Nell’ordinanza 30999 del 28/9/2018 pubblicata il 30/11 us (Sezione III Civile, Presidente Travaglino, Relatore Rossetti), la Suprema Corte affronta il problema dei “sintomi comuni” o, per meglio dire, aspecifici.
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Di fronte a sintomi non particolarmente indicativi di un preciso fatto patologico, potenzialmente, quindi, attribuibili a malattie diverse, o comunque di non chiara interpretazione, il medico non può accontentarsi di un quieto scetticismo, sospendendo quindi il giudizio diagnostico e, semplicemente, attendendo.
Deve, invece, o prendere in considerazioni delle alternative diagnostiche, verificandone poi, singolarmente, la correttezza; oppure almeno dar conto al paziente, nelle dovute forme, di tutti i possibili significati dei sintomi accusati.
E’ quindi da considerare un comportamento non corretto in violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, il medico che, di fronte al persistere di sintomi o di altri accertamenti diagnostici, dei quali non è facile ascrivere la genesi, non solo non esegua ogni sforzo per risalire, anche procedendo per tentativi, alla causa reale, ma per di più non trasmetta al paziente i significati di esso.
Al di là del giudizio sul singolo caso (si legga tutta l’ordinanza) quindi sulla sussistenza o meno di un comportamento colposo incidente nei suoi effetti sul paziente che appare probabile, vien da affermare, stante per il consueto tono “mosaico” di pronuncia dei principi contenuti nell’ordinanza, anche se questo giudizio è del tutto personale, che, in quest’ultimi tempi la Cassazione pare spesso ispirarsi alla nota canzone del rapper Caparezza, “Io vengo dalla luna”.
Non vi è alcuna irriverenza in questa affermazione soprattutto se si pensa, che, al di là delle regole della responsabilità contrattuale, a volte esaltate, a volte disprezzate – e, in fondo in questa ordinanza tenute in scarsa o nulla considerazione – forse un richiamo alla frequente difficoltà nell’espletamento della prestazione medica, andrebbe tenuto in maggior conto dalla Cassazione. Questo, soprattutto nel sancire principi operativi così difficili da mettere in opera nell’attuale situazione di lavoro di molti medici ospedalieri magari rammentando i deficit nella loro preparazione di base sulla quale una lunga meditazione andrebbe certamente eseguita.
Per non parlare poi dei costanti inviti alla pratica di sempre meno accertamenti che fanno parte della guerra lanciata alla medicina difensiva.
Ma si sa, i colleghi clinici sanno poco di quel che succede in Piazza Cavour e questo è anche colpa loro. Magari qualche volta ci dessero, istituzionalmente, una voce forse qualcosa, “insieme”, si potrebbe fare.