Abstract
È sempre complesso, per il medico, capire per quale motivo una sentenza di assoluzione in ambito penale non comporti come conseguenza immediata l’esonero dal dover risarcire civilmente il danno conseguente al medesimo evento. Il passaggio da un sistema all’altro trova una specifica regola “del gioco” richiamata dalla recente sentenza della Corte di Cassazione Civile III sezione n.26811/2022 del 12 settembre 2022. In questa narrazione si è tentato di ricostruire la cornice ed il contenuto della sentenza, secondo uno schema di lettura più agevole (ma non lo è stato, lo garantiamo), richiamando e citando comunque il testo scritto dagli Ermellini, con qualche richiamo alla teoria della relatività. Un articolo di Davide Santovito e Saverio Gerace.
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Il caso
Dei medici ospedalieri furono imputati di omicidio colposo per non essere intervenuti con un trattamento ventilatorio invasivo su un paziente in preda ad una crisi respiratoria, affetto da BPCO, obesità marcata, ipertensione ed esiti di infarto.
Nel procedimento penale, in esito al dibattimento, il tribunale assolveva i medici ai sensi dell’articolo 530 c.p.p perché “il fatto non sussiste” (art. 530 c.p.p. – Sentenza di Assoluzione. 1. Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo. 2. Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile. 3. Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del comma 1. 4. Con la sentenza di assoluzione il giudice applica, nei casi previsti dalla legge, le misure di sicurezza.). Nel procedimento si costituì parte civile il coniuge superstite. L’assoluzione avvenne in quanto, con ragionamento controfattuale, il giudice penale non ritrovò efficienza causale nelle condotte omissive dei medici intervenuti rispetto all’evento morte del paziente.
La sentenza divenne irrevocabile anche in quanto il coniuge superstite non la impugnò nei tempi di rito.
Con un successivo ricorso davanti al tribunale civile, il coniuge superstite mosse richiesta di risarcimento del danno da perdita parentale nei confronti dell’azienda AUSL presso cui lavoravano i medici coinvolti ed imputati, e poi assolti, nel processo penale.
Il procedimento civile proseguì avanti alla Corte di Appello competente per territorio che, in riforma alla sentenza di primo grado, accertava la responsabilità civile per il decesso del paziente e condannava la AUSL al risarcimento dei danni patiti dal coniuge superstite. La Corte territoriale, a fondamento della decisione, osservava che:
- L’effetto preclusivo del giudicato penale si traduce nel giudizio civile nella coincidenza delle parti dei due giudizi, sotto il profilo soggettivo, mentre sotto il profilo oggettivo gli elementi costitutivi dell’illecito (colpa e nesso causale) vanno diversamente intesi in ambito civile, operando la regola del “più probabile che non”.
- Il giudice civile investito della domanda di risarcimento del danno da reato può utilizzare le prove raccolte in un giudizio penale con sentenza passata in giudicato, ma poi può pervenire all’affermazione delle civili responsabilità o ad un riparto delle responsabilità diverso da quello stabilito dal giudice penale.
- Il tribunale (giudizio di primo grado) aveva erroneamente applicato l’articolo 652 c.p.p (art. 652 c.p.p – Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno. 1. La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2. 2. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell’articolo 442, se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.) e di conseguenza l’articolo 1306 c.c. (art. 1306 c.c. – Sentenza. 1 La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. 2 Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.), potendo l’attore (il coniuge superstite) agire in sede civile contro l’AUSL, non solo perché l’AUSL non era presente nel processo penale, ma anche perché vi è una diversa valutazione giuridica civile in ordine al nesso di causalità tra azione e danno.
- Sussisteva la responsabilità dell’AUSL convenuta.
L’AUSL ricorreva per Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato a ritenere applicabile l’articolo 652 c.p.p e che fosse applicabile il già citato articolo 1306 c.c. in ragione del vincolo solidale esistente ai sensi dell’articolo 2055 c.c. (art. 2055 c.c. – Responsabilità solidale. 1 Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. 2 Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate.3 Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali) tra struttura ospedaliera e medici dei quali la stessa struttura si avvaleva. Pertanto l’AUSL sosteneva di poter trarre vantaggio dal giudicato penale di assoluzione e, quindi, di rigettare la domanda risarcitoria proposta.
La terza sezione civile della Corte di Cassazione, riesaminando le questioni di diritto nel caso specifico, accoglieva il ricorso e cassava la sentenza impugnata e, non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigettava la domanda risarcitoria avanzata dal coniuge superstite.
