Abstract
Il Dott. Davide Santovito, Dirigente Medico della S.C. Medicina Legale della Città della Salute e della Scienza di Torino, ci invia un commento alla recente sentenza della IV Sezione Penale della Corte di Cassazione in tema di sicurezza trasfusionale.
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La Corte di Cassazione IV sezione penale è tornata sul tema della sicurezza nelle attività trasfusionali di sangue, con la sentenza n. 4323/2022.
Il fatto, accaduto nell’agosto 2013, riguarda l’operato simultaneo di medico ed infermiere che hanno trasfuso 50 mL di sangue non compatibile ad un paziente già gravemente compromesso, così da far precipitare la gravissima condizione clinica, determinandone la morte. Infatti, il decesso è stato riconosciuto in nesso causale con l’errata trasfusione, sebbene il paziente si presentasse con “il collasso di un polmone e la forte ingravescenza della riduzione della funzionalità dell’altro polmone, tanto che la mattina era stata praticata la manovra estrema del reclutamento per la somministrazione manuale e forzata di aria”. La Corte ha confermato quanto ribadito dalla Corte di Appello di Firenze, identificando nella trasfusione di sangue incompatibile la trasformazione di un’insufficienza mono organo in una insufficienza multiorgano, “che incise ed eliminò le concrete, sia pur limitate chances, di sopravvivenza”.
L’invito alla lettura della citata sentenza, tralasciando ogni specifica considerazione in merito alle concrete, seppur limitate, chances di sopravvivenza, è funzione dell’interessante analisi che può trarsi in ambito di risk management. Infatti, l’errore trasfusionale ha configurato una condotta – omissiva – ascritta ad entrambi gli operatori sanitari per non aver aderito alle direttive ministeriali e, qui vi è l’interesse, alla procedura trasfusionale prevista dal protocollo ospedaliero adottato dalla ASL 9 di Grosseto.
La Corte sembra richiamare le procedure trasfusionali così come indicate dall’Allegato VII F del DM 02.11.2015 “Disposizioni relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti”, entrate in vigore due anni dopo i fatti. Tuttavia, già l’art. 12 “Sicurezza trasfusionale” del D.M. 3 marzo 2005 “Caratteristiche e modalità per la donazione del sangue e di emocomponenti” richiamava procedure di sicura identificazione del paziente, come chiaramente indicato nella Raccomandazione ministeriale n. 5 del marzo 2007 “Raccomandazione per la prevenzione della reazione trasfusionale da incompatibilità AB0”.
La sentenza sottolinea come le procedure operative hanno valore nella fase di esecuzione materiale e sono rivolte ad evitare errori di tipo non valutativo. In questa ottica, la procedura di trasfusione di sangue prevede la compartecipazione del medico non solo nella fase iniziale della trasfusione ma anche in quella esecutiva, richiedendosi un controllo esterno sull’individuazione del paziente, della sacca e della compatibilità del gruppo sanguigno.
I Giudici di legittimità hanno sottolineato che nell’ambito dell’esecuzione di pratiche sanitarie, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa del medico, non può invocarsi il principio dell’affidamento là dove il soggetto agente “non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità e imprevedibilità.”.
Ne deriva che sempre e comunque grava sull’operatore sanitario un obbligo di garanzia a tutela del paziente stesso, ed oggi anche in virtù dell’art. 1 della Legge 24/2017, che risponde dell’operato degli altri operatori sanitari nel caso in cui siano violate le norme di sicurezza.
La sentenza ribadisce l’esigenza di ispirare le procedure operative che regolamentano le attività trasfusionali a principi di sicurezza, trasparenza, tracciabilità. Si tratta di concetti propri della gestione del rischio clinico e sanitario. In tale prospettiva si invita a leggere la citata sentenza che, per quanto faccia riferimento ad eventi occorsi nel 2013, tratta tematiche di cogente attualità.
Il caso in esame evidenzia come la mancata conoscenza o adesione alle pratiche per la sicurezza del paziente rappresentino, citando Reason J. (Human error. New York: Cambridge University Press, 1990), violazioni non giustificabili e/o scusabili, salvo sopravvenienza di una causa che presenti caratteri di eccezionalità e imprevedibilità.
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