Ci giungono ancora sollecitazioni ed interventi sui dati Eurispes ottenuti dall’esame degli ATP in ambito responsabilità medica del Tribunale di Roma (vedi).
Questa volta intervengono l’Avv. Nicola Todeschini di Treviso e il Dott. Davide Santovito, che oltre ad essere nostro collaboratore da tempo, è anche Dirigente Medico nella SC di Medicina Legale dell’AO Città della Salute di Torino
L’intervento dell’Avv. Todeschini

Il pregiato studio dell’Eurispes ) scaturito dalle statistiche del Tribunale di Roma in materia di ATP e puntualmente studiato da SIMLA mi ha suggerito alcune note che di seguito porto all’attenzione degli interpreti.
L’Avvocato è importante eccome
Affermare che nel procedimento per A.t.p. “la figura e la funzione dell’avvocato e del Giudice sono, per lo più, del tutto marginali e periferiche” significa dimenticare, a titolo d’esempio, la dottrina e giurisprudenza sorte in materia di ammissibilità del procedimento per accertamento tecnico preventivo. Ne sono derivate osservazioni e un contenzioso assai delicato che hanno convinto diversi Tribunali a formare decaloghi proprio in materia di ammissibilità del ricorso. La scelta dei soggetti da coinvolgere nell’accertamento tecnico preventivo, inoltre, suggerisce uno scenario del tutto diverso quindi della delicatezza delle questioni di carattere giuridico che debbono essere poste a fondamento delle delicate scelte, appunto, giuridiche, che determinano poi il risultato della stessa procedura.
L’importanza del quesito peritale
Non va dimenticata inoltre l’altrettanto delicata predisposizione del quesito: va certamente ricordato che molti Tribunali (per esempio proprio quello di Roma (vedi) hanno elaborato propri quesiti (a dimostrazione del fatto che anche la determinazione del quesito riveste un momento, sotto il profilo giuridico, assai rilevante). E vi sono giuristi che, come chi scrive, hanno cura di proporre sempre al Magistrato, seppur nel rispetto del quesito che questi è solito predisporre, un proprio quesito che consenta di circoscrivere o, in qualche caso, estendere l’indagine a tutte le questioni che ha inteso allegare.
In più molto spesso la superficialità nell’utilizzo di quesiti ciclostilati e buoni per tutte le stagioni rende di fatto inutile o parzialmente inutile l’intero procedimento per accertamento tecnico preventivo, poiché non impone ai consulenti di tener conto in modo specifico delle singole allegazioni ma di fatto li invita ad una più generica valutazione del caso come se, appunto, l’A.t.p. fosse una “questione per medici- legali” che devono vedersela tra di loro a prescindere dalle allegazioni di parte e dalle delicate questioni giuridiche, con l’eEetto che sarà necessaria una chiamata a chiarimento nel successivo procedimento di merito.
Bisogna sempre rammentarsi, inoltre, che la questione, altrettanto giuridica, della selezione dei soggetti da coinvolgere e la risposta al quesito circa l’individuazione della parte gravata dall’onere di chiamare in giudizio anche altri soggetti ai quali le altre parti, o il Magistrato, ritengano di dover estendere l’accertamento.
Ma il medico deve entrare o no nel contenzioso?
La circostanza che i sanitari dipendenti siano “lasciati in pace” e non coinvolti quindi nell’accertamento tecnico preventivo se, per un verso, è nel senso di concentrare le azioni, di natura contrattuale, sulla struttura, in adesione peraltro ad un orientamento che non discende dai meriti della Gelli-Bianco ma dalla buona abitudine che avevano tutti i giuristi specializzati in responsabilità medica anche prima, non è conclusione da prendere in considerazione con leggerezza, tanto più se si vuole tenere veramente in considerazione l’interesse del medico dipendente.