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I motivi della decisione
La sentenza si articola in 22 pagine, attraverso le quali gli Ermellini individuano come i due sistemi di riferimento, quello penale e quello civile, possano e trovano limiti nel traslarsi dall’uno all’altro.
Il primo punto è rappresentato dal fatto che il nostro ordinamento non è ispirato al principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile. Un po’ come la relatività i cui concetti fisici furono inizialmente dettati da Galileo, e successivamente, da Lorentz e da Einstein, muoversi dal sistema penale al sistema civile richiede l’applicazione di alcuni concetti base e di formule di diritto. Infatti, il legislatore ha instaurato, come recita la sentenza, un sistema di completa autonomia e separazione tra i due giudizi, salvo limitate eccezioni rappresentate appunto dall’articolo 652 c.p.p.
Per mezzo di tale punto di riferimento codicistico, l’efficacia di giudicato della sentenza penale di assoluzione trasla nel giudizio civile o amministrativo di danno, se il danneggiato dal reato si sia costituito parte civile o sia stato posto in condizioni di farlo, sempre che non abbia esercitato l’azione in sede civile così come regolamentato dall’articolo 75 comma 2 c.p.p. (art 75 c.p.p. – Rapporti tra azione civile e azione penale. 1. L’azione civile proposta davanti al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. L’esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio; il giudice penale provvede anche sulle spese del procedimento civile. 2. L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile. 3. Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.).
Vi è quindi una regola codicistica che consente alla parte danneggiata di esercitare l’azione civile in sede penale, volta alla restituzione o al risarcimento del danno. Come tale, la scelta e le sue conseguenze ricadono sulla parte civile.
Questa traslazione tra i due rami del diritto, in cui il giudicato penale ha efficacia nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento, è consentita solo se:
- La sentenza penale è irrevocabile di assoluzione.
- Per essere rimasto accertato che (delle tre ne basta uno solo):
- il fatto non sussiste;
- l’imputato non lo ha commesso;
- il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.
- La sentenza è pronunciata in seguito a dibattimento.
- Nel giudizio vi è stata la partecipazione del danneggiato come parte civile, o questo sia stato messo in condizione di parteciparvi.
Gli Ermellini, però, specificano che per avere validità quanto sopra specificato, il giudicato di assoluzione deve contenere un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato.
La sentenza specifica che per fatto, accertato dal giudice penale, si intende il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo configurato dalla:
- Condotta.
- Evento.
- Nesso di causalità materiale tra l’una e il fatto principale e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso.
Solo in tali circostanze di accertamento “giudico-penale” al giudice civile è precluso di procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio, per quanto possa indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale. Ciò che conta per il giudice civile è inoltre il riesame dei fatti accertati nel giudizio penale quando il titolo della responsabilità civile sia diverso da quello della responsabilità penale, che attiene alla qualificazione giuridica, ma non può porre in discussione la “materialità fenomenica” dell’accertamento del giudice penale, che ricade sull’accadimento reale che integra il nucleo oggettivo del reato.
La sentenza specifica che vi sono quindi tre condizioni perché la sentenza penale di assoluzione possa spiegare effetto di giudicato nel giudizio civile di danno quanto all’accertamento che “il fatto non sussiste”:
- la sentenza penale sia stata pronunciata in esito al dibattimento;
- che il danneggiato si sia costituito parte civile o sia stato messo in condizioni di farlo;
- che in sede civile la domanda di risarcimento del danno sia stata proposta dalla vittima nei confronti dell’imputato ovvero di altro soggetto che abbia comunque partecipato al giudizio penale nella veste di responsabile civile.
La previsione dell’art. 652 c.p.p., specifica la sentenza, è differente da quella dell’art. 622 c.p.p. (art. 622 c.p.p. – Annullamento della sentenza ai soli effetti civili. Fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.) ove, in questo ultimo caso, la sentenza di assoluzione dell’imputato, annullata su ricorso della parte civile, pur restando ferma agli effetti penali, determina la separazione del rapporto penale da quello civile, sul quale non ha effetti il giudicato penale. Ne consegue che la traslatio del giudizio sulla domanda civile, rimessa ai soli fini di ristoro del danno, applica le regole processuali e probatorie proprie del processo civile (criterio causale del “più probabile che non”), anche a prescindere dalle contrarie indicazioni eventualmente contenute nella sentenza penale. Nuovamente sovviene alla mente la relatività e le sue formule.
