Continuiamo il racconto dell’omicidio dell’Imperatrice d’Austria Elisabetta (Sissi) con le indagini di polizia e medico-legali che seguirono la sua aggressione delineando anche la personalità del suo assassino l’anarchico italiano Luigi Lucheni
L’esame esterno
Alle ore 16:00 del 10 settembre 1898 il Giudice Istruttore della Repubblica del Cantone di Genevra incarica il dott. L. Mégeveand di “…redigere un rapporto medico relativo alla morte di Sua Maestà l’Imperatrice d’Austria; stabilire la causa del decesso e, se necessario, procedere a un’autopsia in accordo con l’erede o gli eredi dell’Imperatrice...”.
Alle ore 17:00, quando il dott. Mégeveand effettua l’esame esterno, la rigidità cadaverica non è ancora apprezzabile mentre sono descritte alcune macchie ipostatiche in sede declive.
I segni dell’intervento medico
Sul cadavere sono visibili le tracce lasciate dalle manovre effettuate da Golay e Mayor per accertare la morte della sovrana: intorno al capezzolo si osservano lesioni superficiali causate dall’uso del martelletto, mentre sul polso destro è descritta un’incisione cutanea eseguita post-mortem per praticare il salasso. Nessuna menzione, invece, viene fatta della presunta presenza di un tatuaggio raffigurante una piccola ancora, che — secondo alcuni racconti — Sissi si sarebbe fatta incidere sulla spalla sinistra in omaggio al mare che tanto amava.
La descrizione della ferita
A questo punto l’attenzione del medico legale si sposta sulla descrizione di una piccola ferita al torace svelatasi solo dopo la rimozione della camiciola intima.
Mégeveand così la descrive: “...Sulla parete toracica anteriore e laterale sinistra è presente una ferita a forma di “V”, situata 11 cm sotto la clavicola sinistra e 11 cm a sinistra della linea mediana sternale, 4 cm al di sopra del capezzolo. L’apertura della ferita è rivolta verso l’alto e l’esterno. Il ramo superiore, verticale, misura 1 cm di lunghezza e 2 mm di larghezza; quello inferiore, quasi orizzontale, misura 1,2 cm con una larghezza di 4 mm. La ferita appare secca e brunastra, circondata da un piccolo alone bluastro emorragico largo pochi millimetri…”.
La tipologia e la sede della lesione, rapportate al quadro clinico manifestato dall’Imperatrice, depongono per un ferimento mortale realizzato con uno strumento con capacità penetrante ma le esatte modalità dell’accaduto possono essere chiarite soltanto con l’autopsia.
In verità Francesco Giuseppe I non desidera che sia eseguita un’autopsia sul corpo della moglie ma ritiene giusto procedere secondo le leggi locali e dunque non si oppone.
L’11 settembre il Giudice Istruttore nomina il collegio incaricato dell’autopsia composto da ben tre docenti dell’Università di Ginevra: Hippolyte Jean Gosse, professore di medicina legale, Auguste Reverdin, professore di chirurgia generale, e lo stesso Louis Mégevand, medico legale. Loro compito è stabilire con certezza la causa del decesso.
L’autopsia
L’esame autoptico è eseguito alle ore 14:30 dello stesso giorno”… alla presenza della contessa Sztáray, dama di corte, del conte Kufstein, console d’Austria a Berna, del generale Berzeviczy delegato imperiale, del procuratore generale Navazza e dei dottori Mayor e Golay, che avevano prestato cure all’Imperatrice...”.
Una volta aperto il torace i medici svizzeri rilevano, in sede toracica anteriore sinistra, una ferita penetrante attraverso il terzo spazio intercostale con frattura della quarta costa, una perforazione trapassante del polmone sinistro, la lacerazione del pericardio e una ferita a sezione triangolare che attraversa il ventricolo sinistro con ingresso sulla superficie anteriore e lesione d’uscita su quella posteriore. Le lesioni, nel loro insieme, descrivono il tramite intracorporeo di un’unica sottile ferita, della lunghezza di 8,5 cm.
«Si conclude che le lesioni sono state provocate da uno strumento lungo e triangolare con bordi relativamente smussati, che ha perforato con forza la parete toracica, fratturato una costola e attraversato il ventricolo sinistro”.
Ed in effetti le caratteristiche della ferita corrispondono a quelle di una lima, poi ritrovata nelle mani di Luigi Lucheni, lunga 10 cm. L’assassino dichiarerà poi di aver colpito con forza, sentendo lo strumento penetrare profondamente nel torace.

Ma la ferita al cuore che così si è prodotta è sottile e netta e lascia uscire solo minime quantità di sangue ad ogni battito. Il sangue a poco a poco si accumula nel sacco pericardico e progressivamente finisce per comprime il cuore mentre la pressione arteriosa si fa sempre più bassa. E’ così che, dopo il ferimento, Sissi ha il tempo per rimettersi in piedi e, perfino correndo, per raggiungere il battello prima di accasciarsi, perdendo conoscenza.

