Giurisprudenza Medicina Legale Civilistica

Cassazione e micropermanenti: quello che conta è il medico-legale

Abstract

La Cassazione torna ancora a esprimersi sulla questione dell’interpretazione del concetto “clinico strumentale” nell’ambito della concessione di postumi in caso di micropermanenti ribandendo con forza ancora maggiore il ruolo del medico-legale come unico interprete della decisione finale.

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Con la sentenza 3477/22 del 22/12/2022 (Presidente e Relatore Gianniti) la Terza Sezione della Cassazione Civile ritorna su un tema che ha sempre destato polemiche. Qual è il significato reale che il legislatore quando, in tema di attribuzione di postumi in caso di “micropermanenti”, si debba interpretare il concetto di “clinico strumentale” per comprovare la sussistenza di lesioni e di conseguenti menomazioni risarcibili.

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Il fatto

Si sta parlando di un classico incidente stradale (scontro tra auto) in cui uno dei coinvolti riportata un trauma cranico non commotivo, distorsione cervicale e policontusioni. Il CTU nominato ribadiva il suddetto profilo diagnostico relativo alle lesioni riportate e, anche in considerazione della presenza nel paziente di una discopatia a livello cervico-lombare, valutava i postumi permanenti nella misura del 2,5% accertato dal punto di vista obbiettivo/clinico ma non accertato, né accertabile strumentalmente. Il Giudice di Pace, sulla base delle predette conclusioni, rigettava le richieste di parte attrce in merito alla sussistenza di postumi. Veniva quindi proposto appello davanti al Tribunale di Bologna che confermava la sentenza di primo grado. Si arrivava quindi alla Cassazione.

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Le richieste della parte ricorrente

Veniva contestata la violazione o falsa applicazione dell’art. 139 comma 2 d. Igs. 209/2005, come modificato dall’art. 32 comma 3 ter legge n. 27/2012 ed innovato dall’art. 1 comma 19 della legge n.124/2017 sostenendo che il danno biologico permanente, derivante la lesione di lieve entità, per il suo risarcimento, non richiede necessariamente un accertamento medico strumentale obiettivo, potendo risultare sufficiente che esso sia stato oggettivamente percepito dal medico legale in sede di visita medica (cioè di esame obiettivo/visivo), come per l’appunto era avvenuto nel suo caso.

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La decisione della Cassazione

L’interpretazione delle fonti legislative

Premettendo che la Suprema Corte si era già espressa sul punto (sent. n.18773/2016, sent. n. 1272/2018; ord. n.22066/2018, 5820/2019 e 11218/2019), la Sezione III anche in questa occasione ribadiva che il legislatore, nel caso di specie, aveva voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigorosa dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura propria per la numerosità delle richieste di risarcimento con possibili ripercussioni sui costi collettivi gravanti sulla comunità richiamandosi altresì a precedenti dettati dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 235 del 2014, ordinanza n. 242del 2015 e sentenza 98/201 ).

Ciò posto la Cassazione affermava che il rigore – che il legislatore ha dimostrato di esigere e che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso nel senso che la prova della lesione debba essere fornita, nel caso di microlesioni, sempre e comunque con l’accertamento clinico strumentale (radiografie, TAC, risonanze magnetica, ecc.).

L’importanza del giudizio medico-legale

Dunque, per la Cassazione, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale, che sia svolto in conformità alle leges artis, a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile (ord. n. 7753/2020). In definitiva, riprendendo le parole degli ermellini, l’accertamento del danno alla persona deve essere sì condotto secondo una rigorosa criteriologia medico-legale, ma nell’ambito di detta criteriologia, anche nel caso di micro-permanenti, sono ammissibili anche fonti di prova diverse dai referti di esami strumentali.

Gli esami strumentali, infatti, non sono l’unico mezzo utilizzabile, ma si pongono in una posizione di fungibilità ed alternatività rispetto all’esame obiettivo (criterio visivo) e all’esame clinico, demandato al medico legale. I criteri scientifici di accertamento e di valutazione del danno biologico tipici della medicina legale (e cioè il criterio visivo, il criterio clinico ed il criterio strumentale), invero, non sono tra di loro gerarchicamente ordinati e neppure vanno unitariamente intesi, ma vanno utilizzati dal medico legale, secondo le legis artis, nella prospettiva di una “obiettività” dell’accertamento, che riguardi sia le lesioni che i relativi eventuali postumi.

Ad impedire il risarcimento del danno alla salute con esiti micropermanenti, dunque, non è di per sé l’assenza di riscontridiagnostici strumentali, ma piuttosto l’assenza di una ragionevole inferenza logica della sua esistenza stessa, che ben può esserecompiuta sulla base di qualsivoglia elemento probatorio od anche indiziario, purché in quest’ultimo caso munito dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.

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Il nuovo ruolo del consulente tecnico

La Cassazione, infine, ribadisce e conferma l’importanza dell’indagine peritale anche del contesto di un nuovo posizionamento di quest’ultima citando la. 3086/2022 delle Sezioni Unite. Qui si afferma, infatti, “che nel passaggio dal codice di procedura civile del 1865 al codice vigente l’istituto peritale è fatto oggetto, nel rinnovato assetto valoriale che ha posto il giudice al centro dell’ordinamento processuale, di un profondo ripensamento che, ben più di quanto non rendano percepibile l’assunzione di una nuova denominazione e la nuova collocazione nella topografia del codice, ne ha mutato alla radice la natura in nome di una diversa concezione del ruolo che – già in allora, ma tanto più oggi di fronte alla preponderante lievitazione del contenzioso ad alto tasso di specialità – l’apporto del sapere tecnico gioca nella risoluzione delle controversie civilistiche”.


Qui sotto potete leggere e scaricare il testo completo della sentenza

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