Abstract
Il Presidente FAMLI, Prof. Alessandro Dell’Erba, Ordinario di Medicina Legale dell’Università di Bari, interviene sul tema delle perizie telematiche perfezionate da “suggerimenti valutativi” informatici introdotte da Compagnie Assicurative sui portali dei fiduciari, in relazione, sia alla metodologia medico-legale di valutazione del danno a persona, sia all’utilizzo dei dati nell’ottica dell’introduzione delle metodiche legate all’intelligenza artificiale nello specifico campo.
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La discussione sul tema delle cosiddette “perizie telematiche”, così come – più in generale – quella inerente la applicazione di sistemi di intelligenza artificiale nell’ambito professionale medico-legale è di estremo interesse “speculativo”, prima ancora che economico.
A ben vedere infatti il tema sollecita da un lato le fondamenta del nostro essere medico-legale, dall’altro la prospettiva futura ovvero la direzione (alcuni direbbero la deriva) che l’attività professionale sta intraprendendo/ha intrapreso. E tanto – lo dico da docente universitario – ha (o dovrebbe avere) riverberi anche sulla formazione del medico-legale.
Cercherò quindi, seppur sommariamente, ed in estrema sintesi di affrontare il tema per spunti di riflessione (per francobolli direbbe Ponzanelli), senza alcuna velleità di esegesi analitica.
Il metodo medico-legale
Infinite volte, in sedi congressuali e non, ho sentito parlare (ed ho parlato) del metodo medico-legale. È una sorta di mantra o di coperta di Linus da adoperare ogni qual volta ci sia – orgogliosamente – da richiamare la nostra specificità, l’essenza della nostra Materia, la nostra identità. Non mi è mai apparso molto chiaro, in termini definitori, cosa sia nel concreto il Metodo medico – legale. Per dirla come mio padre, il richiamo ad esso è una sorta di “riso a mezza cottura”. Quando il gioco si fa “duro”, si richiama il Metodo (4-3-3 o WM, per i puristi del calcio anglosassone[1]) e si è certi di non sbagliare. E quindi: rigore, scientificità, analisi, competenza, principi etici, terzietà, consapevolezza dei limiti. Tutte qualità e/o definizioni, come numerose altre, che ben si attagliano al “Metodo”. A ben vedere però, esse non si differenziano da quelle applicabili a qualsivoglia altra professione: per l’appunto un riso a mezza cottura, che a seconda della fattispecie e/o del contesto ben può essere identificato, o al più, adattato.
E però è vero che esiste un metodo medico-legale. Io credo che sia qualcosa che partendo dalle competenze si colloca da qualche parte tra la forma mentis, lo spirito critico e la curiosità. E’ mia ferma convinzione che esso prioritariamente nasca in sala autoptica. È quello l’imprinting che poi, mutato quel che c’è da mutare, si traspone ed evolve nel personale divenire medico legale. Ed è qualcosa che, al netto di qualsivoglia considerazione di merito, non può essere insegnato ma che si acquisisce solo nelle Scuole di Specialità e nel tempo, o almeno così per me è stato. Permettetemi quindi (anche per l’età) di ricordare i miei Maestri Proff. Barni, Vimercati, Colonna (oltre che mio padre ed il Prof. Fiori, al quale mi ha legato un affetto filiale). Non vi era e non vi è un momento nel quale tale acquisizione è definitiva, ma è uno sforzo quotidiano nell’ambito di principi che devono essere solidi e per certi versi inamovibili. È un po’ come a Chemin de fer: quando sei in difficoltà, vai alla regola.
Credo vi sia consenso unanime che la fase accertativa, quale che sia l’ambito medico-legale applicativo (con le ovvie e scontate accezioni) sia prioritariamente clinico (anche in ambito autoptico) e quindi non è pensabile che esso – mai – sia vicariabile attraverso strumenti indiretti. Sarebbe disonesto sostenere il contrario, vorrebbe dire abdicare al nostro essere medici, ancora prima che medici legali. È noto a tutti che, in funzione delle variabilità biologiche (e non solo) a parità di lesione la menomazione può essere profondamente diversa, ovvero a parità di forza e sede di applicazione l’effetto può profondamente mutare. In un momento nel quale, soprattutto in ambito civilistico, la vera frontiera è la personalizzazione in tutte le sue accezioni, il riscontro diretto e “fisico”, anamnestico-clinico, non è sostituibile.
Si dirà dello sviluppo della telemedicina, della teleassistenza e di tutte le conseguenti declinazioni del suffisso. Strumenti utili e – in particolari contesti – non vicariabili. Si tratta tuttavia di condizioni residuali se non eccezionali in “ambito medico-legale”, rivolte prioritariamente ad una stretta esigenza di salute in senso stretto e che hanno oggettivi limiti. Personalmente, anche nelle perizie/consulenze su atti, ritengo che la “presenza” sia necessaria, quale che sia il ruolo svolto.
Definita quindi la parte accertativa/percipiente, il tema, sollevato da Franco Marozzi (vedi), attiene la parte valutativa ed i relativi “controlli”. Qui le riflessioni sono prettamente rivolte all’ambito civilistico e di valutazione del danno, ancorché taluni spunti possano essere generalizzati.
