Abstract
Il Prof. Domenico De Leo, Ordinario di Medicina Legale dell’Università di Verona e membro del Consiglio Superiore di Sanità, ha inviato al Consiglio dei Docenti di Medicina Legale da lui presieduto, una breve lettera in cui, facendo riferimento ad un recente editoriale del Prof. Byard, editor in Chief di Forensic Science, Medicine and Pathology, invita i colleghi universitari a riflettere sulle possibili conseguenze delle distorsioni produttive scientifiche che l’affannosa ricerca di più alti indici bibliometrici rischiano di determinare sui modelli didattici e culturali della nostra disciplina.
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Avuto notizia della missiva, SIMLAWEB, ritenendo di grande interesse e stimolo l’intervento del Prof. De Leo, ha a lui chiesto l’autorizzazione a pubblicarla questo testo ricevendone il suo assenso.
Ecco il testo che vi presentiamo senza commenti confidando però che l’intervento del Presidente del Consiglio dei Docenti sia di stimolo all’apertura di un dibattito di cui la medicina legale ha probabilmente molto bisogno soprattutto in un momento di grande incertezza e di necessità di chiara definizione dei compiti sociali e scientifici della medicina legale italiana dai quali SIMLA non può certo sentirsi estranea.
Cari Colleghi,
porto alla Vostra attenzione questo editoriale (Byard RW. Academic standing and publication. Forensic Sci Med Pathol. 2022 Jan 3. doi: 10.1007/s12024-021-00449-y. Epub ahead of print. PMID: 34988913) i cui contenuti devono farci riflettere, una volta di più, sui pericoli di quello che io definisco il “doping bibliometrico”, cioè la ossessiva ricerca di parametri assunti tout court, dalla comunità scientifica, come oggettivi (IF delle riviste, H-index, Citazioni) cioè (presuntivamente) dimostrativi della qualità di chi ambisce al riconoscimento di merito alla carriera universitaria.
Tali parametri in realtà poco dicono delle reali qualità del ricercatore-docente sotto il profilo delle competenze didattiche, professionali (la Medicina Legale è Scienza Applicata per eccellenza) e della effettiva, reale capacità di elaborare progetti di ricerca coerenti con i temi propri della Disciplina (pur nelle differenti proiezioni forensi). Sono poi cadute nell’oblio le elaborazioni dottrinarie, tenuto conto che quanto scritto su riviste italiane, certamente di prestigio, viene considerato poco più che nulla ed i nostri giovani ricercatori ben si guardano dall’investire tempo e fatica in questa direzione.
Vero che appartenendo all’area medica ci siamo dovuti adattare a questo modello di valutazione della qualità ma non è possibile che per il raggiungimento di questi risultati si faccia violenza della matrice culturale della Disciplina,
La tradizione del conoscere Medico Legale non è cambiata, anzi oggi più di ieri la Disciplina è soggetto principale sulla scena della Sanità pubblica italiana ed i nostri Specialisti su questo terreno devono essere pronti e renderci orgogliosi degli insegnamenti concreti che abbiamo saputo trasmettere loro.
È il momento perché i prossimi Collegi pongano questi temi al centro della discussione, affinchè vi sia una chiara assunzione di responsabilità da parte della comunità accademica su quale Medicina Legale auspichiamo per le generazioni future, sui criteri di reclutamento dei giovani, il che vuol dire anche la capacità di saper leggere criticamente, e non passivamente perché questo è di fatto più comodo ed espone a minori rischi di contestazione, i profili dei medici Legali del domani.
Bene comprendo che su questo tema la discussione genererà pesanti conflittualità, ma non è più possibile restare indifferenti.
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
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