Abstract
Nel giorno della festa degli innamorati vi proponiamo un articolo su uno degli episodi della storia del crimine che funestò questa ricorrenza nel 1929: la Strage di San Valentino. Questa vicenda, che ha segnato la carriera del “nemico pubblico numero uno”, Al Capone, ha anche rappresentato un passaggio cruciale per la balistica forense.
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I fatti
La mattina del 14 febbraio 1929 all’interno del Lincoln Park Garage, al 2122 di North Clark Street a Chicago, c’erano 6 uomini della banda di George “Bugs” Moran, la gang che in quegli anni gestiva il contrabbando di alcool nel North Side di Chicago. Gli uomini erano in attesa del loro capo per gestire un carico di alcool.
Alle 10:30 due individui con indosso le divise della Polizia di Chicago irruppero nel garage e, armi alle mani, intimarono a tutti i presenti di mettersi in fila contro la parete.
Dietro i due “poliziotti” si fecero largo due uomini che estrassero dai loro cappotti due pistole-mitragliatrici (Tommy Gun) e spararono diverse raffiche sulle vittime allineate contro la parete. Quindi uscirono dal garage e si dileguarono a bordo di due Cadillac nere.
Il coroner era il dott. Herman N. Bundesen, uno dei pochi funzionari non corrotti della Chicago degli anni ‘20. Al momento del suo intervento nel garage, il cui pavimento era cosparso da decine e decine di bossoli, Bundesen rinvenne 6 cadaveri e un uomo in fin di vita.
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Fu da subito per tutti chiaro che dietro la strage della gang di Bugs Moran non poteva che esserci Al Capone, lo “sfregiato”, il più famigerato capobanda di Chicago, in guerra con Bugs Moran per il contrabbando e il gioco d’azzardo. Al Capone potè vantare un alibi inattaccabile perché, proprio nel giorno della strage, si trovava nel tribunale della Dade County, in Florida, per essere sentito nell’ambito delle indagini sull’omicidio del suo amico e mentore Frankie Yale. E neppure dall’interrogatorio dei suoi uomini fu possibile ottenere elementi utili per le indagini.
La pista mafiosa non era però la sola ipotizzabile. Sulla strage aleggiava l’ombra sinistra del coinvolgimento della polizia. Diverse testimonianze avevano infatti confermato la presenza di almeno 2 uomini in divisa fra gli esecutori del massacro e, secondo le cronache, la vittima rinvenuta agonizzante nel garage, Frank Gusenberg, prima di spirare avrebbe pronunciato la frase “Cops did it”.
Bundesen nominò una giuria, scelta fra i cittadini benestanti e indipendenti della città, perché supervisionasse l’attività di indagine. E fu questa stessa giuria che decise di avvalersi di un esperto balistico, il Colonnello Calvin Goddard, al quale fu affidata l’analisi dei bossoli e delle pallottole rinvenuti nel garage e nei 7 cadaveri. Goddard stabilì così che la strage era stata compiuta utilizzando due “Tommy Guns” Thompson calibro 45, una modello Magazin, con una carica di 20 colpi, e l’altra modello Trommel, con una carica di 50 colpi. Si trattava di armi che non erano in dotazione alle forze di Polizia di Chicago e dunque era dimostrata la natura mafiosa dell’agguato.
La conferma per questa linea investigativa giunse 10 mesi più tardi: nel dicembre 1929, a San Joseph (a circa 100 miglia da Chicago), in occasione di una perquisizione seguita all’omicidio di un poliziotto, fu rinvenuto un vero e proprio arsenale. Ancora una volta le armi furono affidate a Goddard che, tra queste, individuò quelle utilizzate per far fuoco nel garage di Lincoln Park e pure l’arma impiegata per uccidere Frankie Yale.
Le armi appartenevano a Fred “Killer” Burke, uno degli uomini della gang di Al Capone. Burke fu arrestato e condannato all’ergastolo per l’omicidio del poliziotto a Saint Joseph. Tuttavia nessuna contestazione fu avanzata contro Burke in merito al possesso delle armi della strage di San Valentino ed al suo possibile coinvolgimento nel massacro.
