Abstract
Pochi sono a conoscenza del fatto che, la Cassazione ha più volte ribadito che quelli che in ambito assicurativo continuiamo a chiamare arbitrati sono, in realtà, delle “perizie contrattuali”. Sorge spontanea la domanda: chi se n’era accorto?
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Da sempre, nell’ambito delle polizze infortuni, malattia o rimborso spese mediche, le polizze assicurative prevedono, quale metodica alternativa ad una usuale causa civile, la possibilità di risolvere controversie attraverso quello che viene definito come “arbitrato irrituale” con le modalità di cui tutti gli specialisti in medicina legale sono a conoscenza.
In realtà da tempo la Corte di Cassazione, ha stabilito che tale forma di ADR non è affatto un “arbitrato” ma una “perizia contrattuale”.
Ce lo spiega in modo piuttosto chiaro la sentenza che vi andiamo a proporre, ovvero, la n. 2996 del 16 febbraio 2016 promulgata dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione Civile (Presidente Travaglino, Relatore Rossetti).
Il contrasto nasceva dal fatto che si doveva stabilire se una Società che aveva contratto una polizza con un’assicurazione avesse diritto all’indennizzo per un prodotto che era stato rubato (si trattava di olio). La Compagnia si rifiutava di fornire l’indennizzo richiesto, perciò la Società citava la Compagnia chiedendone il pagamento.
La Corte di primo grado dichiarò improponibile la domanda a causa della previsione stabilita dal contratto d’assicurazione di una cosiddetta perizia contrattuale ovvero di una clausola che demandava a dei periti la determinazione della misura dell’indennizzo.
La Società proponeva appello e la Corte lo rigettò in quanto, quando nel contratto è prevista una perizia contrattuale, questa inibisce la proponibilità di “tutte le azioni, ancorché accessorie e senza possibilità di distinguere l’an dal quantum“.
La Società ricorreva quindi in Cassazione che così si esprimeva sui punti di nostro interesse:
La Corte d’appello ha rilevato in facto che il contratto di assicurazione prevedeva, all’art. 17, una clausola in virtù della quale le parti si obbligavano, in caso di sinistro, a concordare bonariamente l’entità dell’indennizzo, ovvero a demandarne l’accertamento, “a richiesta di una di esse”, a periti da loro nominati. In quest’ultima ipotesi, la clausola in esame precisava che ai periti sarebbe stato demandato l’accertamento:
- delle circostanze e modalità del sinistro;
- dell’esattezza della descrizione del rischio, e della sussistenza di eventuali casi di aggravamento di esso;
- della misura dell’indennizzo.
Dopo avere rilevato ciò in facto, la Corte d’appello ha qualificato la clausola in esame come “perizia contrattuale”, ed ha ritenuto che la pattuizione di una clausola di questo tipo, comportando la “rinuncia alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal contratto”, implica “la temporanea improponibilità di tutte le azioni riconducibili alla pretesa controversia, ancorché accessorie, e senza possibilità di distinguere l’an dal quantum”.
Così decidendo, la Corte d’appello ha male applicato le regole da tempo stabilite da questa Corte, circa gli effetti delle clausole che prevedano una c.d. “perizia contrattuale”.
Da oltre quarant’anni (per l’esattezza, a partire da Sez. 1, Sentenza n. 4840 del 25/10/1978, Rv. 394538), questa Corte viene ripetendo che il patto contenuto nel contratto di assicurazione, in virtù del quale le parti demandino a terzi la composizione di eventuali contrasti, può essere di due tipi.
Ove le parti demandino a terzi la soluzione di questioni prettamente giuridiche (come l’interpretazione del contratto, l’accertamento della sua validità, la valutazione della sua efficacia), tale patto va qualificato come arbitrato, salvo valutare caso per caso se le parti abbiano inteso stipulare un arbitrato libero o rituale.
Ove, invece, le parti abbiano inteso demandare a terzi il mero accertamento e rilievo di dati tecnici (esistenza del danno, valore delle cose danneggiate, stima dell’indennizzo), tale patto va qualificato come “perizia contrattuale”.
Con la previsione dell’arbitrato le parti demandano ai periti un atto di volizione; con la previsione della perizia contrattuale le parti demandano ai periti una dichiarazione di scienza (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 10705 del 10/05/2007, Rv. 596994; Sez. 1, Sentenza n. 13436 del 22/06/2005, Rv. 583780; Sez. 3, Sentenza n. 9996 del 24/05/2004, Rv. 573091).
Da questa distinzione di tipo sostanziale discendono varie conseguenze di tipo processuale. Tra le altre, la seguente: che la pattuizione d’una perizia contrattuale non impedisce alle parti di ricorrere al giudice per la risoluzione delle controversie che involgono la soluzione di questioni giuridiche: per la semplice ragione che tali controversie sono state escluse da quelle demandate ai periti. Se cosi non fosse, le parti del contratto verrebbero a trovarsi in una autentica aporia zenoniana: ai periti non potrebbero rivolgersi perché la lite esula dai loro poteri, ed al giudice non potrebbero rivolgersi sinché non abbiano interpellato i periti.
I principi che precedono sono stati ripetutamente affermati da questa Corte: si è già stabilito, tra l’altro, che la previsione d’una perizia contrattuale avente ad oggetto la stima del danno non impedisce alle parti di investire il giudice delle questioni concernenti.
È ovvio, quindi, che nei casi di interesse medico legale relativamente a polizze private, non ci si troverà di fronte a forme di “arbitrato irrituale” regolate dall’art. 808 ter CPC, ma ad una perizia contrattuale in quanto, come dice la Suprema Corte, il motivo del contendere non è connesso a questioni meramente giuridiche ma al mero accertamento e rilievo di dati tecnici (esistenza del danno, valore delle cose danneggiate etc.).
È chiaro che ci troviamo di fronte ad una condizione diversa da quella che ci era sempre stata prospettata.
Si pensi, solo per fare qualche esempio a delle domande che ci potremmo porre: quali sono i casi di nullità? C’è l’obbligo, dunque, di quesiti specifici? La relazione non è più quindi un lodo arbitrale? Qual è il vincolo di mandato? Se il mandato è la risoluzione della controversia questa deve essere obbligatoriamente risolta pena il non recepimento dell’onorario?
E così via tenendo conto che i dubbi potrebbero essere presumibilmente molti di più e che questi meriterebbero un approfondimento giuridico tematico su un argomento che si pensa risulti nuovo ai più anche perché, secondo il giudizio della Cassazione, facevamo una cosa che pensavamo fosse un’altra.
E scusate se è poco.
VUOI APPROFONDIRE QUESTO ARGOMENTO?
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