Va segnalato, anzitutto, che in tutti i casi nei quali la struttura pubblica e privata ha intenzione di agire in rivalsa, la mancata partecipazione del medico dipendente costituisce ostacolo all’utilizzabilità piena, della perizia formatasi in corso di accertamento tecnico preventivo, nel futuro giudizio di merito, e questo è un rischio che né il ricorrente né la struttura dovrebbero voler correre.
Ma vi è un altro dato, che le precedenti riforme non hanno tenuto in debita considerazione: il sanitario ha il diritto-dovere di interessarsi della questione di responsabilità che è stata invocata sia in via stragiudiziale che in giudizio, poiché il rischio di essere coinvolto in un futuro procedimento di natura erariale, oltre che la tutela della sua onorabilità personale e professionale, meriterebbero attenzioni già nell’A.t.p. e quindi nel giudizio di merito.
Il medico avrebbe il diritto di difendersi e gli converrebbe pure
Personalmente non acconsentirei mai che la mia difesa venisse presa in considerazione da un soggetto terzo, per quanto mio datore di lavoro, che ha un interesse nel processo che in taluni casi può essere anche diametralmente opposto al mio, e che può abbandonare ottime ragioni di mia difesa per inseguire le proprie. Se mai un medico mi chiedesse, quindi, se disinteressarsi del procedimento in corso, e della propria anche solo quota di responsabilità nella causazione del danno, gli consiglierei di essere presente, ben assistito, e di scegliersi anzi un difensore che non sia necessariamente lo stesso della struttura sanitaria o della relativa compagnia di assicurazione.
Dove sono i dati certi sulla cosiddetta medicina difensiva?
Sul pedissequo riferimento alle tesi che vedono la medicina difensiva al centro di qualsiasi elaborazione in materia di responsabilità medica, mi permetto di rinnovare i miei profondi dubbi: la statistica alla quale tutti fanno riferimento e che è stata raramente approfondita, sembra ricondursi ad un campione veramente limitato di interviste telefoniche nel corso delle quali i medici avrebbero indicato la propria solerzia nel prescrivere esami inutili al fine di precostituirsi opzioni di difesa in un futuro procedimento.
Già per come è descritta dovrebbe farci riflettere sulla sua inconsistenza: quando mai la prescrizione di un esame ritenuto inutile (e fonte di responsabilità così contrattuale che extracontrattuale nei confronti del paziente, della struttura da cui si dipende, dell’erario) dovrebbe un giorno avvantaggiare il sanitario. Non solo, nella mia esperienza professionale di più di venticinque anni di responsabilità professionale e di migliaia di casi affrontati anche in giudizio, posso affermare che la stragrande maggioranza sono cagionati da difetto di prudenza.
Ebbene tale dato mi convince della valenza suggestiva del tema della medicina difensiva: se effettivamente i medici fossero afflitti dal rischio difensivo e si fossero decisi di prescrivere migliaia di esami inutili, i difetti di tempestiva diagnosi sarebbero infinitamente minori, e le ragioni di accusa fondate sulla prudenza decisamente limitate, poiché i molti esami “inutili” avrebbero ben dovuto svelare le patologie che invece, ahinoi, sono spessissimo al centro dell’attenzione delle cause per responsabilità medica.
Ma il medico dipendente è davvero esente da forme di responsabilità contrattuale nei confronti del paziente?
Va rimarcato inoltre un altro dato in parziale controtendenza con quella sorta di plebiscito dei commentatori in favore dell’affermazione del cosiddetto doppio binario (responsabilità solo contrattuale della struttura, responsabilità solo extracontrattuale del medico dipendente): non dimentichiamo che l’art. 7 della Gelli Bianco, dopo il secondo passaggio in Senato, è stato aggiornato rispetto alla formulazione precedente che sembrava voler più radicalmente alludere (ma non escludere!) la configurabilità della responsabilità contrattuale del medico dipendente.
