Il feto durante il travaglio è “uomo”: questo sostiene una interessante sentenza della Cassazione Penale, (Sez. IV, 20 giugno 2019 (ud. 30 gennaio 2019), n. 27539.
Omicidio, infanticidio e procurato aborto
La Corte affronta, nello specifico, i concetti di omicidio (doloso e colposo ex art. 575 e 589 c.p.), di infanticidio (art. 578 c.p.) e di procurato aborto (arB. 17 e ss. L. 194/1978) prendendo posizione.
In particolare, si sofferma sulla nozione di “uomo” dichiarando soggetto passivo di reato anche il feto.
Ecco alcuni passi interessanti della Sentenza:
La tutela della vita dell’uomo
Il reato di omicidio e di infanticidio-feticidio tutelano lo stesso bene giuridico, e cioè. la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 cod. pen. – cagiona la morte – identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto evidentemente, si può cagionare la morte soltanto di un essere vivo. Il legislatore, quindi, ha sostanzialmente riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché la morte è l’opposto della vita, essendosi in presenza di due reati che vigilano sul bene della vita umana fin dal suo momento iniziale.
Con la locuzione durante il parto, l’art. 578 cod. pen. specifica cosa sia da comprendere nel concetto di «uomo» quale soggetto passivo del reato di cui all’art. 575 cod. pen., in cui deve essere incluso anche il «feto nascente: prima di del limite la vita del prodotto del concepimento è tutelata da altro reato, il procurato aborto.
Il nascente è un essere vivo
Non deve confondere l’utilizzo del termine feto, nel dettato normativo dell’art. 578 cod. pen., ivi .usato impropriamente, perché il nascente vivo non è più feto, né in senso biologico, né in senso giuridico, bensì persona. e così, se .in un parto, naturalmente o provocatamente immaturo, il nascente è un essere vivo, la sua uccisione volontaria costituisce omicidio, o feticidio, qualunque sia stata la durata della gestazione..
Ne deriva che, in caso di parto indotto prematuramente e fuori dalle modalità consentite dalla legge, che si concluda con la morte del prodotto del concepimento (sia esso feto o neonato), nella conclamata assenza di ogni elemento specializzante, e fermo il principio irrinunciabile secondo cui la tutela della vita non può soffrire lacune, l’illecito commesso sarà un omicidio o un procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di vita autonoma o meno.
L’aborto per la giurisprudenza
Né deve fuorviare, nella demarcazione dell’ambito applicativo degli illeciti, il termine «aborto» ancora solitamente utilizzato dalla giurisprudenza. Se è vero che nella scienza medica si intende per aborto l’interruzione spontanea o artificiale della gravidanza in un periodo in cui il feto non è ancora vitale per l’insufficienza del suo sviluppo (prima del suo 180° giorno), secondo la nozione giuridica penale, l’aborto è ogni interruzione del processo fisiologico della gravidanza con la conseguente morte del feto, tant’è che il legislatore utilizza per il reato in questione la pù neutra formula: interruzione della gravidanza.
D’altronde, secondo l’unanime e consolidato orientamento della giurisprudenza in tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell’inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.
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