferirono inoltre episodi di wandering e insonnia resistente.
.
La segnalazione del Dott. Omalu
All’autopsia, deponente per un decesso causato da severa coronaropatia e miocardiosclerosi, l’esame macroscopico dell’encefalo risultò anodino, eccezion fatta per una lieve discolorazione della substantia nigra. Ciò nonostante, il Dott. Omalu condusse approfondimenti istopatologici indipendenti ed autofinanziati. Le risultanze di tali indagini furono pubblicate nel 2005 sulla rivista Neurosurgery.
Tra i reperti istopatologici salienti furono descritti dropout neuronale nella corteccia frontale, parietale e temporale; diffuse placche amiloidi, sporadici Ammassi NeuroFibrillari (ANF) e filamenti positivi alla proteina tau a livello della neocorteccia. Erano invece assenti ANF a livello di ippocampo e della corteccia entorinale. Tali riscontri furono giudicati coerenti per Encefalopatia Traumatica Cronica (CTE) e posti in correlazione con il quadro psicopatologico ricostruito dall’anamnesi.
Il caso fu presentato come una “segnalazione sentinella”, volta a sensibilizzare l’NFL e la comunità patologo forense americana sull’importanza di effettuare approfondimenti neuropatologici negli ex giocatori di football americano per una migliore comprensione e prevenzione della CTE.
.
La reazione della NFL
La reazione della NFL, tuttavia, fu di ben altro tenore e polarità. I medici componenti del “Mild Traumatic Brain Injury Committee” della NFL, infatti, osteggiarono la diagnosi di CTE formulata dal Dott. Omalu. Vieppiù, in una aspra Lettera all’Editore, pubblicata anch’essa su Neurosurgery nel 2006, il Comitato chiese a gran voce il ritiro o la revisione della pubblicazione. Tale richiesta fu argomentata con la non rispondenza del quadro riscontrato nell’encefalo di Weber con il pattern classico di alterazioni descritto da Corsellis nei boxeur. Fu inoltre surrettiziamente contestato che il ruolo praticato da Webster (Offensive Lineman) fosse tra quelli meno a rischio per commozione cerebrale e che comunque, nella carriera di Webster, non fossero segnalate sostituzioni o allontanamenti dal campo per episodi commotivi.
.
La Risposta
La risposta di Omalu e dei coautori del report, nonché dei reviewer di Neurosurgery, fu affidata ancora una volta alle pagine della prestigiosa rivista. Omalu e colleghi risposero che le differenze istopatologiche rispetto al pattern classico descritto da Corsellis, e successivamente implementato da Roberts e colleghi nel 1990, fossero ascrivibili alla particolare casistica analizzata dagli autori originari. Fu infatti rilevato che i boxeur selezionati da Corsellis e Roberts fossero atleti con alterazioni psicopatologiche e neurologiche end-stage, indicative di un quadro anatomopatologico ben più severo.
Omalu e colleghi richiamarono inoltre la differente natura dei traumi produttivi delle lesioni osservate nella casistica pugilistica e nel caso di “Iron Mike” Webster. Un pugile, infatti, riceve sicuramente un numero maggiore di colpi alla testa nel corso del singolo incontro rispetto a un giocatore di football americano. Tanto spiegherebbe la diversa entità delle lesioni nei casi comparati. Inoltre, in NFL si usano caschi che determinano una diffusione dell’energia cinetica a tutto il neurosplancnocranio. Tale rilievo spiegherebbe la differente localizzazione topografica delle lesioni.
In merito alla critica inerente l’assenza di precedenti anamnestici nella carriera di Webster, Omalu e colleghi risposero che all’epoca vi fosse una scarsa sensibilità sui segni clinici di commozione cerebrale nel corso degli incontri sportivi. In altri termini la sensazione di “stordimento” lamentata dagli atleti nel corso o al termine di una partita era considerata parte integrante dello sport, al pari di ecchimosi ed escoriazioni.
Non ultimo, gli autori richiamarono una coeva sentenza della Corte di Appello degli Stati Uniti. A Dicembre 2006 la Corte riconobbe, infatti, agli eredi di Webster una ingente somma da parte del NFL Disability Plan a titolo di indennità non fruite nel periodo dal termine della carriera fino al giorno del decesso.
