Abstract
La Cassazione Civile interviene a dirimere una questione delicata e dice di sì al cumulo tra indennizzo da polizza infortuni caso morte e risarcimento ma ribadisce che, al contrario, tale cumulo non può essere proposto nel caso l’infortunio abbia prodotto solo lesioni personali con conseguente danno patrimoniale o non patrimoniale.
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Con la Sentenza n. 9380 28 settembre 2020 – 8 aprile 2021 (Presidente Travaglino, Relatore Olivieri), la Cassazione, attraverso la Terza Sezione Civile, interviene, ancora una volta sullo spinoso tema della possibilità o meno di cumulo tra indennizzo e risarcimento per un soggetto che risulta beneficiario di una polizza infortuni. La questione, questa volta, riguardava però non un caso di lesioni ma di morte del soggetto assicurato.
Si trattava di decidere se la Compagnia Assicurativa che assicurava per rischio infortunio e morte il soggetto deceduto (era precipitato insieme all’elicottero sul quale era trasportato) avesse il diritto di opporsi al versamento del massimale di polizza previsto per il caso morte – pari a ca. un milione di €) – dato che l’erede del deceduto aveva già ricevuto un risarcimento per la morte di questo pari a ca. 460mila €.
In una lunga e articolata discussione, gli ermellini decidevano che nell’ambito del caso morte l’indennizzo era cumulabile con il risarcimento.
La giurisprudenza di legittimità da tempo aveva posto in evidenza come le polizze caso morte abbiano una funzione solidaristica in quanto provvedevano alle necessità economiche dei familiari a cui era venuto a mancare un soggetto fonte del loro sostentamento.
Con questo criterio, però, la polizza infortuni caso morte, più che ad una forma di risparmio, si accostava a quelle polizze che, invece, fornivano garanzie “contro i danni”.
In quest’ultime, secondo altri riferimenti giurisprudenziali di Cassazione, in forza del principio cosiddetto “indennitario”, l’assicurato che aveva subito l’infortunio ma che poteva ricevere un risarcimento in quanto lo stesso risultava da un comportamento illecito da parte di terzi, non aveva alcun diritto di arricchirsi (i giuristi dicono “locupletarsi”) ovvero non poteva risultare che in conseguenza dell’infortunio, la vittima si trovasse in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell’evento coperto dalla polizza. Di conseguenza, il risarcimento non poteva cumularsi con l’indennizzo non potendo eccedere quest’ultimo il valore del bene perduto a seguito dell’evento dannoso.
Già nel 2002, la Cassazione aveva affermato che i contratti di assicurazione infortuni “invalidanti e mortali”, possedevano un’ambivalenza, in quanto riconducibili, sia ai contratti “ramo danni”, sia a quelli facenti riferimento al “ramo vita”.
Senonché, dicono i Giudici della Cassazione, “il decesso per infortunio dell’assicurato, in sé considerato, è soltanto la conditio sine qua non della attribuzione patrimoniale a favore del “beneficiario”, il quale deve essere considerato, sempre e comunque, soggetto-terzo rispetto ai soggetti tenuti all’adempimento delle obbligazioni contrattuali, e non ha subito e non deve reintegrare alcun pregiudizio “a causa” della condotta dell’assicurato”.
Viene, così, meno la stessa possibilità di porre in essere una surroga. Infatti, l’assicuratore entra in scena non a cagione dell’illecito, ma a causa dell’evento della morte dell’assicurato e cioè quando si verifica l’evento coperto dalla polizza.
Quindi, se l’ assicurato è l’unico soggetto che subisce l’evento rischio morte assicurato, la polizza non ha più una natura “indennitaria” atta a reintegrare il danno ma assume la funzione “solidaristica” propria delle polizze vita di cui si diceva più sopra.
Trattasi dunque non di un ristoro, ma di un vantaggio di natura patrimoniale.
Nella sentenza, in merito al punto, si sostiene che “il soggetto assicurato (quello la cui durata della vita viene in rilievo) intenda perseguire un interesse altruistico od indirettamente anche liberale, volendo assicurare al terzo beneficiario una attribuzione economica (in capitale od in rendita) che possa sopperire alle esigenze e necessità quotidiane ed in genere di vita del superstite, perché in ipotesi divenuto bisognoso in conseguenza del venire meno dell’apporto economico continuativo che il “de cuius” gli forniva (come ad esempio nel caso in cui al deceduto sopravvivano i propri familiari non autosufficienti)”.
Di conseguenza, per la sua caratteristica solidaristica, nel caso di assicurazione anche infortuni che garantisca però il caso morte, l’indennità può cumularsi con il risarcimento, in quanto fungerebbe una funzione completamente diversa da quella risarcitoria perché il suo interesse non è quello di fornire un beneficio al danneggiato. D’altronde la Cassazione aveva già deciso che anche in caso di pensione di reversibilità accordata dall’INPS, il cumulo con il risarcimento era dovuto sulla base dei medesimi principi trattandosi di tutela previdenziale connessa ad un principio meramente solidaristico.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza.
La risultanza di questa sentenza è che, a questo punto, appare chiaro l’atteggiamento della Cassazione nello stabilire con certezza che non vi può essere cumulo tra risarcimento e indennizzo in caso di infortunio coperto da polizza in quanto, quest’ultima, non può che essere catalogata come appartenente al “ramo danni” contrariamente invece a quelle che garantiscono l’infortunio da rischio morte.
Non sussistono ad oggi, nonostante queste decisioni, prese di posizione delle Compagnie Assicurative, né di ANIA, né di IVASS in relazione all’adeguamento dei premi di polizza essendo sostanzialmente variato il rischio assicurato. E questo non vale solo per le polizze infortuni, ma anche per quelle di RC – obbligatorie o no – stante l’evidenza che il risarcimento, in un soggetto che fosse già stato indennizzato da una polizza infortuni, non verrebbe che a diminuire.
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Vedi anche: Fronti contrapposti e barricate su polizza infortuni e Covid19