Abstract
Recentemente è comparso sulla rivista on line RIDARE, un articolo del Prof. Enzo Ronchi dal titolo “Preesistenze concorrenti e prova controfattuale nella valutazione del danno biologico differenziale incrementativo in r.c.” (QUI IL LINK). SIMLAWEB ha chiesto al suo autore, che ringraziamo, di fornircene una sintesi. Rimandando all’articolo citato per completezza, proponiamo quindi il pensiero del Prof. Ronchi che alimenta un dibattito ancora aperto sulla valutazione delle preesistenze in ambito di danno biologico.
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Le pronunce di Cass. a favore del DDI (Danno Differenziale Incrementativo) sembrano avere un andamento costante, nel solco tracciato dalla n. 28986/2019, relatore dott. Marco Rossetti: Cass. Civ. Sez. III 26.03.2014 n. 6341; Cass Civ. Sez. III 11.11.19 n. 28986; Cass. Civ. Sez. III 11.11.2019 n. 28990/19; Cass. Civ. Sez. III del 15.01.2020 n.514; Cass. Civ. Sez III del 21.08.20 n. 17555; e più recentemente anche Cass. Civ. Sez.III 07.10.21 n.27265.
La Cass. porta a comprendere che ciò che guasta il ragionamento medico legale è il distinguo “concorrenza/coesistenza” di cui invece si libera la n.28986/19 che esce dal ginepraio indicando la soluzione nel confronto fra il prima e dopo, nella vita della persona, quanto a “forzose rinunce”, e nel ricorso contestuale alla prova controfattuale (di quotidiano uso medico legale nello studio della causalità materiale).
È vero che, di fatto, la metodologia del DDI trova applicazione soprattutto nei casi di preesistenze concorrenti, ma seguendo il criterio “forzose rinunce e prova controfattuale”, la stessa va seguita anche per i casi di coesistenze, con buona pace di tutti i vivaci contraddittori medico legali impegnati da una parte a tracciare un limite netto fra le due preesistenze e da altra parte ad evidenziare l’assurdo scientifico di chi voglia tracciarne il confine.
Osserva la Cass. che possono darsi due eventualità:
“…o le forzose rinunce patite dalla vittima in conseguenza del fatto illecito sarebbero state identiche, quand’anche la vittima fosse stata sana prima dell’infortunio; oppure quelle conseguenze sono state amplificate dalla menomazione preesistente”. Pertanto, si tratta di stabilire “quali sarebbero state le conseguenze dell’illecito, in assenza della patologia preesistente. Se tali conseguenze possono teoricamente ritenersi pari sia per la vittima reale, sia per una ipotetica vittima perfettamente sana prima dell’infortunio, dovrà concludersi che non vi è alcun nesso di causa tra preesistenze e postumi, i quali andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana. In tal caso, pertanto, sul piano medico legale il grado di invalidità permanente sofferto dalla vittima andrà determinato senza aprioristiche riduzioni, ma apprezzando l’effettiva incidenza dei postumi sulle capacità, idoneità ed abilità possedute dalla vittima prima dell’infortunio”. “Pertanto non solo la liquidazione del risarcimento, ma anche, prima ancora, la determinazione del grado percentuale di invalidità permanente sofferto da persona già menomata, quando lo stato anteriore della vittima non abbia inciso in alcun modo sui postumi concretamente prodotti dal secondo infortunio, va determinato come se a patire le conseguenze fosse stata una persona sana, in virtù della inesistenza di causalità giuridica fra stato anteriore e postumi”.
A questo punto, si torni ad esaminare – nella sua criticità – il caso proposto da Pizzorno: “Si pensi, ancora, all’amputazione dell’arto superiore dominate che si verifichi però in un soggetto paraplegico e costretto in carrozzina. Si può facilmente comprendere l’esito disastroso della nuova menomazione rispetto allo stato anteriore. Ciò che prima la persona poteva fare -guidare l’auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona- risulta oggi impedito”. Ciò a dire che, pur trattandosi di lesioni che attingono organi differenti, in realtà non sono coesitenti ma concorrenti, tale per cui, seguendo il sistema del DDI, secondo l’Autore alla persona non andrebbe risarcito il valore di danno biologico del 60% per la perdita dell’arto superiore, ma un più modesto DDI del 10% calcolato dall’80% (la preesistente paraplegia) al 90% pari al “lordo attuale”.
