Abstract
Una nuova sentenza della Cassazione, in presenza di danno iatrogeno da malpractice e intervento INAIL per infortunio, cerca di mettere ordine sulla problematica del “danno differenziale” inteso sia in senso liquidativo, che menomativo.
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Sul “danno differenziale” interviene la Cassazione Civile Sezione 3° con una recente sentenza. Si tratta della 26117/2021 (Presidente Travaglino, relatore Rossetti)
Nel caso in esame, un uomo era rimasto vittima di lesioni in un sinistro stradale in itinere, quindi sotto tutela INAIL, senza che si fossero ravvisate responsabilità di terzi. Il successivo decorso in ospedale, a causa delle errate cure, aveva determinato un aumento del quadro menomativo complessivo per cui la vittima aveva chiamato in causa l’Azienda Ospedaliera ove era stato ricoverato: si era passati, in buona sostanza, da un 12 % di danno biologico ascrivibile al fatto traumatico da incidente stradale tutelato dall’INAIL ad un 20 % (attuale situazione di danno biologico) con quindi un 8 % ascrivibile al danno iatrogeno da colpa professionale sanitaria.
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Così, con le sue stesse parole, la Suprema Corte affrontava il problema:
“Il problema qui in esame può così sintetizzarsi: come si debba quantificare il credito risarcitorio spettante alla vittima di un fatto illecito che:
a) abbia patito un danno alla salute non ascrivibile a responsabilità di alcuno (“danno-base”);
b) abbia patito un aggravamento del suddetto danno ascrivibile al fatto colposo dell’uomo;
c) abbia percepito dall’INAIL un indennizzo commisurato al danno finale ( danno-base più aggravamento)”.
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I Giudici sottolineano che i principi fondamentali per operare tale computo risultavano così delineati:
“Non esiste… una “salute lavoristica” ed una “salute civilistica”; esistono soltanto criteri differenti per la monetizzazione del relativo pregiudizio, a seconda che debba essere indennizzato dall’assicuratore sociale o risarcito dal responsabile civile.
Da ciò consegue che, da un lato, la vittima non potrebbe pretendere di “compartimentare” i pregiudizi subìti, per evitare che l’indennizzo già percepito sia imputato al solo danno-base, e non sia anche imputato a diffalco del risarcimento dovuto per l’aggravamento. Dall’altro lato, e converso, il responsabile non potrebbe pretendere che l’indennizzo pagato dall’Inail sia portato in primo luogo e per l’intero a diffalco del risarcimento dovuto per l’aggravamento, e solo la parte residua sia imputata al danno-base“.
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Sulla base di tali principi ecco la sintesi proposta dalla Cassazione per la definizione del caso:
“a) stabilire la misura del danno-base e quella dell’aggravamento ( coi criteri che meglio sì diranno in seguito);
b) determinare il complessivo indennizzo dovuto dall’Inaìl, sommando i ratei di rendita già percepiti e capitalizzando la rendita futura, al netto dell’incremento per danno patrimoniale;
c) verificare se l’indennizzo totale sub (b) sia inferiore o superiore al danno base.“
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Nel primo caso, il responsabile dell’aggravamento sarà obbligato a risarcire quest’ultimo per intero; nel secondo caso il responsabile dell’aggravamento sarà tenuto a risarcire quel che resta sottraendo dall’aggravamento la differenza tra l’indennizzo Inail e il danno-base.
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Algebricamente, il criterio può così esprimersi:
Se I < DB il risarcimento dell’aggravamento è dovuto per intero, se I > DB l’aggravamento va liquidato con la seguente formula: DD = Agg – (I – DB).
Dove:
○ OD è il danno differenziale;
○ Agg è l’aggravamento del danno-base (danno iatrogeno);
○ I è l’indennizzo pagato dall’INAIL, capitalizzato coi criteri sopra indicati;
○ OB è il “danno-base”, ovvero il controvalore monetario del grado di invalidità permanente che sarebbe comunque residuato all’infortunio, anche in assenza del fatto illecito.
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In pratica, il criterio corretto consiste nell’imputare a diffalco del risarcimento del danno iatrogeno la sola eventuale eccedenza pecuniaria dell’indennizzo INAIL rispetto al danno-base”.
La Cassazione sottolinea in modo assolutamente chiaro che:
“tutti i calcoli sopra indicati andranno compiuti previa monetizzazione dell’invalidità: e dunque sugli importi monetari, e non sulle percentuali di invalidità (come ritenne erroneamente il primo giudice, pur avendo sostanzialmente intuito quale fosse il calcolo corretto). Il risarcimento del danno iatrogeno, in particolare, non va quantificato sottraendo il grado percentuale di invalidità idealmente ascrivibile all’errore medico, dal grado percentuale di invalidità complessiva effettivamente residuato; va invece determinato monetizzando l’una e l’altra invalidità, e sottraendo dal controvalore monetario della seconda il controvalore monetario dell’invalidità che comunque sarebbe residuata all’infortunio anche nel caso di diligenti cure“.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza in forma completa.
Naturalmente, anche qui, più sulla formula del conteggio monetario, sul quale la sentenza chiarifica in modo cristallino una situazione assai complessa, qualche dubbio sorge sulla comparazione dei “danni” al complesso salute della vittima: siamo sicuri il che il “danno” ovvero quello tutelato dall’INAIL sia davvero un “danno” visto che non vi è responsabilità di alcuno? E’ ancora valida quindi la definizione di “danno” che noi conosciamo come risarcimento di solo fatto illecito? Quello che noi medici legali misuriamo con le nostre percentuali per definizione è un “danno da fatto illecito” oppure un’astratta misurazione della “salute” o “del non fare del soggetto” conseguente a qualsiasi forma patologica (traumatica, naturale, da responsabilità o meno di terzi) ? Ma non sono diversi anche per misurazione – la differenza tra le tabelle lo confermerebbe – “il danno biologico INAIL” o “il danno biologico da responsabilità civile” ? E, ancora, abbiamo gli strumenti per misurare quel “danno” se “danno” propriamente non è? E si ritorna, ancora una volta, a parlare di “danno differenziale” in senso non di monetizzazione, ma di valutazione medico legale della componente biologica menomata da responsabilità di terzi. Il dibattito sul tema pare infinito.
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