I baréme
Questi, a seconda del contenuto e dell’interlocutore, sono: il male minore, imperfetti ma necessari, non fondati su basi scientifiche ma condivise convenzioni (in ambito medico-legale), comunque equi e – secondo taluni – efficaci ed efficienti. Tutto giusto e, alla Pizzul, tutto moooolto bello!
Essi però sono “di carta”. Personalmente non credo di poterne fare a meno, ma allo stesso tempo li utilizzo per quel che sono e cioè indicazioni orientative e da verificare nella loro applicabilità nel caso concreto, anche per quanto detto in ordine alla fase accertativa. Tutto qui. Non sposo né l’uno né l’altro né il terzo, il quarto o il quinto ancora, ma ove necessario li consulto anche tutti. L’epicrisi sarà però mia e credo che il punto nodale sia che il risultato (il numero?) deve essere motivato, che si tratti del politrauma con gravi preesistenze e/o del colpo di frusta (personalmente non ne vedo da circa un ventennio). Tanto per dire che non esiste uno strumento migliore dell’altro, anche se non solo romanticamente il primo che leggo è quello della mia Società di riferimento . Epperò il parere deve essere motivato. Senza richiamare il ciclo di Deming, il perché ed il per come deve essere esplicitato nella parte motiva: se tanto corrisponde (o meno) all’onorario corrisposto o da corrispondere, consentitemelo, è questione completamente diversa, che volentieri rimetto a terzi.
Per essere espliciti non vi è nulla di male nell’uso prevalente (forse anche esclusivo) di uno strumento purché ci sia concesso argomentare anche in dissonanza rispetto ad esso[2], poiché tanto rientra nell’autonomia professionale.
Ne consegue che l’argomentato discostarsi dalle indicazioni tabellari – se motivato- è elemento (medico-legale) di pregio, piuttosto che sinonimo di errore.
Non è mio compito entrare nel merito delle policy aziendali. Come ben detto da Marozzi nel suo articolo sul tema pubblicato su SIMLAWEB, ciascuno è libero di far quel che vuole, aggiungerei fino ad un certo punto. Ed in questo senso, come spesso accade, il tema è l’identificazione del limite, l’altezza dell’asticella, la identificazione del “punto”. Credo tuttavia (cfr. quanto segue sulla intelligenza artificiale) che non siamo ancora alla possibilità di sostituire il fattore umano, ovvero il controllo periferico e centrale svolto in maniera medico-legalmente orientata. Se così non fosse il rischio è da un lato di addivenire a valutazioni alle volte “ingiuste” soprattutto in tema di personalizzazione e dall’altro di aumentare la possibilità di ulteriore contenzioso. Con riferimento a tanto però – ancorché legittimamente – si fa leva sui bisogni, sui tempi, sulle ignoranze. Tanto, ancora, ci riporta al Metodo ed ai suoi inderogabili principi etici ed introduce –a mio avviso- al vero tema di “preoccupazione”.
Per ora – a mio avviso – la situazione è quella descritta.
Ma il futuro?
A sessant’anni ho fiducia di non vedere derive tecnologiche troppo distanti dal mio sentire la Disciplina. Ma credo anche che i sistemi di intelligenza artificiale siano potentissimi, al di là delle mie capacità di comprensione. Stimo quindi che, richiamando l’efficientismo, la presunta terzietà dei sistemi automatici, magari con qualche “aggiustamento” normativo e giurisprudenziale, l’utilizzo di tali sistemi si diffonderà, vuoi per scopi valutativi che di “controllo”.
Non bisogna essere informatici per comprendere che qualsivoglia sistema si “nutre” di dati – E non bisogna essere Leonardo da Vinci per affermare che i big data, per ovvi motivi, sono in possesso di chi li processa quotidianamente. Ed è certo che il dato complessivo è tanto più “forte” quanto è uniforme nella sua nosografia/classificazione. Non c’è da stupirsi quindi che in una prospettiva che forse inopportunamente definirei “attuariale” essi possano essere utilizzati per scopi prospettici.
Banalità, si dirà. Certo, ma quel che consegue è che, posta la ineluttabilità del percorso, esso deve essere medico-legalmente governato, ovvero-a mio avviso- ricondotto prioritariamente all’ ambito prettamente scientifico e dottrinario.
In natura, il vuoto non esiste. Se vi sono degli spazi vuoti questi sono immediatamente riempiti. Tanto vale anche per quanto di interesse ed attiene alla capacità della Disciplina di darsi una nosografia classificativa comune, oltre – e prima – di indicazioni sicuramente autorevoli ma esterne alla Disciplina stessa.
Dobbiamo, quindi ed infine essere pronti al cambiamento, anche sotto il profilo didattico. Ma sono certo che la Medicina Legale è pronta perché è nella sua natura mutare. È una questione di Metodo.
[1] Doveroso in merito richiamo a Johan Cruijff e Zdeněk Zeman ultimi veri innovatori del calcio moderno.
[2] Se mai avrà voglia,fatevi raccontare da chi lo sa perché l’anosmia, in genere, è stimata intorno al 6%.
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