Nonostante sia passata inosservata, a mio avviso abbastanza incredibilmente, la modifica “salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente” non si può non assegnare ad una precisazione tanto importante un significato, diversamente dovremmo ammettere l’inutilità di una rilevante precisazione del Legislatore in difformità dei principi ermeneutici che dovrebbero suggerire -pur nei limiti delle gravi contraddizioni della Gelli-Bianco- di assegnare un significato piuttosto che negarlo. Ebbene, lo stesso Legislatore anziché escludere radicalmente che sia configurabile una responsabilità contrattuale del medico dipendente apre all’inevitabile, osservando che l’obbligazione può ben essere assunta direttamente dal sanitario con buona pace per chi ritiene che il cosiddetto doppio binario sia un assioma indiscutibile. E aggiungo: ben può essere assunta “anche” dal sanitario dipendente, quindi in eventuale concorso con quella della struttura.
Le scelte lessicali della Balduzzi e della Gelli Bianco
Peraltro, come ho avuto modo di chiarire anche nella mia ultima fatica per Utet (sia consentito per rapidità farvi riferimento agile per chi ne avesse interesse ), le scelte lessicali così della Balduzzi e successivamente della Gelli-Bianco non sono mai state nel senso di escludere una responsabilità anche contrattuale del medico, così come non hanno mai escluso una responsabilità anche extracontrattuale della struttura. Per il vero lo scopo del Legislatore non dovrebbe essere quello di offrire patenti di attendibilità a diverse ipotesi ermeneutiche ma di legiferare, ed è certo che sia la Balduzzi che poi la Gelli- Bianco hanno mancato sotto tale profilo come pregevole dottrina ha rilevato.
Non di titoli di responsabilità deve discorrere il Legislatore, semmai creare fattispecie, posto che la fattispecie “responsabilità medica” non esisteva e poteva ben essere formulata indicando i relativi elementi che la componevano. La scelta della Gelli-Bianco, che anche per tale ragione merita critiche, è stata invece quella di discutere, con il consueto mellifluo approccio di chi non è sicuro di quel che fa, di titoli di responsabilità tentando di boicottare un invece fecondo orientamento della Corte di Cassazione in materia di individuazione del titolo contrattuale anche nella prestazione del medico dipendente.
Ebbene, e al di là della questione del doppio binario, la precisazione da ultimo indicata nell’art. 7 impone di assumere posizione, sotto il profilo giuridico, e non medico-legale, in ordine all’assunzione dell’obbligazione da parte del medico dipendente ed anche tale questione dev’essere posta correttamente sia nella fase stragiudiziale che allorché si rediga il ricorso per accertamento tecnico preventivo, con il che la criticata affermazione dell’apparente ineffiicienza delle questioni giuridiche nel procedimento per accertamento tecnico preventivo merita revisione.
La gestione del contenzioso da parte delle Aziende Ospedaliere
Gli esiti del prezioso studio statistico del Tribunale di Roma che, va ricordato, in quasi due terzi dei procedimenti per accertamento tecnico preventivo instaurati vede l’affermazione della responsabilità, dovrebbe far riflettere anche sulla gestione del contenzioso in fase stragiudiziale, poiché è ben vero che una quota di responsabilità aEermata nel corso dell’A.t.p. potrebbe anche essere fallace (secondo chi difende le strutture questa è certamente un’obiezione), ma è chiaro che se non nel quasi settanta percento dei casi almeno, mi si passi l’approssimazione, in oltre la metà dei casi la posizione assunta da strutture sanitarie e sanitari prima dell’instaurazione del procedimento per accertamento tecnico preventivo è una posizione maliziosa che impedisce una soluzione transattiva del caso.
Andrebbe rimarcato che le Aziende Pubbliche, in autoassicurazione, e che assumono su di loro quindi fino all’ammontare di un determinata somma (spesso 500.000,00 o 750.000,00€) la gestione del contenzioso e la liquidazione del danno, con tutti i seri profili di danno erariale ad esso connessi, dovrebbero trovarsi al cospetto del paziente, tradito dalle aspettative di un servizio pubblico diligente, nella condizione di non regalare per certo del denaro, ma nella consapevolezza di gestire con dignità e massima attenzione il contenzioso, tenuto conto che non possono permettersi di certo di impegnare importanti risorse nella difesa di condotte invece chiaramente colpose.
