Abstract
Ancora una volta la Cassazione si interessa di un tema spinoso: il danno risarcibile per una ritardata diagnosi di una patologia a prognosi infausta specificando cosa esattamente risarcire pur non potendosi dimostrare un nesso di causalità con il decesso e nemmeno con una perdita di chance di sopravvivenza.
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Stiamo parlando di una sentenza emessa dalla III Sezione Civile della Corte di Cassazione (la 27682/2021 del 12 ottobre 2021 Presidente Travaglino, Relatore Pellecchia).
Quanto al caso si trattava di un soggetto in cui parte attrice sosteneva che era stata colposamente omessa una diagnosi di un linfoma NH che aveva poi provocato la morte della paziente. In primo grado, dopo l’esecuzione di CTU, le istanze dei ricorrenti furono respinte in quanto non venne rilevata la sussistenza di colpa professionale. In Appello, nonostante fossero stati riconosciuti degli elementi di negligenza da parte dei medici, la sentenza fu ancora negativa per la parte attrice, in quanto non venne riconosciuta la sussistenza di nesso causale tra la mancata diagnosi ed il decesso, non incidendo quest’ultima sulla progressione letifera della malattia.
La Cassazione ritorna però con il suo pensiero ad altri suoi precedenti pronunciamenti (sentenza 7260/2018).
Se accertata che colpa ci fu, come sostenuto dalla CTU in appello, la mancata comunicazione in modo corretto della diagnosi, pur non essendo quest’ultima né in relazione causale con la morte, né, in aggiunta, con una eventuale perdita di chance, comunque è degna di risarcimento.
Infatti, dice la Suprema Corte, cassando le precedenti sentenze:
“In caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l’area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, nè nella perdita di “chance” di guarigione, ma include la perdita di un “ventaglio” di opzioni con le quali scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita, che determina la lesione di un bene reale, certo – sul piano sostanziale – ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali; in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all’opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione”.
Qui potete leggere e scaricare la sentenza in forma completa.
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