Abstract
Identificare l’età di un soggetto vuol dire fornire la possibilità di esercitare un diritto identitaria fondamentale che la medicina legale non dimentica. Una riflessione di Davide Santovito e di Caterina Bosco.
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Accertare l’età. Non si tratta soltanto di dedurre un mero dato numerico, né si può ritenere che un semplice e singolo colloquio possa essere sufficiente a stabilire l’età presunta di un soggetto, sulla base di quanto da lui riferito, soprattutto se gli esiti ed i risultati di quell’accertamento influiscono sui diritti/doveri soggettivi e, diciamolo pure con sincerità, oggettivi dell’essere umano.
Ritenere maggiorenne un soggetto in realtà minore non significa solo rischiare di esporlo a procedimenti penali privi di fondamento giuridico o privarlo di tutte quelle tutele che la sua età minore richiederebbe, ma anche spostare in avanti un orologio bio-sociale che di fatto priva quell’individuo di una fetta della sua storia personale, della sua crescita attuale o potenziale.
Costituirebbe un danno ancora maggiore, sia per il singolo che per la collettività, presumere minorenne un soggetto che non lo è. In questo caso, al contrario, si spostano indietro le lancette del suo orologio bio-sociale, così da cancellare quelle caratteristiche proprie di un essere umano che la legge individua responsabile per sé stesso e per gli altri, sottraendo risorse che devono essere investite su chi tale responsabilità, proprio a norma di legge, non la possiede ancora nella sua interezza.
Pensate cosa vorrebbe dire per un sedicenne essere ritenuto maggiorenne: si tratterebbe di un prematuro balzo in avanti, al buio, nel mondo degli “adulti” ove è lecito attendersi e richiedere di più, magari sottraendolo ad una formazione scolastica o ad una assistenza sociale che possa traghettarlo verso la maggior età con più consapevolezza.
Allo stesso modo, tuttavia, riflettete su cosa significherebbe per un soggetto maggiorenne tornare indietro, essere strappato alla propria vita quotidiana, al suo modo di vedere e sentire il mondo, per reintrodurlo nella visione “ristretta” dei minorenni, ove ogni azione comunque è sorvegliata, ponderata e comunque autorizzata da un adulto. Questo arretramento anagrafico comporterebbe anche la sottrazione dal mondo del lavoro, dalla strada che lui stesso con la propria autoderminazione ha scelto di percorrere. Nel contempo si concederebbero giustificazioni o “trattamenti attenuati” di chi la maggior età non la ha raggiunta, così modellando ancora per qualche tempo un “salvacondotto” che, per quanto relativo possa essere, non potrebbe e non dovrebbe esserci.
Tuttavia, c’è un errore all’inizio di questo flusso di pensieri: non si accerta l’età, la si stima con tutto il suo carico di incertezza (definita scientificamente deviazione standard). In parole più chiare si valuta approssimativamente (si spera il meno possibile) un range di anni in cui l’individuo possa essere ricompreso. Per fare questo non può ritenersi adeguato un colloquio sociale o una visita psicologica od una visita auxologica come invece prevede il “Protocollo multidisciplinare per la determinazione dell’età dei minori stranieri non identificati” redatto sulla base di un accordo tra il Governo, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano del 9 luglio 2020 che esclude sia ruolo dello specialista in medicina legale sia la nostra metodologia scientifica nell’accertamento dell’età (qui puoi scaricare il documento).
Stimare l’età di un essere umano, soprattutto valutare se quel soggetto è un maggiorenne od un fanciullo, è un diritto dell’essere umano che costituisce la sua identità, principio cardine del nostro ordinamento riconosciuto dalla legge n. 176 del 27 maggio 1991 che ha ratificato e dato esecuzione alla “Convenzione sui diritti del fanciullo” del 20 novembre 1989.
Tale diritto è ancora più chiaro se leggiamo la Convenzione dei diritti del fanciullo dell’Unicef in versione “Linguaggio per Bambini”:
- art. 1 “Chiunque ha meno di 18 anni gode di questi diritti”;
- art. 8 “Hai diritto ad una identità – un documento ufficiale di chi tu sei. Nessuno dovrebbe togliertelo”.
È questo il principio cardine per cui la stima dell’età, secondo i principi costitutivi della medicina legale si dovrebbe affrontare secondo la metodologia scientifica ed etica così da poter essere fonte di garanzia e di giustizia.
Il primo presupposto è garantire un metodo riproducibile, il più possibile oggettivo, applicabile su larga scala e potenzialmente su chiunque, proprio per garantire quell’uniformità di giudizio che non discrimini chi è sottoposto a stima dell’età sulla base dell’eccessivo personalismo del valutatore o dell’incertezza delle metodiche applicate.
Il secondo presupposto è l’uso di strumenti ed evidenze scientifiche che limitino al massimo l’errore nella stima dell’età.
Il terzo presupposto è la trasparenza del metodo, ossia la possibilità di tracciare e rivalutare i dati ottenuti dagli strumenti utilizzati e, applicando le evidenze scientifiche, ottenere esiti sovrapponibili o similari.
Per l’ordinamento, tutto l’ordinamento, l’età è un fatto anagrafico, una stima matematica, dunque. L’età, quindi intesa come calcolo del tempo passato da una data nota, per il diritto non è un dato psicologico o comportamentale, né si correla allo sviluppo mentale di un soggetto. Seguire solo tali vie interpretative e/o valutative, come fa il protocollo governativo precedentemente citato è fuorviante, conduce a confondere il significato di fanciullezza, adolescenza ed età adulta, per le quali è già stato fatto osservare su Nature (Heidi Ledford. The shifting boundaries of adolescence. Nature Feb 2018; Vol 554) che non c’è una misura fisica per catturare l’età adulta, intesa come maturità, ed il cervello non diventa adulto all’improvviso all’età di 18 anni.
Questi aspetti soli, infatti, hanno nulla a che fare con il sistema giuridico e delle leggi che regolamenta, sulla base dell’età, i rapporti delle persone all’interno della società, là dove vi sono comunque ammortizzatori che sostengono e tutelano entrambe. Un soggetto diciottenne rimane tale anche in presenza di deficit cognitivi o comportamenti di natura adolescenziale. Quindi, riconoscere minorenne un maggiorenne, o viceversa, porta con sé conseguenze che ricadono sia sul soggetto che sulla società.
Mantenere saldo il principio cardine della stima dell’età “in dubio pro minore”, garantendo allo stesso tempo la soddisfazione dei diritti del singolo nella realizzazione della sua persona e le necessità della società, che amministra le risorse in armonia con l’ordinamento e le leggi, deve essere il punto di partenza per chi si cimenta in questa attività. Tale equilibrio può essere raggiunto solo con un metodo rigoroso e la criteriologia scientifica, che la medicina legale da sempre applica anche in tale ramo del diritto.
In questa tematica che intreccia dignità umana, rispetto del diritto e scienza, la Medicina Legale da sempre ha avuto un ruolo principale che purtroppo il nostro Legislatore sta mettendo da parte, ma a cui la nostra disciplina non vuole e non può abdicare.
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