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Goddard e la balistica forense
Ma forse non tutti sanno che Calvin Hooker Goddard (1981–1955), l’esperto balistico che ebbe un ruolo centrale nelle indagini sulla Strage di S. Valentino, fu una figura fondamentale nella nascita della moderna balistica forense.
Goddard si laurea in medicina alla Johns Hopkins University e, dopo una specifica formazione in medicina militare, entra nell’esercito americano. Come membro dell’Army Medical Corps, presta servizio in Europa durante la Prima Guerra Mondiale. Ed è con questa esperienza militare che Goddard vede nascere il proprio interesse per le armi , ben presto concentratasi sull’importante problema dell’identificazione delle armi da fuoco.
Goddard collabora con C.E. Waite, assistente investigatore dell’Ufficio del Pubblico Ministero dello Stato di New York, con il micro-fotografo Philip O. Gravelle e con il fisico John H. Fisher. Dal loro lavoro prendono vita le basi metodologiche della comparazione balistica basata sull’uso del microscopio comparatore e nell’aprile 1925 nasce il primo laboratorio di criminalistica indipendente degli Stati Uniti, il Bureau of Forensic Ballistics a New York City. Con il collega Waite, Goddard si impegna a catalogare le armi e i risultati dei test di sparo su diversi materiali con il fine di creare un data base universale per fornire servizi di identificazione delle armi da fuoco in tutta l’America.
Nel 1927 partecipa al processo di Sacco e Vanzetti come esperto per la giuria incaricata di rivalutare il caso e, per la prima volta i risultati dell’esame al microscopio comparatore entrano in un’aula di giustizia. Questa esperienza accresce la fama di Goddard in tutto il paese, tanto da essere chiamato a Chicago per esprimere il proprio parere sul fatto di sangue più sconvolgente dell’epoca: la Strage di S. Valentino.
L’opera prestata da Goddard fu molto apprezzata a Chicago. Bundesen e tutti coloro che, come lui, si opponevano all’imperversare della malavita, colsero le potenzialità dell’impostazione di Goddard per arginare la lotta armata fra bande utilizzando metodi di indagine scientifica. Fu così che nacque il primo istituto universitario di scienze forensi: lo Scientific Crime Detection Laboratory. Per Goddard la realizzazione del suo sogno più grande. Egli era infatti convinto che soltanto un grande laboratorio nazionale di scientifica criminalistica avrebbe messo fine al caos provocato dall’incompetenza dei periti balistici di quell’epoca.
Il laboratorio fu realizzato a Evanston, nel campus della Northwestern University e, sotto la guida di Goddard, divenne una delle prime sedi di formazione della scientifica criminalistica del paese. Goddard esaminò 1400 casi in 4 anni e non si fermò neppure quando la crisi economica minò le basi del laboratorio, lavorando gratis per un anno. Il laboratorio fu costantemente protetto da una guardia: in fondo le gangs di Chicago avrebbero guadagnato molto se Goddard fosse stato fatto fuori!
Ma gli “effetti collaterali” della strage di San Valentino non finiscono qui. Nel 1934, ispirandosi al lavoro di Goddard, nell’ambito di una politica di riordino della polizia, J. Edgar Hoover, direttore dell’FBI, istituì il primo laboratorio di balistica forense del Federal Bureau of Investigation. Nello stesso anno Franklin D. Roosvelt varò il National Firearmas Act in cui vennero messe al bando le Tommy Guns per uso privato.
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Ma come proseguirono le indagini per la strage di S. Valentino?
Ebbene il massacro aveva suscitato molto clamore presso l’opinione pubblica statunitense, accrescendo così la sinistra “fama” di Capone. Il neo eletto presidente degli Stati Uniti, Herbert Hoover, che aveva fatto della giustizia criminale il fulcro della propria campagna elettorale, dichiarò guerra aperta ad Al Capone. L’arresto del gangster doveva servire a dimostrare al popolo americano che l’amministrazione del presidente Hoover intendeva rafforzare il rispetto della legge con estremo vigore.
