Abstract
Il segno di Frank o piega diagonale del lobo auricolare (diagonal earlobe crease, DELC) è una piega cutanea che attraversa obliquamente il lobo dell’orecchio, visibile in alcuni soggetti. La sua presenza è stata nel tempo indicata quale fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di malattia coronarica acuta.
Un recente Studio pubblicato sul Forensic Science, Medicine and Pathology analizza l’associazione tra DELC e coronaropatia, fattori di rischio cardiovascolari e cause di morte.
Mentre controllate la presenza o meno del segno di Frank sulle vostre orecchie (chi dice che non lo sta facendo mente), continuate a leggere per scoprire di più!
Per leggere tutto l’articolo – clicca qui Prangenberg J et al. The prognostic value of the Frank sign. Forensic Science, Medicine and Pathology (2022) 18:149–155
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Il segno di Frank (dal dr Sanders T. Frank, Pneumologo americano che lo descrisse per la prima volta nel 1973), anche chiamato piega diagonale del lobo auricolare (DELC), è rappresentato dalla presenza mono- o bilaterale di una piega cutanea più o meno profonda che corre diagonalmente tra il trago e il margine esterno del lobo auricolare.
Si possono distinguere differenti “gradi” sulla base della mono- o bilateralità e della profondità della piega.
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Frank descrisse una correlazione tra la presenza di DELC e l’insorgenza di coronaropatia acuta. L’ipotesi eziopatogenetica alla base di tale associazione sarebbe da identificarsi nel fatto che sia il lobo auricolare che il cuore sono irrorati da “arterie terminali” e perciò non possono giovarsi di circoli collaterali.
Un’altra ipotesi è che la perdita di elastina e fibrociti osservata istologicamente sulle biopsie di questi lobi auricolari rifletta la presenza di malattia del microcircolo coronarico.
Fin dalla sua prima descrizione da parte del dr Frank, vari studi hanno documentato l’associazione della DELC con un aumento della morbilità e della mortalità coronarica e la presenza della DELC è stata riportata con maggior frequenza nei pazienti con infarto del miocardio rispetto ai non coronaropatici. Tra gli altri, Elliott e Powell nel 1996 descrissero un aumento relativo del rischio di evento cardiaco dell’1.33 per la DELC monolaterale e dell’1.77 per quella bilaterale.
Tuttavia, esistono anche studi che hanno riscontrato come l’associazione DELC-coronaropatia acuta sia influenzata dall’età del paziente, tanto che alcuni Autori hanno suggerito che si tratti semplicemente di un fenomeno età-correlato. Una considerazione importante è che la Letteratura in merito è spesso rappresentata da studi clinici o angiografici, mentre esistono poche ricerche su dati autoptici.
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Lo Studio di Prangenberg e colleghi
Si tratta di uno studio osservazionale effettuato analizzando il materiale fotografico relativo alle autopsie eseguite presso l’Istituto di Medicina Legale di Bonn (Germania) tra gennaio 2015 e aprile 2020, con esclusione dei casi in cui i lobi auricolari non erano chiaramente visibili in fotografia oppure non erano valutabili per putrefazione, anasarca, presenza di orecchini.
Erano valutate e classificate per gravità le alterazioni coronariche e delle altre arterie principali (grado 1: depositi lipidici senza calcificazione; grado 2: calcificazioni senza stenosi; grado 3: calcificazione con stenosi <70%; grado 4: calcificazioni con stenosi >70%). La presenza di una coronaropatia era postulata per gradi 3 e 4, presenza di ipertrofia ventricolare e/o esiti visibili di pregressi eventi ischemici.
I deceduti erano divisi in 4 gruppi per età (1-47 anni, 48-62 anni, 63-75 anni e >75 anni).
Erano testati la correlazione tra grado di DELC e severità della coronaropatia, aterosclerosi, peso cardiaco, presenza evidente di pregressa malattia coronarica, causa di morte cardiaca. Erano quindi calcolati sensibilità, specificità, valore predittivo positivo e negativo della DELC.
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Risultati
Lo studio ha incluso 165 deceduti (115 maschi e 50 femmine), con un’età media di 61 anni (range 11-96 anni, mediana 63), tra i quali il 16,3% non presentava DELC, 7.3% mostrava DELC grado 1, 43.1% grado 2 e 33.3% grado 3. In 50 su 165 casi, la morte era correlabile ad evento cardiaco. Di questi 50 casi, 39 (78%) avevano un alto grado di DELC. A fronte di ciò, 36 (72%) avevano età > 63 anni.
I dati dello Studio hanno confermato l’associazione tra la presenza di DELC e quella di coronaropatia e aterosclerosi generale, nonché la correlazione tra i rispettivi gradi di severità clinica dei due fenomeni. I valori prognostici della DELC e dell’età rispetto alla ricorrenza di patologia cardiaca preesistente e causa di morte cardiaca sono riassunti in tabella:
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È stata inoltre riscontrata una correlazione statisticamente significativa sia della DELC che dell’età con peso cardiaco, coronaropatia e aterosclerosi generale. Sia per la ricorrenza di DELC che per quella di coronaropatia l’età influiva significativamente sulla presenza di una manifestazione clinicamente più grave, ma l’influenza dell’età sulla coronaropatia è risultata essere più significativa dell’influenza dell’età sulla DELC.
In altre parole, la presenza di DELC, così come di coronaropatia, sembrerebbe essere età-dipendente, ma la variabile “età” avrebbe un’influenza significativamente più alta sull’insorgenza di coronaropatia rispetto a quella che avrebbe sulla formazione della DELC.
Pertanto, la presenza di DELC – che, come detto, si associa con elevata frequenza a malattia coronarica – sembra avere un valore prognostico specialmente per i pazienti più giovani. L’analisi statistica dettagliata la trovate qui, mentre la tabella sottostante riassume i risultati degli Studi basati su dati autoptici.
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Ciò che è enfatizzato sia nello Studio di Prangenberg che in quello di Stoyanov è che vi sarebbe la necessità di uno studio prospettivo su larga scala, che includa anche soggetti giovani, per dirimere definitivamente il dubbio se l’associazione DELC-coronaropatia sia reale oppure se semplicemente si tratti di eventi clinici entrambi età-correlati.
Questo sarebbe importante per poter eventualmente includere la valutazione clinica del segno di Frank, e della sua severità, negli esami obiettivi medici di routine, al fine di valorizzare il suo potenziale ruolo predittivo nell’insorgenza della coronaropatia acuta e delle sue complicanze.
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