È il 23 settembre 1835 quando Bellini si spegne nella villa di Puteaux. Nessuno con lui, se non il giardiniere dei Levys a fare buona guardia alla sua salma. L’amico Aimè D’Aquino, che per primo scopre la drammatica evoluzione dei fatti, divulga immediatamente la notizia, la cui eco investe l’Europa intera.
A quel momento Bellini è un personaggio pubblico tra più famosi ed amati.
Dall’estate del 1833, quando giunge per la prima volta a Parigi, le sue opere raccolgono un consenso sempre maggiore e, a consolidare la sua fama, contribuiscono certo il suo charme e la sua propensione alla vita mondana. Ospite assiduo dei più importanti salotti parigini del tempo, primo fra tutti quello dei Belgioioso, frequenta i grandi della musica come Listz e Chopin, della pittura come Delacroix, e della letteratura come Dumas e Hugo.
La sua carriera raggiunge il culmine con l’opera “I Puritani” che va in scena al Reale Teatro Italiano nel gennaio del 1835 ed è coronata, qualche mese più tardi, dal conferimento a Bellini della Legion d’Onore e dalla nomina del Re di Napoli a Cavaliere dell’Ordine di Francesco I.
E’ in questo momento di massimo fulgore che le condizioni di salute di Bellini iniziano a deteriorarsi e la sua morte, avvenuta solo qualche mese più tardi, non può che essere per tutti un fatto incredibile e sconvolgente.
La salute di Bellini
I documenti storici in grado di offrire informazioni sullo stato di salute del compositore non mancano di certo ed oggi ci permettono senz’altro di escludere, in primis, che la prematura morte di Bellini sia da ascriversi a quella che definiremmo una “morte improvvisa”, ovvero all’inaspettato decesso di un giovane in pieno benessere.
In effetti in diversi momenti della sua vita sono testimoniati e ben documentati sintomi che denotano una costituzione fragile che mal sopporta il surmenage, musicale e mondano, che Bellini non si risparmia. A dominare il quadro clinico sono i disturbi dell’apparato digerente che assumono particolare gravità nella primavera del 1830 e che costringono Bellini ad un lungo periodo di cure, comprensive di emetici e salassi, trascorso a Villa Moltrasio, sul lago di Como, ospite della famiglia Pollini.
A ben vedere le vicende del 1830 presentano qualche analogia con i fatti di Puteaux poiché testimoniano la propensione di Bellini ad accogliere l’ospitalità di ammiratori “fidati” per potersi ritirare, lontano dalla mondanità, in luoghi ameni dove recuperare la propria salute.
In questa prospettiva può apparire meglio comprensibile la volontà di Bellini di lasciare Parigi nella primavera del 1835 una volta avvertita la ripresa della malattia, scegliendo di soggiornare in un piccolo villaggio, dove non poteva però disporre né di un medico né di un farmacista, privandosi così, almeno apparentemente, di qualsiasi risorsa sanitaria.
Il medico di Bellini
Che Bellini non ricevette cure mediche in effetti non è del tutto vero.
Cristina di Belgioioso inviò a Puteaux il dottor Luigi Montallegri, un patriota italiano in esilio. Originario di Forlì, il dott. Montallegri aveva prestato servizio come medico negli eserciti di Napoleone I, e ciò gli era valsa la nomina all’Ordine della Legion d’Onore.
Tuttavia risulta che Montallegri, medico già dal 1802, sia stato riconosciuto dalla Facoltà di Medicina di Parigi soltanto nel 1839 e dunque solo da quel momento autorizzato ad esercitare la professione in Francia.
Così, quando interviene presso Bellini, non può che agire clandestinamente, praticando dunque la medicina in modo illegale.
Certo stupisce il fatto che Bellini non si sia rivolto, neppure per un consulto, a due medici italiani di grande prestigio che facevano parte del suo entourage: il dottor Jean-Laurent Fossati, medico di fiducia del Reale Teatro italiano di Parigi, famosissimo frenologo, e il dott. Salvatore Furnari, anch’esso siciliano, noto oftalmologo. D’altro canto il povero Bellini non poteva immaginare che, in questa occasione, le cure e il riposo che lo avevano aiutato nel 1830, non sarebbero state sufficienti e che la sua condizione clinica avrebbe avuto un’evoluzione tanto nefasta.
Quando poi le sue condizioni precipitarono si trovava ormai nelle mani del “medico” di cui si è detto, prevedibilmente poco propenso a richiedere consulti e supporto specialistico nella pur vicina Parigi.