La cattura di Al Capone divenne una assoluta priorità.
Il 20 marzo 1929 Capone fu convocato davanti a un gran jury per rispondere sui fatti di sangue di Chicago ma la sua responsabilità non fu provata. Mentre lasciava l’aula, fu arrestato dagli agenti per oltraggio alla corte. Pagata una cauzione di 5000 dollari, il ganster fu rilasciato.
Nel 1930 Capone fu dichiarato il “nemico pubblico numero uno” dalla stampa statunitense e da J. Edgar Hoover che lo inserì nella lista dei criminali pericolosi dell’FBI.
Tuttavia, nonostante la ferma volontà di incastrare Al Capone per i tanti omicidi riconducibili a lui ed alla sua gang, non furono mai trovate prove sufficienti per sostenere questo tipo accusa.
Di fronte ad una tale sconfitta, il sistema politico e giudiziario americano si risolse a far ricorso ad una diversa strategia. Il Dipartimento del Tesoro diede mandato ad Eliot Ness di condurre indagini di tipo fiscale, intercettando le telefonate ed esaminando tutte le transazioni finanziarie di Al Capone e dei suoi soci. Le prove raccolte da Ness e dalla sua squadra (The Untouchables) portarono alla formazione di un grand jury che incriminò Capone e suo fratello Ralph, insieme ad altri gangster del “Sindacato” di Chicago, per evasione fiscale e violazione del Volstead Act, la legge sul proibizionismo.
Il 17 ottobre 1931 ottobre la giuria del tribunale federale giudicò Al Capone colpevole di evasione fiscale, condannandolo a undici anni di carcere e ad una pesante multa di 50.000 dollari. Capone trascorse alcuni anni nel penitenziario di Atlanta (Georgia) e fra il 1934 ed il 1939 fu “ospite” del penitenziario di Alcatraz. Scarcerato dopo la riduzione della pena a 6 anni e 5 mesi, si ritirò nella sua tenuta di Miami. Affetto da demenza, derivata dalla sifilide contratta in giovane età, morì nel 1947. Fu sepolto al Mont Carmel Cemetry di Chicago.
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La strage di S. Valentino: the coldest case
La condanna di Al Capone non servì dunque a far luce sulla strage di San Valentino, il cui mandante rimase ignoto.
Nel 1935 un detenuto in cerca di una motivazione per veder ridotta la propria pena, affermò di conoscere il mandante della strage di S. Valentino. Fece il nome di Burke e di altri 4 uomini ma anche questa pista non portò risultati. Le dichiarazioni del detenuto arrivarono però all’orecchio dell’investigatore Frank T. Farrel che subito scrisse una lettera indirizzata a J. Edgar Hoover, datata 28/01/1935 ma resa pubblica soltanto qualche anno fa.
Nella lettera Farrel informava Hoover dei risultati dell’indagine condotta sotto copertura che identificava in William White, noto come Jack 3 dita, il vero mandante della strage di San Valentino. Il movente? La vendetta per l’omicidio del cugino William Davern Jr., ucciso dagli uomini di Bugs Moran. Hoover rispose però che la guerra tra bande erano questione di competenza della polizia locale e la lettera fu archiviata senza ulteriori indagini. In fondo Al Capone era stato arrestato e Hoover non aveva certamente alcun interesse ad alleggerire le responsabilità in capo ad una figura che, in ogni caso, nell’immaginario collettivo non poteva non essere il mandante della strage.
In conclusione la Strage di S. Valentino resta un crimine irrisolto.
Per chi ha l’occasione di andare a Chicago con l’intenzione di visitare il luogo del massacro degli uomini di Bugs Moran è bene sapere che il garage è stato demolito nel 1967. Alcuni dei mattoni colpiti dai proiettili sono conservati al Mob Museum (National Museum of Organized Crime & Law Enforcement) di Las Vegas mentre dal 2016 i verbali manoscritti delle 7 autopsie effettuate sulle vittime della strage sono custoditi presso il Chief Medical Examiner Office della Contea di Cook, a Chicago.
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