Conciliate, conciliate
La circostanza che in quasi di due terzi dei casi sia presente una responsabilità e che tolti i potenziali errori di accertamento in A.t.p. c’è una larga parte di casi che dovrebbero trovare conciliazione in sede stragiudiziale, ma che giungono sino all’A.t.p. (verosimilmente anche al giudizio di merito) scopre il vaso di Pandora.
La possibilità di conciliare in via stragiudiziale un caso di responsabilità medica è veramente remota quando il valore non sia compresso nell’area delle cosiddette micro-invalidità con tutte le conseguenze, anche in materia di costo complessivo del sinistro, che vanno tenute in debita considerazione. Si obietterà che se non si definiscono è certamente colpa di posizioni cialtronesche da parte del paziente danneggiato e/o di chi lo patrocina ma debbo dire che nella mia esperienza non è mai accaduto che per un caso estraneo alle cosiddette micro-permanenti una struttura sanitaria abbia formulato un’offerta risarcitoria in via conciliativa prima dell’accertamento giudiziale indicando una misura di risarcimento dignitosa e quindi prossima ad un valore medio che auspicabilmente il paziente vorrebbe raggiungere all’esito del giudizio. È capitato piuttosto che si offrissero € 50.000,00 contro i 200.000,00/300.000,00€, 1.200.000,00€ contro i 3.200.000,00€, 80.000,00 contro i 250.000,00€.
L’offerta “reale” non c’è mai
E ancora: se fossero mai le pretese fantasiose dei patrocinatori a rendere impossibile la soluzione, che dire della chimera rappresentata dall’offerta reale? Quali ragioni ne impediscono l’utilizzo?
Come spieghiamo diversamente questa disparità incredibile tra le valutazioni delle strutture sanitarie in autoassicurazione (e pure assicurate) e quelle che poi si deducono dalla lettura delle sentenze o da accordi raggiunti in fase giudiziaria poco prima della sentenza? La conclusione è unica: o i Magistrati sono impazziti, le tabelle modificate notte tempo ed irraggiungibili per chi gestisce il contenzioso in materia di sanità, oppure è chiaro che esiste uno spreco enorme di risorse dovute alla pessima gestione dei casi di responsabilità medica sulla quale per anni mi sono concentrato anche nei miei corsi rivolti al mondo dei giuristi ed ai medici-legali, ma che non incontra evidentemente un grande interesse da parte della comunità scientifica che elargisce pur consulenze preziose ad un disattento Legislatore.
Facciamo un esempio
Un esempio (moltissimi altri li sto raccogliendo nel mio prossimo lavoro) di questo atteggiamento scandaloso per evitare prese di posizione qualunquiste? Presto detto: in una vertenza che coinvolge al contempo una struttura pubblica ed una struttura sanitaria privata, dopo una fase stragiudiziale inutile, per la totale chiusura da parte di entrambe le strutture, viene celebrato il procedimento per accertamento tecnico preventivo dal quale si deduce l’affermazione delle condotte difformi da parte dei sanitari.
Assente qualsiasi proposta transattiva è il patrocinatore dei danneggiati a formulare una proposta transattiva nei confronti delle strutture prima del giudizio ma tale equilibrata proposta, che nel corso del giudizio troverà una quantificazione di più di € 170.000,00 superiore, per quanto una delle strutture sia disponibile a profittarne, non si traduce in una transazione perché la struttura privata, su iniziativa della propria compagnia di assicurazione, pretende che i danneggiati sottoscrivano una transazione, per danno da perdita del rapporto parentale, grazie alla quale sia affermato il loro impegno a manlevare la struttura per qualsiasi futura richiesta di risarcimento anche ad opera di un terzo congiunto che non è mai stato parte del processo e che non rientra più nemmeno nello stato di famiglia d’origine!