In effetti il carteggio attraverso il quale Montallegri tiene informato Severini – direttore del Real Teatro Italiano – sull’evoluzione delle condizioni di salute del maestro, documenta un repentino aggravamento del quadro clinico a partire dal 20 settembre e, al contempo, l’inadeguatezza delle sue competenze per fronteggiarlo:
- 20 settembre: le condizioni del paziente restano allarmanti, con gravi disturbi notturni ed emissione di deiezioni muco-sanguinolente. Il medico confida nell’applicazione di vescicatori.
- 21 settembre: il paziente sembra migliorare e la “sudorazione” era diventata benefica.
- 22 settembre: la diarrea è meno frequente e meno liquida.
- 23 settembre, al mattino, le condizioni del paziente sono critiche; ha trascorso una notte estremamente agitata a causa della mancanza di effetto della sudorazione. Insorgono gravi convulsioni.
È del 23 settembre l’ultimo messaggio che Montallegri consegna al farmacista di Rue Favart perché lo recapiti a Severini, annunciando la fine imminente di Bellini: “... è perduto, una convulsione l’ha gettato in pericolo di vita”.

Biglietto autografo di di Montallegri del 23 settembre 1835 (Trepardoux F. 2002).
Quando nel tardo pomeriggio del 23 settembre d’Aquino arriva a Puteaux, Montallegri si è già dileguato e nessuno è in grado di fornire informazioni attendibili sulla morte di Bellini.
A giustificazione delle insolite circostanze di un accadimento tanto drammatico, e non di meno la precipitosa fuga dei Levy, è da subito chiamata in causa l’epidemia di colera che in quel periodo imperversa in Europa.
Tuttavia, il clamore suscitato dalla morte del compositore è tale che questa spiegazione non è ritenuta sufficiente e l’autorità del Re, in collegamento con i rappresentanti del Regno di Napoli, ordinano l’esecuzione di un’autopsia.
L’autopsia
È il dottor Adolphe Dalmas, professore alla Facoltà di Medicina di Parigi, il medico incaricato di effettuare l’autopsia. Le sue competenze nel campo dell’anatomia-patologica gastro-enterica giustificano questa scelta, tenuto conto che Dalmas è membro della commissione governativa nominata nel 1831 per stabilire le misure idonee per contrastare l’ennesima epidemia di colera.
Nel testo del verbale autoptico Dalmas così descrive quanto osservato nel corso della dissezione anatomica:
“Il 25 settembre 1835 ho eseguito l’autopsia e l’imbalsamazione del corpo di Bellini, che era morto 36 ore prima in casa del signor Lewis [sic] a Puteaux presso Parigi. Gli organi contenuti nella testa e nel torace sono intatti e perfettamente sani, … mentre quelli dell’addome sono molto alterati. Tutto l’intestino crasso, dall’estremità anale del retto alla valvola ileo-caecale, è ricoperto da innumerevoli ulcere delle dimensioni medie di una lenticchia. Hanno un fondo grigiastro e i loro bordi molto sottili sono rilevati. In nessun punto la mucosa è ispessita. Le ulcerazioni comprendono l’intero spessore della mucosa e talvolta parte o tutta la membrana muscolare. In nessun punto la membrana sierosa è erosa in modo che non vi siano perforazioni…”.
L’estremità destra del fegato contiene nel suo spessore un ascesso del volume di un pugno e che ripieno di pus, spesso, giallo, omogeneo e perfettamente circoscritto. Le sue pareti non sembrano presentare formazioni cistiche. Le vene afferenti al fegato sono libere e di normale aspetto. La bile della cistifellea è scarsa, nera e vischiosa. Non ci sono restringimenti del canale biliare. Non è presente ittero. Gli altri visceri, organi e apparati sono nello stato il più soddisfacente…”.

Attingendo alle conoscenze del tempo Dalmas così conclude:
“Il est évident que Bellini a succombé à une inflammation aiguë du gros intestin, compliquée d’abcès au foie. L’inflammation de l’intestin a donné lieu aux symptômes violents de la dysenterie observés pendant la vie. Par sa position l’abcès n’avait encore produit aucun accident”.
Le sue conclusioni sono definitive ed escludono sia il colera che l’ipotesi di un’uccisione deliberata da parte di un agente tossico.
Sul piano metodologico va detto che fra gli accertamenti eseguiti da Dalmas non figurano gli approfondimenti di laboratorio all’epoca disponibili e fra questi anche quelli tossicologici già illustrati in quel periodo dall’Orfila, peraltro anch’egli membro, come lo stesso Dalmas, della Facoltà di Medicina di Parigi.
