Abstract
Un nuovo secolo, il 1900, sta per iniziare e l’Italia è pronta ad accogliere e fare proprio il dibattito sul tema dell’identificazione che, fino a quel momento, ha visto come protagonisti esperti di Francia, Gran Bretagna e Argentina. Ma per la criminalistica italiana non si tratta solo di decidere in tema di identificazione. In ballo c’è molto di più… Nei nostri appuntamenti dedicati alla storia della criminalistica vi presentiamo i primi vagiti delle metodiche scientifiche per l’identificazione personale nel nostro Paese.
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L’inizio di una nuova era: nasce la Polizia Scientifica italiana
Sul finire del IXX secolo l’Italia sta vivendo “un periodo culturalmente vivace e di fideistico entusiasmo verso le cd. scienze ausiliarie (l’antropologia, la psicologia, la medicina legale, la statistica etc.), che irrompono sulla scena del processo penale, grazie anche all’impulso della Scuola positiva…” (Garlati L. “Alle origini della prova scientifica: la scuola di polizia di Salvatore Ottolenghi“).
Cesare Lombroso, pioniere dell’antropologia criminale, opera a Torino dal 1876. Con lui prende vita la prospettiva di indagini fondate su metodo scientifico ed egli stesso ne promuove la diffusione sollecitando la nascita dell’Associazione Italiana di Medicina Legale che si realizza nel 1897.
A dare concreta attuazione alle intuizioni di Lombroso è il suo allievo più brillante, Salvatore Ottolenghi.
Nel 1984 Ottolenghi lascia Torino per Siena con l’incarico di insegnamento di Medicina Legale e della direzione del relativo Gabinetto presso la locale Università. A Siena Ottolenghi si adopera da subito per realizzare l’intuizione che lo porterà lontano: promuovere la formazione scientifica degli operatori di Polizia organizzando un libero corso universitario di polizia giudiziaria scientifica e di discipline carcerarie.
Ottolenghi lascia Siena per la mancata promozione a professore ordinario e, nel 1902, è a Roma dove suggerisce al Direttore Generale di Pubblica Sicurezza, Francesco Leonardi, di accrescere le competenze tecnico-scientifiche dei funzionari di polizia mediante l’istituzione di corsi dedicati. La proposta è accettata e ad Ottolenghi è conferito l’incarico di organizzare l’iniziativa che imposta con indirizzo antropo-biologico.
É questo il primo passo della Scuola di Polizia Scientifica italiana che sarà istituita con Decreto del Ministero dell’Interno Zanardelli il 25 ottobre 1903. Alla nascita della Scuola segue quella del “Bollettino” con lo scopo diffondere le nuove metodologie della medicina legale, dell’antropologia, delle scienze naturali, della psicologia e della sociologia.
Gli effetti di questa intensa attività e dell’influenza dell’opera di Ottoleghi si fanno tangibili e solo qualche anno più tardi, nel 1910, la Circolare del Ministro di Grazie e Giustizia e dei Culti, Ministro Fani, diretta ai procuratori delle Corti d’Appello del Regno, impone lo studio sistematico del metodo scientifico nei rilievi in caso di reato. Nell’Allegato III, per la prima volta nella storia della Medicina legale, sono contenute le “ISTRUZIONI SULLA TECNICA MEDICO-LEGALE DELLE AUTOPSIE GIUDIZIARIE“.
L’impegno profuso per formare una polizia scientifica sempre più competente ed efficiente ottengono una sorta di riconoscimento ufficiale nel 1913 con l’emanazione del Codice di procedura penale. All’ art. 166 è data facoltà, non solo ai periti, ma pure agli ufficiali di polizia giudiziaria, di poter eseguire rilievi tecnici e fotografici che assurgono così a metodo ordinario di indagine.
In realtà occorrerà attendere il 1930 perchè, con l’emanazione dell’art. 223 c.p.p., venga compiutamente previsto che «agli accertamenti, ai rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni altra operazione tecnica relativa alla loro funzione, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria procedono direttamente».