Richieste sciocche
Trattandosi di rivendicazione di un danno iure proprio, e non iure haereditatis, la richiesta di manlevare la struttura dalla potenziale richiesta di un terzo, anch’essa formulata inevitabilmente iure proprio, è incredibilmente sciocca ma tale ostacolo obbliga i danneggiati a rivolgersi al Giudice e nonostante nel corso del procedimento di merito vengano sollevate obiezioni sia nell’an che nel quantum, dopo chiamata a chiarimenti del consulente d’ufficio non emergono elementi in favore di una diversa ricostruzione del fatto e di una diversa quantificazione del danno.
A pochi mesi dalla sentenza una delle parti tenta di definire in via conciliativa alle stesse condizioni che precedevano il procedimento di merito pretendendo però nuovamente la singolare manleva. Ebbene il procedimento dopo la resistenza dei danneggiati verrà probabilmente transato ma lo spreco di tempo, energie, oneri legati a questa incomprensibile insistenza da parte della compagnia di assicurazione della struttura privata ha reso un contenzioso, che era possibile risolvere in sei mesi, di durata invece pluriannuale.
E potrei continuare all’infinito descrivendo, come farò nella mia prossima pubblicazione, altri singolari casi di responsabilità da cattiva gestione del contenzioso in responsabilità medica.
Miglioriamo la Legge ma collaborare è un dovere
Sarei quindi cauto nel formulare elogi nei confronti del Legislatore in materia di responsabilità medica, piuttosto pretenderei che finalmente il Legislatore creasse norme e non si limitasse a bacchettare orientamenti interpretativi ricordando che gli strumenti sono fondamentali, segnalando che, ad onor del vero, ho perorato insieme al prof. Paolo Cendon, e nelle mie iniziative giudiziarie, tanti anni fa l’utilizzo dell’A.t.p. e del procedimento a cognizione ridotta prima ancora che la Gelli-Bianco sposasse, almeno in parte, questa soluzione, ma senza la collaborazione delle parti e la reale gestione del rischio, e corretta gestione del contenzioso, i risultati saranno sempre parziali e condizionati dalla capacità professionale, esperienza e correttezza delle parti nel singolo caso.
L’intervento del Dott. Santovito

Come potevo non intervenire in una discussione così accesa e che mi tocca quotidianamente nell’esercizio della mia professione ospedaliera, che mi vede impegnato anche a spiegare ai Colleghi perché risarciamo un danno al loro paziente.
Iniziamo subito con un atto di trasparenza: sono un dirigente medico ospedaliero dipendente del SSN e, ovviamente, sono dalla parte resistente. In altre parole, difendo l’ospedale presso cui lavoro ed i medici che esercitano lì la loro professione.
Non conosco la dottoressa Stucchi, conosco il dottor Migliorini (che apprezzo) e conosco per relazioni congressuali il dottor Marchesi.
Di Comitati Gestioni Sinistri (CGS), almeno così da noi si chiamano, ne mastico un po’, usando un gergo colloquiale, e voglio condividere anche i miei pensieri e le mie esperienze così come hanno fatto i quattro Colleghi, compreso il dottor Marozzi, che prima di me hanno dato “fuoco alle polveri”.
La problematica della privacy
Ogni regione dovrebbe avere il proprio regolamento o la propria DGR in tema di sinistri da responsabilità medica (il Piemonte ha una sua specifica DGR) e tutti gli ospedali afferenti al relativo Comitato devono attenersi strettamente ad esso, almeno per chi opera in autoritenzione e/o ha una SIR.
Sì, come dice la dottoressa Stucchi la problematica della privacy è un fatto reale: in assenza di un “firmato” consenso la pratica non procede e questo è previsto dalla DGR regionale e come tale non è oltrepassabile. Tuttavia, bisognerebbe iniziare a pensare che, se un nostro paziente ci muove una richiesta risarcitoria ed ora con la Legge 24/2017 la rivolge ad una Azienda Ospedaliera dotata di autonomia, il diritto di difendersi dovrebbe essere equiparabile o superiore alla “firma” per la privacy, ma questo è un altro discorso. Quindi condivo con la dottoressa Stucchi che a volte si giunge ad ATP in quanto per regolamento regionale non è possibile procedere all’istruttoria prima della citata “firma”, che non giunge mai, in alternativa il ricorso di ATP è depositato dopo un mese o poco più dalla richiesta risarcitoria.
