Abstract
Il Dott. Valter Giovannini, Sostituto Procuratore Generale di Bologna, sostiene con forza: “In primavera ci affacciammo alle finestre per applaudire medici e infermieri, li chiamavamo eroi. Era facile prevedere che sarebbero partite presto tante denunce. Bisogna trovare il coraggio che anni fa ebbe la Francia: sottrarre al processo penale le ipotesi di malasanità che quasi sempre si rivelano infondate e affidare al giudice civile aspetti risarcitori o indennitari. Bologna sia apripista di un’innovazione giuridica che renderebbe più sereno il lavoro di chi si sfianca per la pandemia”. L’articolo concessoci gentilmente dal dott. Giovannini è stato pubblicato sulla Rivista Web “Cantiere Bologna”.
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Sono 26 anni che faccio il Pubblico ministero a Bologna (su 36 anni in totale) e mi è capitato, innumerevoli volte, di svolgere indagini sul personale sanitario dopo esposti e denunce per ipotesi di “colpa medica”. Per diversi anni, come procuratore della Repubblica aggiunto ho coordinato il gruppo di lavoro che si occupa del tema.
Da molto tempo ho maturato una convinzione: nella stragrande maggioranza i procedimenti penali sono inutili perché si concludono con archiviazioni o proscioglimenti. I costi economici e personali sono però altissimi. I medici si tutelano con la cosiddetta “medicina difensiva”: prescrivono il maggior numero di esami possibile, anche se non indispensabili, per evitare rimproveri di negligenza. I costi sono enormi. Il comparto sanità, secondo le ultime stime della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna che approva il bilancio regionale, assorbe più del 70% delle risorse economiche. Anche chi denuncia paga prezzi rappresentati dalla falsa aspettativa di vedere processato il medico denunciato, cui segue il convincimento che a un caso di “malasanità” ha fatto seguito un caso di “malagiustizia”. Non è così: è veramente raro che emerga con chiarezza una conclamata negligenza, imprudenza o imperizia dei sanitari.
Anni fa a Bologna si tennero un paio di incontri pubblici sulla responsabilità medica. Esposi il mio pensiero con assoluta convinzione. Dissi che il sistema non poteva più reggere e si doveva trovare la forza di fare come in Francia dove, anni addietro, hanno avuto il coraggio di depenalizzare le “colpe mediche” riservando alla sede civile eventuali aspetti risarcitori o indennitari.
La scorsa primavera con grande affetto fummo in tantissimi alle 12 di un certo giorno a uscire sul balcone o a scendere in strada per battere le mani al personale sanitario della nostra città. Circolavano immagini di medici e infermieri col volto disfatto, gli occhi cerchiati dalle impronte di mascherine indossate giorni interi. Ci piaceva chiamarli eroi. Per il mestiere che faccio pensai subito che non pochi di coloro che quel giorno in tutta Italia glorificavamo, di lì a qualche mese, avrebbero subito denunce o esposti per come avevano affrontato lo tsunami Covid-19. Purtroppo, fui facile profeta. Accadde esattamente questo e sui giornali si aprì un vivace dibattito. Alcuni arrivarono a criticare chi promuoveva queste azioni legali.
Personalmente ritengo che, se il sistema giuridico lo consente, non si può biasimare nessuno se intraprende una via giudiziaria. Aggiunsi però, sempre pubblicamente, che gli applausi, già dimenticati, rischiavano di suonare ipocriti. Insomma, era compito della politica affrontare la questione. Ci furono proposte di legge sia da parte del governo che dell’opposizione, ma per svariate ragione non si raggiunse un accordo. Nel silenzio quindi continuò ad arrivare in tutta Italia un gran numero di denunce. Giorni addietro i social hanno rilanciato la foto di un’infermiera del S. Orsola completamente coperta da mascherina, cuffia e camice di sicurezza, accasciata a una parete. Un attimo di tregua, immagino breve.
Ma ho pensato: ci risiamo, il Covid ha ripreso a picchiare duro e medici e infermieri sono nuovamente sottoposti a carichi di lavoro terribili. Ci ricommuoviamo a vederli provati dalla fatica? Stavolta però non chiamiamoli eroi. Basta con gli applausi, che in fondo non ci costano nulla. Si riaffronti, una volta per tutte, la questione della responsabilità penale del personale sanitario, almeno per l’emergenza pandemica. Forse non è chiaro quali ansie, preoccupazioni, costi e perdita di serenità comporti ricevere un avviso di avvio di procedimento penale.
È proprio impossibile trovare un accordo per restituire a tutto il personale sanitario, quanto meno in questo periodo e per i mesi difficili che ci attendono, una giusta e sacrosanta serenità?
Bologna, che in tante occasioni è stata considerata, a torto o a ragione, città/laboratorio, non potrebbe essere il luogo dal quale far partire serie e condivise iniziative in tal senso?
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