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L’identificazione personale in Italia
É questo il contesto in cui si inserisce il tema dell’identificazione personale in Italia. Esattamente come avvenuto in altre realtà si tratta di scegliere se seguire il bertillonage, se optare per le impronte digitali o una metodologia che le le comprenda entrambi.
Il metodo che Ottolenghi vuole mettere in campo deve essere semplice ma deve anche dare garanzia di risultato. Nessun dubbio nel decidere per lo studio delle impronte digitali. A non convincerlo però sono i sistemi di classificazione dattiloscopica fino a quel momento utilizzati in altri paesi che talvolta hanno mostrato non pochi limiti nella procedure di consultazione.
Incarica così Giovanni Gasti, un giovane vice-ispettore di Polizia, di lavorare su questo problema con l’obiettivo di ideare un sistema che fosse al contempo pratico ed efficace: le impronte andavano raccolte con cura ma dovevano anche essere tempestivamente accessibili quando necessarie per le indagini. Gasti è stato uno degli allievi dell’insegnamento di “Nozioni di Medicina legale” presso la Regia Università di Giurisprudenza di Torino ed è stato pure uno dei funzionari di Roma a partecipare al primo corso di Ottolenghi del 1902. La fiducia riposta in Gasti non è delusa. A lui si deve infatti la classificazione dattiloscopia che prenderà il suo nome – “la Classificazione Gasti” – che sarà utilizzata per i cartellini segnalatici utilizzati dal Gabinetto di segnalamento della Questura di Roma istituito nel 1904.
L’impegno di Gasti non si esaurisce con la classificazione delle impronte: si estende allo studio della frequenza, della forma e della combinazione dei disegni papillari, ai metodi di rilievo delle impronte, a quelli di trasmissione a distanza delle impronte ancor prima dell’avvento dell’invio telegrafico, ai tentativi di alterazione delle impronte e così pure alla predisposizione di un metodo per la rilevazione delle impronte su cadaveri con epidermide distaccata per prolungata immersione in acqua. E va ben oltre le impronte, approfondendo lo studio dell’identificazione fotografica, descrittiva e antropometrica.
Ma gli studi di Gasti non restano confinati alla teoria ed egli non esita a trasfondere metodo e sapere nel suo lavoro di investigatore. La sua brillante carriera lo conduce a ricoprire, nel 1918, il ruolo di ispettore generale di PS e, nel 1919, ad assumere il delicato incarico di Questore di Milano. In quel periodo Gasti è un attento osservatore del movimento fascista e dedica un rapporto molto dettagliato ai fasci di combattimento – “il rapporto Gasti” – del giugno 1919. Nell’ultima parte di questo rapporto è tratteggiato in modo molto puntuale il ritratto di Mussolini, recentemente ripreso da Antonio Scurati in “M. Il figlio del secolo“:
Benito Mussolini è di forte costituzione fisica sebbene sia affetto da sifilide. Questa sua robustezza gli permette un continuo lavoro. Riposa fino a tarda ora del mattino, esce di casa a mezzogiorno ma non rientra prima delle tre dopo mezzanotte e queste 15 ore, meno una breve sosta per i pasti, sono dedicate all’attività giornalistica e politica. É un sensuale e ciò è dimostrato dalle molte relazioni contratte con svariate donne. É un emotivo e un impulsivo. Questi suoi caratteri lo rendono suggestivo e persuasivo nei suoi discorsi. Pur parlando bene, però, non lo si può definire propriamente un oratore. É in fondo un sentimentale e questo gli attira molte simpatie, molte amicizie. É disinteressato, generoso e questo gli ha procurato una reputazione di altruismo filantropia.è molto intelligente, accorto, misurato, riflessivo, buon conoscitore degli uomini, delle loro qualità e dei loro difetti. Facile alle pronte simpatie e antipatie capace di sacrifici per gli amici, e tenace nelle inimicizie e negli odi. É coraggioso e audace; ha qualità organizzatrici; è capace di determinazioni pronte: ma non altrettanto tenace nelle convinzioni e nei propositi. È ambiziosissimo. É animato dalla convinzione di rappresentare una notevole forza nei destini dell’Italia ed è deciso a farla valere….