L’ATP come primo passo
Condivido ancora con la dottoressa Stucchi il fatto che spesso la chiamata in ATP dell’Azienda Ospedaliera sia il primo passo che il paziente muove per la richiesta risarcitoria. Però, mentre i consulenti del paziente hanno avuto tutto il tempo per imbastire l’istruttoria, predisporre la ricerca bibliografica in armonia con il caso e con il collega specialista di settore e, soprattutto, visitare il paziente e redigere la relazione tecnica, il medico legale ospedaliero ha tempi molto più compressi dettati dal rito giudiziario. In ospedali di non grandi dimensioni trovare lo specialista adeguato al suo interno è impresa ardua. che non abbia avuto in cura il paziente, oppure imbastire tutta l’istruttoria (vuoi anche perché il paziente era perso al follow-up e la documentazione successiva è stata redatta da altra struttura sanitaria, di cui spesso mancano i radiogrammi o esami) e, soprattutto, non ha avuto modo di visitare il paziente.
Il peso del quantum
Condivido ancora con la dottoressa Stucchi il fatto che in una buona percentuale di casi si giunge all’ATP non tanto per una questione di an, ma di quantum, siccome parte ricorrente richiede un danno che, non condiviso dall’Azienda, è poi ridimensionato in sede di valutazione di ATP. Purtroppo, anche in questo caso si rientra nei 2/3 degli ATP a favore del danneggiato. La soluzione? Le Aziende devono fare le offerte in chiaro e non “riservate” secondo la deontologia degli avvocati. Forse, la CTU sarebbe molto meno complessa, molto più rapida e semplice e molto meno gravosa sia per il danneggiato che per l’ospedale e l’erario.
Infine, la problematica del penale sollevata dalla dottoressa Stucchi a cui il dottor Migliorini non si è sottratto. Nel rispetto del dialogo o, per dirla in procedurale, del contraddittorio io mi schiero con la dottoressa Stucchi e spero che il dottor Migliorini non ne abbia a male, conosce la mia schiettezza ed io la sua.
Il peso sui medici del processo penale
Come medico legale ospedaliero posso dirvi che il ricevimento di un avviso di garanzia è un macigno che atterra e atterrisce il medico, che mi telefona smarrito per sapere cosa deve fare sia per nominare un avvocato, che un medico legale o anche solo dal punto di vista assicurativo. Il penale, però, è una vicenda del tutto differente dall’aspetto civile e, nella mia esperienza personale, la previsione fatta dal dottor Migliorini non si verifica mai.
Difatti se è contestuale la richiesta risarcitoria si procede comunque secondo scelte sia di natura tecnica medico legale, che di giudizio giuridico operate dagli uffici legali, ma non certo spinti dalla volontà di scaricare il Collega clinico implicato nella vicenda penale.
L’angoscia per il processo
Anche perché, almeno questa è la mia esperienza, spesso i clinici o i chirurghi hanno impiegato anni di studi e di sacrifici per offrire ai cittadini quelle tecniche di cura che sono spesso complesse e richiedono anni di esperienza. Il rischio è che vivere l’angoscia di un procedimento penale, che si chiude con un nulla di fatto, spinga il collega a rinunciare a praticare nuovamente quegli interventi. Allora: chi potrà poi curare gli altri pazienti, magari me o i miei figli? Poi, almeno in Piemonte, il programma assicurativo obbliga l’Azienda al risarcimento anche in caso di condanna penale del dipendente, salvo poi una eventuale rivalsa avanti alla Corte dei Conti esercitata dalla Procura della Corte dei Conti, e la provvisionale del giudice penale può andare ben oltre la stima stessa del danno in sede civile.
