Proseguiamo il percorso che abbiamo iniziato nel riportare le sentenze nominate dal Presidente della III Sezione Civile della Corte di Cassazione chiamato a delineare, nel corso del suo intervento al 46° Congresso Simla di Catania, le tappe dell’evoluzione giurisprudenziale in tema di responsabilità medica.
Giungiamo così al secondo millennio della nostra storia. quando si susseguono due sentenze della Corte di Cassazione: la n. 589 del 22 gennaio 1999 della III Sezione Civile e la n. 13533 del 30 ottobre 2001 delle Sezioni Unite.
Se la prima del 1999 affronta la tematica del “contatto sociale” che fonda la natura contrattuale del rapporto tra medico (dipendente) e paziente, la seconda del 2001 nulla ha che fare con la responsabilità sanitaria, ma fissa i principi riguardanti l’onere della prova nel rapporto tra creditore e debitore, dando ulteriore sostegno a quel lungo percorso che fino alla legge 24/2017 statuirà il principio dell’obbligazione di natura contrattuale nel rapporto tra medico (dipendente) e paziente, assorbente anche il rapporto tra quest’ultimo e la struttura sanitaria.
Cerchiamo di esprimere alcuni dei principi e dei criteri a cui è giunta la Corte di Cassazione anche nella sua massima espressione nomofilattica fornita dalle Sezioni Unite.
La sentenza n. 589/99 della III Sezione della Cassazione Civile
Con la sentenza n. 589 del 22 gennaio 1999, gli Ermellini chiariscono che la natura del rapporto tra medico (dipendente di struttura) e paziente rientra nell’alveo della responsabilità di natura contrattuale, potendo sussistere anche quella extracontrattuale, quand’anche il paziente non stipuli un vero e proprio contratto con il suo curante.
Il primo passaggio attiene all’esigenza di far aderire il più possibile la forma giuridica con la realtà materiale. Nella forma di responsabilità aquilana la “vicenda” nasce in conseguenza di un danno che, per il nostro ordinamento, deve essere ingiusto ossia ledere un diritto di rango costituzionale.
Nella realtà delle cose, la vicenda “medica” si struttura come “rapporto” tra il paziente che, di fatto, si affida alle cure del medico e quest’ultimo accetta di prestaglierle.
Il peggioramento rispetto allo stato iniziale del paziente
Ne deriva che nella responsabilità aquilana il paziente potrebbe richiedere il danno solo se, in conseguenza di violazioni da parte del medico con colpa, si troverebbe in uno stato peggiore rispetto a quello anteriore e non già qualora non sia realizzato il risultato positivo derivante della cura prestata che, secondo le normali attività sanitarie, ci si attende che sia raggiunto. Tale risultato gli è dovuto secondo l’id quoad plerumque accidit solo in virtù, quindi, di un rapporto contrattuale.
Posto che le obbligazioni (art. 1173 cc) derivano da contratto, fatto illecito o altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico, la norma consente di inserire tra le fonti principi che trascendono singole proposizioni legislative, soprattutto se di rango costituzionale. Il diritto alla salute è appunto un diritto di rango costituzionale.
l contatto sociale come rapporto contrattuale di fatto
Ne deriva che per quei rapporti che, in una previsione legale sono di origine contrattuale, tuttavia nella loro concretezza si realizzano senza una base negoziale e solo in virtù di un semplice contatto sociale, il rapporto tra medico (dipendente) e paziente è un “rapporto contrattuale di fatto o da contatto sociale”. Questa espressione riassume in sé il fenomeno sia in ragione della fonte, ossia l’obbligazione prodotta in conformità dell’ordinamento, che del rapporto che ne scaturisce, che delle conseguenze.
Ciò implica che a carico del medico (dipendente) non sussiste solo una responsabilità di natura aquilana, ma anche di natura contrattuale da “contatto sociale”, che richiede al debitore (il medico e la struttura) di fare ciò a cui è tenuto in forza del precedente vincolo giuridico.