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Sarà poi la storia, di lì a poco, a dimostrare quanto di vero ci sia nelle parole di Gasti.
Il questore Gasti si incontra più volte con Mussolini a Milano, si dice nel centrale Hotel Diana. E’ qui che nel marzo 1921 Gasti sfugge ad un drammatico attentato “La strage del Kursaal – Diana“: 160 candelotti di gelatina esplosiva sono fatti saltare nel teatro Kursaal, adiacente l’Hotel Diana, durante la rappresentazione della Mazurka Blu di Lehar. Muoiono 21 persone e 170 rimangono ferite. Ma non è finita. Dopo l’esplosione al Kursaal, in rapida successione, una bomba colpisce la sede dell’Avanti! in via Settala ed un incendio divampa nella redazione di Umanità Nuova in via Goldoni. Milano è profondamente scossa e guarderà attonita e ignara le camicie nere che, per la prima volta nella storia, verrano schierate a seguito dei feretri durante il funerale in Piazza Duomo. Con l’avvento del governo Mussolini, nel 1922, Gasti inizia una carriera “itinerante” che lo conduce, ogni anno, in una diversa sede di lavoro: da Milano passa a Pavia, quindi a Torino, Palermo, Novara, Ferrara e Trieste fino al collocamento a riposo nel 1927. Muore a Roma il 19 aprile 1939.
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La polizia scientifica e il fascismo
Dal momento della usa istituzione, nel 1904, il servizio segnaletico mediante impronte si diffuse rapidamente in tutta Italia attraverso la creazione di specifici laboratori provinciali per la dattiloscopia: dai 17 del 1910 divennero 58 nel 1933. La serie d’impronte raccolte crebbe vertiginosamente, con una media di circa 10-15mila rilevazioni annue. Quando Ottolenghi morì, nel 1934, negli uffici segnaletici e nei commissariati di tutta Italia furono effettuate circa 24mila registrazioni d’impronte. Quel che certo è che all’inizio del loro percorso professionale, nè Ottolenghi nè Gasti potevano immaginare come il frutto di tanto lavoro e di tanta dedizione sarebbe stato impiegato dal regime fascista.
“Il regime fascista, con i suoi propositi di controllo dei cosiddetti “sovversivi” – cioè degli oppositori politici che, pur non avendo commesso alcun reato, avrebbero potuto rappresentare una seria minaccia per lo stato –, sostenne il potenziamento dei servizi antropo-biologici della scuola di Ottolenghi e nel 1924 il ministro degli interni Luigi Federzoni diede il proprio nome alla cartella antropo-biografica. Se Ottolenghi aveva auspicato cautela, rigore e competenza nell’analisi di ogni individuo sospetto che veniva arrestato, secondo Mary Gibson «i funzionari fascisti erano attratti dalle cartelle antropo-biografiche non certo per dedizione alla scienza, bensì per la possibilità di raccogliere una grande quantità di dati su un numero sempre più vasto di individui. Con le aberrazioni che ne seguirono».”
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Qualche suggerimento bibliografico
Per chi desidera approfondire gli aspetti storici e tecnici dell’identificazione dattiloscopica suggeriamo, tra le molte pubblicazioni, il testo Salvatore Ottolenghi. Le impronte digitali in polizia scientifica e medicina legale di A. Giuliano. Per coloro che sono interessati a conoscere maggiori dettagli sulle drammatiche vicende che scossero Milano nel 1921 suggeriamo il libro che ha come autore uno degli anarchici accusato della strage Memorie di un ex-terrorista. G. Mariani, 1953 e i testi di Vincenzo Mantovani, Mazurka blu La strage del Diana del 1978 e Anarchici alla sbarra del 2007.
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