Il sistema di riferimento, tanto caro alla relatività, è quindi duplice: quello penale e quello civile, ove il fatto, inteso come nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica, può muoversi da un sistema ad un altro a seconda che l’osservatore (termine caro alla relatività), meglio identificabile come la parte civile, scelga come equazione della propria richiesta risarcitoria nel processo penale l’art. 652 c.p.p oppure l’art. 622 c.p.p. o l’art 75, comma 2, c.p.p. Ne discende che gli effetti “relativistici” della scelta ricadono su chi ha operato quella scelta, ossia sulla parte civile.
Nel caso che qui si discute, la Corte di Cassazione ha rilevato dagli atti che il coniuge superstite ha invocato, in sede civile, non profili di addebito inerenti all’organizzazione o alla struttura della AUSL convenuta, ma all’attività medico-chirurgica del personale medico ausiliario della struttura sanitaria.
Tale profilo, secondo la Corte, identifica sempre una fattispecie di responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1228 c.c. (art. 1228 c.c. – Responsabilità per fatto degli ausiliari. Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.), fondata su fatti dolosi o colposi degli ausiliari, soggetti terzi che il debitore utilizza nell’adempimento della propria obbligazione. Ne discende che l’accertamento dell’illecito colpevole dell’autore immediato del fatto, se ha esito negativo, non consente di ravvisare alcuna responsabilità contrattuale dell’ente debitore nei confronti del paziente. In altre parole, se non è sollevata una responsabilità strutturale o organizzativa della struttura ospedaliera, ma solo quella del personale medico, là dove non vi è illecito colpevole dell’ausiliario non può esservi responsabilità della struttura.
Posto che il nesso causale tra il danno lamentato e l’azione o l’omissione dei sanitari è tema di prova che deve essere soddisfatto dal creditore-danneggiato, là dove tale nesso non è provato, nulla può essere richiesto dall’attore.
Nella vicenda giudiziaria che qui si tratta, la Corte specifica ancora un altro passaggio logico: sia la struttura sanitaria che il personale medico rispondono in solido nei confronti del danneggiato, in ragione dell’insorgere dell’obbligazione risarcitoria per l’unicità dell’evento dannoso imputabile a più soggetti.
Tali vincoli richiamano l’art. 1306 c.c., che stabilisce: “1 – La sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. 2- Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi puo’ opporre a ciascuno di essi.”. A tal fine occorre che il giudizio si sia svolto tra il creditore ed uno dei condebitori, posto però che gli altri condebitori solidali non abbiano partecipato al giudizio, la sentenza non sia fondata su ragioni personali del condebitore e che gli altri condebitori abbiano tempestivamente sollevato la relativa eccezione.
Nel caso di specie, la AUSL ha richiamato il secondo comma del presente articolo, la cui operatività soggiace a tutte le richiamate condizioni.
La Suprema Corte, quindi, sulla base del riconoscimento del secondo comma dell’art. 1306 c.c., identificando il rapporto contrattuale tra attore e convenuto ai sensi dell’art. 1228 c.c., riconoscendo l’operatività dell’art.652 c.p.p ha enunciato il seguente principio di diritto:
“Nella controversia civile di responsabilità sanitaria, promossa dal danneggiato al fine di ottenere la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni, a titolo di responsabilità contrattuale esclusivamente fondata sull’art. 1228 c.c. per il fatto colposo dei medici dei quali si sia avvalsa nell’adempimento della propria obbligazione di cura, la sentenza – pronunciata all’esito di dibattimento nel processo penale al quale abbia partecipato (o sia stata messo in condizione di parteciparvi) soltanto il danneggiato come parte civile e divenuta irrevocabile – che abbia assolto i medici con la formula “perché il fatto non sussiste”, in forza di accertamento effettivo sulla insussistenza del nesso causale tra la condotta degli stessi sanitari e l’evento iatrogeno in danno del paziente in relazione ai medesimi fatti oggetto del giudizio civile di danno, esplica, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., piena efficacia di giudicato ostativo di un diverso accertamento di quegli stessi fatti ed è opponibile, ai sensi dell’art. 1306, secondo comma, c.c., dalla convenuta struttura sanitaria, debitrice solidale con i medici assolti in sede penale, all’attore danneggiato, ove l’eccezione sia stata tempestivamente sollevata in primo grado e successivamente coltivata”.
In consonanza con la funzione nomofilattica affidata alla Corte di legittimità, la Suprema Corte di Cassazione ha fissato quella trasformazione di Lorentz attraverso la quale un giudicato penale sortisce effetti anche nel processo civile, così come Lorentz nel 1904 propose un gruppo di equazioni per tradurre le coordinate tra sistemi separati da una velocità costante, cui poi si riferì Einstein nella sua teoria sulla relatività.
Qui sotto potete leggere la sentenza in forma completa
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