Dove è andata a finire la componente “statica” del danno biologico?
In un dibattito sui nostri google groups, il Prof. Francesco Maria Avato, già Ordinario di Medicina Legale presso l’Università di Ferrara, sosteneva ancora con forza che, nel danno biologico, sotto il profilo definitorio la sua “componente statica” era ben presente e ne era un aspetto fondamentale.
Ma oggi, dopo l’entrata in vigore del Codice delle Assicurazione attraverso gli art.i 138 e 139 anche con le ultime modifiche, tutto è cambiato senza che mai sia stata sottolineata quanto la definizione di danno biologico sia mutata rispetto alle origini dottrinarie che la medicina legale italiana.
Di tale questione ben pochi se ne sono interessati e oggi, anche attraverso l’evoluzione giurisprudenziale stimolata dalla Cassazione, a mio avviso, il problema si pone e potrebbe riverberarsi anche concretamente sul piano valutativo.
Partiamo dall’inizio: Ferrara
Ma partiamo dall’inizio.
Per la serie “trova le differenze” ecco quanto riportavano i primi 3 articoli del Decalogo Simla delle Giornate Estensi di Medicina Legale, pietra miliare, almeno per noi medici-legali, del nostro contributo dottrinario alla delimitazione del danno non patrimoniale di competenza clinica:
Art.1 “Il danno biologico consiste nella menomazione permanente e/o temporanea all’integrità psico-fisica della persona comprensiva degli aspetti dinamico relazionali passibile di accertamento e valutazione medico-legale ed indipendente dalla capacità di produrre reddito”.
Art. 2 La valutazione del danno biologico è espressa in termini percentuali della menomazione dell’integrità psico-fisica comprensiva della incidenza sulle attività quotidiane comuni a tutti.
Art. 3: nel caso in cui la menomazione stessa incida su particolari aspetti dinamico-relazionali e personali, la valutazione è completata da indicazioni aggiuntive da esprimersi in forma esclusivamente descrittiva.
A tali incisivi concetti si ispirano ancor oggi, i nostri baréme di riferimento ove si associa, nella valutazione, sia la componente “statica” che quella dinamico relazionale.
Se così non fosse, la perdita della milza – senza nemmeno il reliquato cicatriziale relativo all’intervento chirurgico di splenectomia – non avrebbe mai potuto essere valutata nella misura del 10 % perché un soggetto, nel caso dell’asportazione di quest’organo, continua, nella stragrande maggioranza dei casi, a fare tutto quello che faceva prima dello sfortunato incidente.
Ma quello che si misurava con la quantificazione percentuale, secondo i nostri antichi Maestri, altro non era che la forma “statica” del danno biologico mentre per i “particolari” aspetti dinamico-relazionali la valutazione non era percentuale ma descrittiva.
Insomma, nel numero ci stava tutto il “minusc” prodotto dall’azione lesiva: la lesione in sé dell’integrità psico-fisica e le “forzose rinunce” (oggi piace chiamare così l’impossibilità di compiere le attività quotidiane comuni a tutti).
Il Codice delle Assicurazioni sembra che dica la stessa cosa ma non è così
Se noi, però, andiamo invece alla definizione di danno biologico degli art.i 138 comma 2 a) e 139 comma 2 del CdA ben diversa è la situazione.
Quest’ultimi, infatti, danno questa definizione di danno biologico:
“Per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato suscettibile di accertamento medico-legale indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”
Al comma 3 del 139 si specifica in più che:
“Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l’ammontare del risarcimento del danno (omissis) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento”.
Ma questo vale soltanto per le micropermanti (fino al 9 % di danno biologico) perché per le macro, a cui fa riferimento l’art. 138, che reintroduce nell’ordinamento risarcitorio il “danno morale” senza definirlo, la cosiddetta “personalizzazione” (comma 3) è altra cosa.
Infatti quest’ultimo recita “Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento del danno (omissis) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30 per cento”.
Un colpo di spugna
Non si scappa dunque: la condizione “statica”, non è compresa nella definizione di Legge perché la lesione dell’integrità psicofisica DEVE, solo e soltanto, incidere sulle attività comuni a tutti e sugli aspetti dinamico relazionali.
Quindi la definizione di danno biologico SIMLA viene cancellata parzialmente ma in modo significativo con la riduzione della componente statica.
Ovvero, per così dire, il danno biologico diventa movimento e l’integrità psico-fisica in sé per sé considerata viene eliminata.
Il decalogo della Cassazione
Solo e solo dinamico relazionale
La Cassazione, nella ormai celeberrima cosiddetta ordinanza Decalogo (7513/2018) arriva dunque ad affermare che il “danno dinamico relazionale non è che una perifrasi del danno biologico” e, ancora, che il “danno alla salute è un danno dinamico relazionale”. Arrivando poi a sentenziare che se il danno non è dinamico relazionale la lesione alla salute “non sarebbe nemmeno medico-legalmente apprezzabile e quindi giuridicamente non risarcibile”.
Quindi a chi, per colpa o volontariamente, è stato provocato un infarto miocardico con conseguente NYHA 1 o 2, se non è uno sportivo accanito, ma fa una vita sedentaria, nulla o assai poco è risarcibile quanto a postumi permanenti perché non è cambiato niente nel suo fare (anche se, magari, ha una fifa blu che gli ricapiti ma quello non è per la Cassazione danno biologico ma danno morale).