.
Terry Long, Justin Strzelczyk…
Negli anni successivi, il Dott. Omalu analizzò campioni encefalici di altri ex giocatori NFL.
Nel 2005 Omalu eseguì l’autopsia di Terry Long, anch’egli Offensive Lineman (Right Guard) dei Pittsburgh Steelers, dal 1984 al 1991. Al fine di prevenire critiche su analisi capziose degli antecedenti clinico-anamnestici, nella pubblicazione su Neurosurgery del 2006 Omalu allegò i dati derivanti dall’autopsia psicologica. I familiari ricostruirono plurimi tentativi autolesivi e ricoveri in ambiente psichiatrico. Il primo di questi risaliva già al 1991, conseguente alla sospensione del giocatore per presunto doping. In tale occasione fu posta diagnosi di Disturbo dell’Adattamento. Furono segnalate inoltre abnormi fluttuazioni dell’umore e tendenza a investimenti avventati e prodigalità. Fu inoltre documentato un trauma commotivo nel 1987 durante un incontro, con conseguenti alterazioni dell’equilibrio e della concentrazione perdurate oltre una settimana. Il decesso avvenne per assunzione massiva di antigelo per auto, come confermato dalle indagini tossicologiche.
All’esame dell’encefalo furono evidenziati: setto pellucido cavo, ipopigmentazione substantia nigra, ANF e filamenti di neuropilo tau-positivi ubiquitari. Nel 2010, quindi, l’autore pubblicò su Am J Forensic Med Pathol una Case Series di 5 casi, inclusi i due già descritti. In tutti i casi analizzati erano presenti Ammassi NeuroFibrillari e Filamenti positivi alla proteina tau in tutti i lobi cerebrali, in assenza di placche amiloidi. Dal punto di vista comportamentale si evidenziava un rischio aumentato di suicidio o parasuicidio (messa in atto di comportamenti deliberatamente rischiosi e potenzialmente letali). Strzelczyk, infatti, morì a causa di un incidente automobilistico mentre viaggiava contromano in strada urbana, inseguito dalla polizia.
.
La Storia e le Evidenze Recenti
La NFL ha ammesso una probabile correlazione tra ripetute commozioni cerebrali sportive e CTE solo nel 2016. Un sostanziale impulso a tale processo è stato dato dalla Neuropatologa Ann McKee, della Boston University CTE Center. Presso tale centro fu costituita, a partire dal 2008, la Veterans Affairs-Boston University-Concussion Legacy Foundation Brain Bank (VA-BU-CLF Brain Bank). Presso tale archivio confluirono numerosi campioni tissutali encefalici di ex atleti NFL, NHL (hockey ghiaccio) e militari statunitensi. Tra questi l’encefalo di Dave Duerson, Safety dei Chicago Bears due volte campioni e NFL Man of the Year 1987. L’atleta si suicidò nel 2011 – dopo anni di sofferenza per cefalee, insonnia, e sensazione di un “nodo in testa” – con un colpo di pistola al cuore e una Suicide Note nella quale chiedeva di donare il suo encefalo alla scienza.
.
La classificazione di Ann McKee
Nel 2013 la McKee e coll. pubblicarono su Brain (clicca qui per l’articolo integrale) i risultati dell’analisi di 85 campioni encefalici di ex atleti e militari con anamnesi positiva per traumi encefalici ripetuti. Come controllo furono utilizzati 13 casi con anamnesi traumatologica muta. Nell’80% dei casi (68 su 85, di cui 50 ex giocatori di football), l’analisi evidenziò Ammassi NeuroFibrillari e Astrocitari tau immunoreattivi, con distribuzione neuroanatomica indicativa per CTE.
Fu delineata la seguente classificazione:
- CTE stadio I: sparuti ammassi tau positivi nella corteccia superiore e dorsolaterale. A tali alterazioni corrispondono clinicamente cefalee, difficoltà di concentrazione, deficit della memoria a breve termine.