Tuttavia, a supporto della propria diagnosi Dalmas poteva addurre una sicura competenza personale, dimostrata dal gran numero di autopsie eseguite in Francia, Polonia, Germania e Inghilterra durante le missioni mediche del 1831 e 1832. Era stato inoltre autore di un’ampia monografia sul colera nel Dictionnaire di Béchet e, proprio con i suoi scritti, si era dimostrato ben preparato anche in merito alle implicazioni tossicologiche di un possibile caso di avvelenamento.
Occorreranno diversi decenni ancora perché la generica diagnosi di “infiammazione intestinale” di Dalmas venga declinata più specificatamente in un’amebiasi intestinale, a motivo della concordanza del quadro clinico e dei reperti autoptici.
Nel 1835 le patologie da protozoi non state ancora identificate ma molte informazioni su patologie di questa natura hanno cominciato ad arrivare grazie agli studi di Annesly del 1828 e di altri medici operanti in India e nei paesi tropicali colonizzati dalle potenze europee. Nello stesso periodo i benefici dei trattamenti anti-infettivi ed antiparassitari con emetina e chinino sono conosciuti e nelle disponibilità dei medici parigini, considerato che i due alcaloidi erano stati preparati industrialmente fin dal 1825 dal farmacista Joseph Pelletier nei suoi laboratori di Neuilly.
“…Disteso a pochi chilometri di distanza sul suo letto di dolore, il maestro siciliano è morto senza poter beneficiare dei progressi della scienza farmaceutica a causa dell’ignoranza di chi lo circondava e di una colpevole indifferenza. …clisteri emollienti e disinfettanti, e una dieta ricca di acqua e calorie avrebbero dovuto essergli somministrati come minimo con l’obiettivo di addolcire e prolungare i suoi ultimi giorni. La terapia grossolana, adottata troppo tardi dall’insignificante Montallegri, fu quella che prevalse sotto l’autorità di Desgenettes durante la Campagna d’Egitto, con l’applicazione di vescicatori accompagnati da una dieta assoluta. Nel 1835, dal punto di vista scientifico, questi farmaci barbari e inefficaci erano superati. Per di più, erano pericolosi….” (Trepardoux 2002).
La morte di Bellini resta un mistero?
Al di là dell’alone oscuro che avvolge sempre e comunque la prematura scomparsa di personaggi famosi di tutte le epoche, sembrerebbe proprio che in questa vicenda di misterioso ci sia poco, con buona pace di Giulia Samoyloff e dei tanti cuori infranti disseminati nella breve vita amorosa di Bellini. Anzi, pare proprio che le letture più fantasiose ed intriganti siano state alimentate piuttosto per coprire le inspiegabili condotte di coloro che avrebbero potuto fare qualcosa per evitare a Bellini una morte tanto precoce. Condivisibili in tal senso le conclusioni espresse nell’articolo scritto da Francis Trepardoux in occasione delle celebrazioni per i 200 anni dalla nascita di Bellini:
“…La morte prematura di Bellini non sembra essere il risultato di una brutale cattiveria o di un deliberato atto criminale. Tuttavia, il suo inspiegabile isolamento durante le ultime tre settimane di vita attribuisce gran parte della responsabilità della sua morte a coloro che lo hanno favorito. I coniugi Levys hanno pienamente scelto e determinato l’esclusione di Bellini dalle normali cure. In definitiva, non è chiaro se il medico di Montallegri, clandestino e non sufficientemente competente, abbia agito da solo o su iniziativa di Severini e Cristina Belgioioso per sbarrare la strada ai suoi colleghi. Sorpresi dall’inesorabile e rapido aggravarsi della malattia, questi amici giurati e poco devoti disertarono la stanza del paziente di fronte all’implacabile realtà che avevano davanti.
Mascherando con noncuranza l’aspetto della sua malattia con gli spaventosi segni del colera, riuscirono a nascondere una parte imbarazzante della verità sull’esito di questa tragedia, che forse doveva essere dovuta più alla loro negligenza che al solo destino. Di conseguenza, le autorità giudiziarie hanno potuto concludere che la morte del compositore è stata naturale. Tuttavia, la mancanza di assistenza medica era palese, anche se a Parigi esistevano mezzi terapeutici adeguati e facilmente accessibili. Ecco perché, nel suo aspetto brutale, la morte di Bellini è una dolorosa illustrazione degli effetti dell’ignoranza…”.
Ma su Bellini ed il ritorno delle sue spoglie nella sua Catania c’è ancora qualcosa da dire.
To be continued….