Noi avevamo detto un’altra cosa
E la Suprema Corte, ci tira poi in mezzo dicendo che siamo noi che l’abbiamo detto (la citazione è lunga ma andate al punto 5.8 della sentenza e leggete) ove l’estensore – il Consigliere Rossetti – cita il decalogo SIMLA 2001 dimenticandosi però che SIMLA sosteneva che il danno biologico era comprensivo degli aspetti dinamico relazionali e delle attività comuni a tutti ma non era SOLO dinamico- relazionale, anzi. E ci fa anche un esempio sostenendo che se un soggetto viene valutato con un’invalidità del 50 % di danno biologico permanente vuol dir che questo ha limitato della metà le sue ordinarie attività rispetto ad un altro soggetto della stessa età e dello stesso sesso.
Allora non resta che ancora andare sul pratico: un soggetto che ha perso il rene e la milza, tenendo conto delle cicatrici residuate dagli interventi chirurgici, può essere valutato in un range compreso tra il 25 e il 30 % di danno biologico. Ma dir che ha limitato tra un terzo e un quarto le sue quotidiane attività o, ancor meglio, le attività comuni a tutti, è decisamente fuorviante e assolutamente non sostenibile stando a comuni conoscenze cliniche. Però, dico io, ha perso un rene e la milza vivaiddio.
E che dire del danno estetico che solo in casi eccezionali ed estremamente gravi dovrebbe essere considerato sul piano “dinamico relazionale” ma soltanto nella sua componente di “sofferenza soggettiva” e quindi non inquadrabile in una forma di liquidazione tabellare ancorata al danno biologico.
La Cassazione non fa che leggere quel che è scritto
Attenzione, però, che il vulnus è la definizione stabilita per Legge non tanto l’interpretazione degli ermellini che, naturalmente proseguendo in un percorso logico – deduttivo, sempre nella stessa sentenza ribadita, peraltro, più volte, quanto alla personalizzazione del danno biologico affermano che essendo i pregiudizi dinamico-relazionali compresi nel danno biologico stesso, l’aumento del 20 o del 30 % che sia della liquidazione previsto dalla Legge, va attribuito soltanto quando “le conseguenze dannose risulano del tutto anomale e affatto peculiari”.
Conseguentemente “le conseguenze normali ed indefettibili – omissis – (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento“.
A farne le spese, nel caso di specie, era un signore con un danno biologico molto elevato, che, come si dice dalle mie parti, “andava a far l’orto” e che non si è beccato la personalizzazione. Io, e molti di voi, non andremmo a coltivare le melanzane neanche se ci sparassero (non mi piace la verdura e “a anda’ nell’urtaia” nella Pianura Padana, almeno d’estate, si rischia il colpo di calore e di essere divorati da – come dice Bruce Boss Springsteen – da “mosquitos big as airplanes”.
E quindi se qualcuno daneggia gravemente il mio udito e non riesco più a sentire la musica non becco più niente quanto a personalizzazione: peccato che, nella mia ormai lunga esistenza abbia speso decine di migliaia di € in dischi, e francamente mi sentirei più danneggiato di uno che ha a casa un mangiadischi con un unico 45 giri: “Gente di fiumara” di Mino Reitano che nomino e perdono in quanto noto interista.
Una dottrina latitante
E’ ovvio che se la nostra dottrina è latitante da anni e ben pochi si sono interessati di queste cose e, da un lato, mi sento di dirlo con grande dolore e, dall’altro, mi vergogno un po’ perché chi scrive è capace ed è degno di farlo, forse, solo in questa sede che è nobile per la divulgazione e l’informazione ma non per il reale approfondimento di carattere, davvero, dottrinale (ci vuol altro, dai).
Occorrerebbe un colpo di coda: se la Rivista Italiana di Medicina Legale sta rinascendo come speriamo tutti, lì certo ci sarà spazio per dibattiti forse un po’ più “inquadrati” almeno sotto il profilo formale di questo che, io ritengo un “divertissment” anche se, forse, fa più informazione, che paludate riviste giuridiche che contano assai pochi lettori mentre noi di Simlaweb ne facciamo 1500 – 2000 al giorno.
Quello che ci manca è l’autorevolezza ed anche un tantino siamo soverchiati da una Cassazione che fa Legge anche spesso su opinioni che benché assai qualificate rimangono tali.
A dirla tutta, la sentenza “decalogo” non è proprio fra queste anche perché dà un’interpretazione del Codice delle Assicurazioni che, per certi versi, è difficile da contestare almeno sotto il profilo della definizione di danno biologico.
E’, altrettanto indubbio, che, comunque, fa nomofilassi e cultura giuridica; basta vedere quanto è citata dai “tabellatori” che la considerano alla stregua di un vero e proprio “decalogo” biblico disceso, tra tuoni e fulmini dal Monte Sinai.
La miccia è accesa. Se poi la bomba scoppia…
Non si vuol certo dire che le argomentazioni portate avanti dalla Cassazione non abbiano una validità ma è indubbio, per chi si interessa di cose mediche anche in ambito giurisprudenziale, e il “danno biologico” lo è per definizione come, mi sentirei di dire, tutto il danno non patrimoniale a persona, dovrebbe rendersi conto che ha acceso una miccia che scardina dalle fondamenta tutto il sistema.
Potremmo anche dire: si apra il dibattito.
Ma attenzione.
Vuol dire cambiare tutto.