Difatti, la prestazione sanitaria del medico a favore del paziente è sempre la stessa, garantita dal fatto che la professione medica è un servizio di pubblica necessità, che non può essere espletata senza una speciale abilitazione dello Stato, e a cui il “pubblico” è obbligato a valersi. Pertanto, l’assenza di una fonte negoziale non è in grado di neutralizzare la professionalità del medico che ha obblighi di comportamento nei confronti di chi si affida alle sue cure, facendo quindi affidamento nel momento in cui entra in “contatto” con lui.
li adempimenti del medico e della struttura sanitaria
Altro elemento che consegue è il fatto che sia la struttura sanitaria che il medico dipendente hanno l’obbligo di adempiere secondo precisi canoni di diligenza, ciò producendo a sua volta effetti sulla colpa e sull’onere probatorio.
La sentenza del 1999 richiama nuovamente i principi di diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176 cc e della speciale difficoltà ex art. 2236 cc, come specificato nei parti I e II già pubblicate su questo sito.
All’interno del rapporto contrattuale la diligenza assume un duplice significato: a) parametro di imputazione del mancato adempimento; b) criterio di determinazione del contenuto dell’obbligazione.
La Sentenza della Corte fissa poi i principi dell’onere della prova, suddividendoli secondo la presenza o meno della soluzione di problemi di speciale difficoltà.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza
La sentenza n. 13533 del 30 ottobre 2001 delle Sezioni Unite
Tali principi sono poi ulteriormente confermati dalla citata successiva sentenza delle Sezioni Unite del 2001, che nulla riguarda fatti sanitari, ma la cui portata è pienamente estensibile all’interno del rapporto contrattuale tra struttura/medico (dipendente) e paziente.
Le Sezioni Unite affrontato il contrasto riguardante la posizione del creditore e del debitore in tema di onere della prova, analizzando i due orientamenti prevalenti al momento della trattazione.
Le Sezioni Unite hanno accolto la tesi minoritaria che, tralasciando i vari passaggi che lasciamo al lettore approfondire, riconduceva all’unità il regime probatorio da applicare in riferimento alle azioni di adempimento e risarcimento del danno mosse dal creditore nei confronti del debitore.
I criteri di giudizio nell’ambito di un rapporto contrattuale
In questa sentenza sono così elencabili i criteri utilizzati dai Magistrati ed i principi da applicare nel contesto di un rapporto contrattuale:
- E’ individuato un criterio di massima caratterizzato da omogeneità;
- Bisogna tenere in dovuta considerazione le esigenze di certezza, alla luce di un eccesso di distinzione di tipo concettuale e formale per gli operatori pratici del diritto;
- Il principio della presunzione di persistenza del diritto: provata dal credito l’esistenza di un diritto ad essere soddisfatto entro un termine certo, grava sul debitore l’onere di dimostrare l’esistenza del fatto estintivo, costituito dall’adempimento;
- Il presupposto alla base della richiesta di risarcimento del danno [oltre a domanda di adempimento e domanda di risoluzione per inadempimento] è costituito dall’inadempimento;
- Se la parte agisce per il risarcimento del danno, postulando pur sempre che l’adempimento non vi è stato, può limitarsi ad allegarlo (senza onere di provarlo);
- Si fa applicazione del principio di riferibilità o di vicinanza della prova, ponendo in ogni caso l’onere della prova a carico del soggetto nella cui sfera si è prodotto l’inadempimento, che è quindi in possesso degli elementi utili per paralizzare la pretesa del creditore;
- Il principio, a carico del creditore, della sufficienza dell’allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, per violazione dell’obbligo di diligenza, gravando sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento.
Le prove che le parti devono portare
In conclusione, deve affermarsi che il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto e, se previsto, del termine di scadenza, mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte: sarà il debitore convenuto a dover fornire la prova del fatto estintivo del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento.
Siamo così giunti nel nostro attuale millennio, ma c’è ancora un po’ di strada da fare prima di arrivare alla ripartizione delle responsabilità contrattuale ed extracontrattuale prevista dalla legge 24/2017.
Qui sotto potete leggere e scaricare l’intera sentenza