Ricostruito nei suoi dettagli il ferimento di Sissi, restano ancora aperti alcuni interrogativi.
L’assassino Luigi Lucheni
Primo fra tutti, chi è Lucheni e perchè uccide l’Imperatrice d’Austria?
Luigi Lucheni è un manovale stabilitosi a Losanna per lavorare nel cantiere della nuova sede delle Poste. Qui entra in contatto con ambienti anarchici che in quel momento sono focalizzati sull’idea di mettere in atto un regicidio come atto politico esemplare. Lucheni decide che vuole essere lui a compiere un gesto estremo per dare senso alla propria esistenza.

Non ha i soldi per acquistare un’arma ma riesce a procurarsi una lima che si preoccupa di far affilare. Si reca ad Evian les Bains, località di villeggiatura dell’aristocrazia europea, e si procura l’Evian Programme, che verrà ritrovato nelle sue tasche, per consultare l’elenco degli ospiti illustri. Tuttavia Lucheni non identifica nessun obiettivo adatto al suo scopo e fa rientro a Losanna dove spera di poter colpire il Duca d’Orleans ma quando arriva il nobile è già ripartito. Mentre sembra ormai rassegnato a rinviare il proprio piano, Lucheni incontra un ex-commilitone che lo informa dell’arrivo dell’Imperatrice d’Austria che alloggia in incognito all’Hotel Beaurivage.
Avuta notizia che l’Imperatrice ha in programma di imbarcarsi per Montreaux, Lucheni si apposta sul quai du Mont-Blanc, nascosto dietro un ippocastano, la lima nascosta in un mazzo di fiori. Al passaggio della donna la colpisce con un solo fedente al petto e poi tenta la fuga. Viene presto bloccato da alcuni passanti che lo consegnano alla polizia. Interrogato sul movente, dichiara:
«Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».
Un colpo sferrato con una precisione chirurgica
Di questa dinamica colpisce però la precisione quasi chirurgica del gesto. Come ha potuto Lucheni, senza alcuna formazione medica, infliggere un colpo tanto efficace, centrando il cuore? È improbabile che in pochi istanti, con la vittima vestita di nero, parzialmente coperta da un ombrello e da una veletta, l’attentatore sia riuscito a mirare con consapevolezza. È più plausibile che abbia agito d’istinto, con un colpo cieco ma letale.
Ci sono poi altri interessanti quesiti: se la lima non fosse stata subito estratta l’Imperatrice avrebbe forse potuto sopravvivere più a lungo? Il corsetto indossato dall’Imperatrice ha avuto un qualche ruolo nell’evoluzione del quadro clinico? Sissi avrebbe potuto sopravvivere se l’evento fosse stato gestito diversamente?
Come detto l’Imperatrice Elisabetta muore per una ferita penetrante al torace con interessamento cardiaco prodotta da una lima sottile: uno strumento molto raro in casi simili. Nonostante l’arma sia insolita, lesioni cardiache da mezzi sottili e appuntiti come questo sono ben documentate e spesso fatali, anche se ai nostri giorni sono descritti casi di sopravvivenza legate a tempestive misure terapeutiche.
Certamente già all’epoca erano noti i segni clinici del tamponamento cardiaco ed era praticata la pericardiocentesi ma è bene ricordare che anche i casi di sopravvivenza riportati nella medicina moderna sono legati ad immediati interventi di primo soccorso, impensabili nel contesto del 1898 e dei quali Sissi non potè beneficiare.
Nè, in una tale prospettiva, è immaginabile che se la lima fosse rimasta in situ, esercitando un effetto “tappo”, le chance di sopravvivenza di Sissi avrebbero potuto essere significativamente diverse. Analogamente non ci sono elementi fisiopatologici a supporto dell’ipotesi che la stretta contenzione del torace esercitata dal busto possa aver svolto un qualche ruolo nell’evoluzione clinica del ferimento.
Una morte figlia del tempo in cui avvenne
Quanto infine allo stato di salute dell’Imperatrice non vi sono evidenze che malattie pregresse abbiano contribuito alla morte. Nei registri di corte risultano numerose preparazioni (unguenti, tinture, bevande) che suggeriscono la presenza di vari disturbi ma di natura prevalentemente psicosomatica, senza legame alcuno con la sua morte violenta. Elisabetta seguiva un rigido culto della bellezza: mantenne una circonferenza vita di 50 cm grazie a corsetti stretti e digiuni prolungati, compensati da esercizio fisico e cure mediche. È documentata anche una forma lieve di reumatismo e tendenza alla “malinconia”, talvolta interpretata come depressione, per la quale fu trattata anche con cocaina — all’epoca considerata un rimedio innovativo.
In conclusione, la morte dell’Imperatrice Elisabetta d’Austria non è solo il frutto di un gesto brutale, ma anche il riflesso di un’intera epoca. Un tempo in cui l’immagine idealizzata di una sovrana si scontra con la sua autentica fragilità, tanto fisica quanto psicologica, e in cui la medicina — pur segnando importanti progressi — si rivela ancora impotente di fronte a un evento traumatico gestito con strumenti insufficienti. Una vicenda che, ancora oggi, invita a riflettere con consapevolezza critica non solo sui protagonisti della storia, ma anche sui mezzi attraverso cui cerchiamo di ricostruirne la verità.