Ma evitando “avvitamenti senza fine” nel distinguo fra preesistenze coesistenti e concorrenti, il caso va risolto – come da Cass. – attraverso esame controfattuale della causalità materiale, ponendo a confronto vittima reale con paraplegia nello stato anteriore e vittima ipotetica sana prima dell’infortunio de quo. La vittima ipotetica avrebbe le stesse forzose rinunce, gli stessi sostanziali impedimenti di quella reale (guidare l’auto, svolgere determinati lavori, attendere alla cura della propria persona, ecc. ; anche manovrare una carrozzina ad auto-spinta ove si volesse cimentare). Ne deriva che nella vittima reale i postumi andranno perciò valutati e quantificati come se a patirli fosse stata una persona sana, cioè al 60%. Viene così scongiurato “l’effetto paradossale di risarcire di… meno, anche molto, soggetti già notevolmente menomati che subiscono un’ulteriore menomazione” (Pizzorno): nessuna penalizzazione per i casi di macro-danno pregresso.
In buona sostanza il medico legale deve decidere se la menomazione preesistente, sovrapposta alle conseguenze del sinistro de quo, cagiona amplificazione delle forzose rinunce; e lo deve stabilire mettendo a confronto questa vittima, con altra-teorica sana nello stato anteriore e che sia colpita dai medesimi postumi derivanti dal sinistro de quo.
Di seguito si propongo esempi pratici di applicazione o disapplicazione del metodo DDI.
Lesione al nervo femorale in corso di impianto protesico d’anca. Le forzose rinunce date dalla protesi avrebbero comportato, ad es., danno biologico del 20% e sono ora amplificate (rispetto al soggetto sano nello stato anteriore) a causa delle conseguenze dell’errore chirurgico, con danno lordo del 30%. Un teorico-sano nello stato anteriore, avrebbe inferiori forzose rinunce per la sola lesione del nervo. Pertanto DDI dal 20 al 30%.
Anchilosi per esiti di frattura di caviglia (12% in soggetto integro nello stato anteriore) in preesistente paraplegia di valore 80%. Corretto valutare DDI solo se comprovato incremento delle forzose rinunce. Ad es.: per abbandono di progetto di esoscheletro > DDI dall’80 all’83%. In assenza della prova, mero danno anatomico, ad es. del tre%, senza DDI.
Paraplegico nello stato anteriore che nel sinistro de quo subisce amputazione di alluce (in sé 6% secondo DM 03.07.03). Se non sono provate aggiuntive forzose rinunce > danno biologico, ad es. dell’1-2% per mero pregiudizio anatomico, senza DDI.
Impianto di protesi d’anca che si infetta per r.c. ospedaliera. Rimozione della protesi e successivo re-impianto con buon risultato ma con allungamento della cicatrice chirurgica ed esito di maggiori cruentazioni dei tessuti. Nessuna aggiuntiva forzosa rinuncia. Mero danno anatomico stimabile al 2-3%. Improponibile DDI dal 20% (per protesi) al 22-23%.
Invalido civile al 100% per oligofrenia da sindrome di Down che subisce lesione cranio-encefalica. Rivalutare con criteri di r.c. la preesistenza (es. 80%) e procedere con DDI dall’80 al 90% ancorché la invalidità permanente in esito a quella lesione cranio-encefalica avrebbe valore ad es. del 30% in soggetto integro nello stato anteriore.
Stato anteriore con protesi all’anca dx e sin. Nel fatto de quo: impianto protesico al ginocchio sin > infezione ospedaliera trascurata > amputazione di arto inferiore sin. Le forzose rinunce aggiuntive comportano DDI dal preesistente 30% al 70% lordo. Con metodo tradizionale, danno permanente al 60%.