- CTE stadio II: ventricoli cerebrali dilatati, confluenza di ammassi tau positivi in multiple aree corticali. In tale stadio hanno esordio impulsività, isolamento, depressione, fluttuazioni dell’umore. Inizio di tendenze suicidiarie.
- CTE stadio III: incipiente atrofia encefalica e ammassi tau positivi diffusi. Il correlato è rappresentato da decadimento cognitivo, apatia, deficit attentivi.
- CTE stadio IV: significativa riduzione del peso e volume encefalico, elevate concentrazioni di proteina tau a telencefalo, diencefalo e midollo spinale. In questa fase amnesia, demenza, paranoia, esplosività e disartria sono spesso conclamate.
Sezioni di encefalo colorate con AT8 per B-Amiloide, con evidenza patologia da proteina tau, coerente con CTE Tratto da: The spectrum of disease in chronic traumatic encephalopathy, McKee et Al: Brain. 2013 Jan;136(Pt 1):43-64
.
Successivi studi dello stesso gruppo di ricerca hanno evidenziato segni di CTE nel 99% degli ex atleti NFL esaminati. Tale percentuale, tuttavia, potrebbe essere frutto di un BIAS di selezione, attesa l’elevata probabilità che il campione analizzato, frutto di devoluzioni spontanee, provenga dai soli ex atleti con storia clinica significativa per deficit neurologici. Sul punto si segnala che ancora oggi la diagnosi di certezza di CTE può essere formulata solo post-mortem.
Recenti e più realistiche analisi hanno evidenziato una correlazione stocastica ma con un aumento del 30% del rischio di riportare CTE a fine carriera per ogni stagione di NFL. Tra le posizioni in campo, i ruoli più a rischio sono risultati essere quelli di velocità, ovvero Wide Receiver (coloro che ricevono i lanci lunghi del Quarterback) e Runningbacks (coloro che cercano di guadagnare yards prendendo la palla e sfilando attraverso la linea di difesa avversaria).
.
L’Ammissione della NFL
Nel 2016, i rappresentanti della NFL sono stati auditi dal Congresso Americano in tema di prevenzione di commozioni cerebrali degli atleti e CTE. Incalzato dai membri del congresso e dai report forniti dalla McKee, Jeff Miller, l’executive vice president for health and safety della NFL, ha dovuto ammettere la correlazione causale tra Football e CTE.
Da allora la NFL ha dato atto di implementare modifiche regolamentarie e prassi per prevenire la CTE. Tra queste:
- Adeguamento annuale dei Concussion Protocol, con obbligo di sostituire un giocatore dopo un trauma alla testa e valutazione neurologica mandatoria e immediata in campo o in panchina.
- Inasprimento delle sanzioni per falli come lo Spearing (placcaggio con la parte superiore del casco) e Targeting (placcaggio iniziato con il casco), o per falli su Defenseless Player (giocatori non intenti a proteggersi da un placcaggio).
- Devoluzione di contributi per ricerche indipendenti sulla prevenzione e diagnosi di CTE.
- Avvio di programmi educativi fin dalle leghe giovanili.
Ciò nonostante, ancora oggi numerosi sono gli ex atleti NFL che ricevono diagnosi di CTE al tavolo autoptico o alla valutazione istopatologica. Tra questi, particolarmente eclatante il caso di Aaron Hernandez, Tight End dei New England Patriots, suicida a 28 anni mentre era in cella per omicidio volontario. Nelle more la giovane promessa dei San Francisco 49ers, Chris Borland, si è ritirato dal Football professionistico dopo una sola stagione di NFL, nel timore di contrarre CTE, rinunciando a futuri contratti milionari. Nell successive interviste ha ringraziato la Dott.ssa McKee per avergli salvato la vita.
Per chi volesse approfondire questo argomento, la redazione consiglia la visione del film del 2015 “Concussion” – Disponibile su NETFLIX – che racconta la storia del patologo forense Bennet Omalu, interpretato da Will Smith.
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
Leggi anche: L’autopsia: una cavalcata nella storia tra aneddoti e gossip e I “bias” nella diagnosi di causa di morte dei patologi forensi