Sinceramente, se al penale si accosta la richiesta risarcitoria “civile” il caso è comunque affrontato e, se ne ricorrono i presupposti, si procede con la proposta. Ora, però, diciamola tutta senza veli: spesso la proposta è rifiutata perché si desidera “troppo”, tanto c’è il grimaldello del “penale” (e questa è un’altra polvere che si accende…).
La documentazione medica non esaminata
Condivido quando scritto dal dottor Migliorini: in corso di CTU non bisogna dire sciocchezze, ma è pur vero che, nel rispetto del rito, si predispongono le difese opportune sulla base di ciò che si ha. Non è raro che l’ATP inizi con un ricorso in cui l’Avvocato del paziente alleghi la relazione medico legale, una cartella clinica e, guarda caso, dimentichi di allegare magari i radiogrammi o gli esami batteriologici, “tanto il CTU può acquisire quello che ritiene più opportuno”.
Ci troviamo quindi ad iniziare una seduta di CTU senza documentazione, in cui neppure il fatto è documentato e circostanziato ed allora ci si chiede: con tali carenze come ci si difende? Ed allora se nuovi documenti mai visti dal resistente dimostrano l’an è ovvio che anche in tale caso si rientra nei 2/3 di ATP “vinti” dal ricorrente. Il lavoro Eurispess, mi pare, non ci restituisce dati in merito a quante cause “vinte“ dal paziente hanno richiesto acquisizione di documentazione non prodotta nell’atto iniziale di ricorso e, quindi, non nota alla struttura resistente, né quali siano le basi tecniche medico legali che hanno consentito al ricorrente di veder riconosciuta la pretesa risarcitoria: vi era un errore tecnico del medico oppure una carenza documentale? O ancora la struttura non era in grado di dimostrare di aver ben adempiuto? (Tema che affronterò prossimamente).
Provincialismi e regionalismi
Senza dubbio la tematica è assai complessa, sempre più ingarbugliata, che paga il fio di regionalismi se non addirittura di provincialismi che descrivono realtà operative e prassi a macchia di leopardo, per cui il rapporto Eurispess è da limitarsi al territorio che ricade nell’operatività del Tribunale di Roma ed è difficilmente esportabile in tutta Italia. Il documento è maggiormente classificabile come studio dell’operatività assunta dallo specifico Tribunale (usi e costumi, per dirla in altra maniera), piuttosto che una analisi delle cause che sottostanno ad un tasso del 65% di “vittorie” da parte del ricorrente.
Trasparenza innanzitutto
Sia io che la dottoressa Stucchi, che il dottor Marchesi, che il dottor Migliorini apparteniamo a realtà differenti, ma penso che ognuno di noi all’interno della passione del proprio lavoro ambisca al raggiungimento di una prassi comune su tutto il territorio italiano, soprattutto per quanto attiene proprio agli ATP ed alle modalità operative di svolgimento della CTU e della conciliazione, come il dottor Marchesi ha anche sottolineato.
Ben ha fatto il dottor Marozzi a ricordare che nel procedimento civile è il paziente/danneggiato al centro della tutela e personalmente ho sempre ritenuto che là dove il paziente sollevi una richiesta risarcitoria questa deve essere sottoposta ad un vaglio tecnico-medico legale e giuridico, oltre che di risk management per la gestione del contenzioso. Perché nessuno ha interesse a non liquidare giustamente un danno realmente ingiusto (o contrattualmente giusto), anche la Corte dei Conti lo ricorda. Molte volte però, almeno questa è la mia esperienza, la richiesta risarcitoria è pari ad una montagna, ma alla fine in CTU è partorito un topolino.
Ripetiamo, una possibile soluzione: che le offerte al danneggiato siano in chiaro, trasparenti così da essere opponibili al ricorrente, senza aver nessun timore di riconoscere l’an, che ricade pur sempre nell’alveo di una responsabilità di natura contrattuale secondo la legge 24/2017.