Si ponga ora il caso di persona con esiti di poliomielite infantile all’arto inferiore dx che nel sinistro de quo subisca frattura al terzo medio di gamba sin ed anche frattura ad un polso. Sarebbe paradossale, inaccettabile, affermano i contrari al DDI, che si valuti la menomazione deambulatoria, in concorrenza, come DDI (es. dal 25% preesistente al 33% attuale) e, separatamente, con metodo tradizionale gli esiti di frattura di polso, mera coesistenza (ad es. 5% con valore economico nei primi cinque punti).
Ma le regole della sentenza Rossetti prescindono dal distinguo “concorrenze/coesistenze” che sempre è stato una costante nella trattatistica medico legale. Chiedono, piuttosto, che si vadano ad esprimere percentualmente le forzose rinunce di cui allo stato anteriore e quelle complessive, lorde, attuali, fornendo i due dati tecnici ed avuto riguardo al ragionamento controfattuale, cioè avendo ipotizzato anche una vittima teorica, sana prima del sinistro: di qui, DDI dal 25% preesistente, all’attuale complessivo del 38% (e va da sé che i numeri sono qui portati ad esempio, con sola finalità di chiarezza).
Da notare che certamente non a caso la sentenza in esame aggiunge : “Non ha pregio il rilievo secondo cui l’applicazione rigida di tale criterio potrebbe condurre ad esiti iniqui o paradossali. Infatti, dal momento che si versa pur sempre in tema di liquidazioni equitative ex art. 1226 c.c., sarà sempre possibile per il giudice di merito aumentare e ridurre il risultato finale del calcolo liquidatorio, ove lo impongano le circostanze del caso concreto”.
Resta da dire a proposito di DDI versus danno biologico temporaneo.
Correttamente, i “contrari” tengono a sottolineare che nella forma temporanea e permanente, il danno biologico non possa che essere ontologicamente eguale, variando solo la “intensità di lesione”; e pertanto si domandano perché, laddove si tratti di “concorrenza” che porti all’applicazione del DDI, nel calcolo dei periodi di inabilità temporanea non si tenga conto della preesistenza e la si riconosca comunque anche nella forma assoluta.
Per un’altra volta, ciò che guasta il ragionamento medico legale è il distinguo “concorrenza/coesistenza” di cui invece si libera la n.28986/19 che ne fa piuttosto una questione di “forzose rinunce e prova controfattuale”. Pone il caso, ad es., di persona con preesistente anchilosi di un ginocchio che a causa del nuovo sinistro presenti poi un’anchilosi anche all’altro e la sentenza dice: “Egli avrà dunque una validità ante-sinistro (il ‘suo’ 100%) non comparabile con quella degli altri individui, ed è rispetto a tale concreta validità, e non a calcoli astratti, che andrà determinata l’effettiva incidenza del danno alla salute. E’, infatti, l’entità delle concrete rinunce indotte dalla menomazione che determina l’entità del danno, e tale entità può rivelarsi nei singoli casi assai cospicua anche per una persona già affetta da gravi invalidità se, nonostante queste, il danneggiato riusciva comunque a dedicarsi ad attività per lui gratificanti, ed alle quali abbia dovuto rinunciare a causa del secondo infortunio”: e il principio può trovare molto opportuna applicazione nella stima del danno alla persona anziana. L’argomento, trattato in sentenza a proposito della invalidità permanente (la temporanea nemmeno è stato sfiorata dallo stesso Giudice), vale tuttavia anche per il danno biologico temporaneo, tale per cui di una persona paraplegica nello stato anteriore che finisca ricoverata in un momento successivo per una frattura di gamba, si dirà che nel periodo di degenza ha avuto forzose rinunce, rispetto al pre-sinistro, atte a configurare totale incapacità: come, allo stesso modo, in via controfattuale, a parità di nuova lesione avrebbe avuto la teorica vittima sana nello stato anteriore.
In conclusione, il sistema del DDI in r.c., da oltre vent’anni introdotto da una parte della Medicina Legale, è ora promosso dalla S.C.: la quale, peraltro, ne ha pure corretto i criteri applicativi, tale per cui allo stato sembra utilizzabile nel quotidiano in assenza di criticità rilevanti.
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Vedi anche: La Cassazione dà il via libera al “danno differenziale”