Abstract
Johann Sebastian Bach e George Friederic Handel, due tra i più grandi protagonisti della musica di tutti i tempi, accomunati da uno straordinario genio creativo ed esecutivo, nati entrambi in Germania nel medesimo anno, il 1685, condivisero pure il triste destino del progressivo spegnimento della vista che li condusse alla cecità. Ma c’è di più. I due compositori che, sebbene contemporanei, mai ebbero la possibilità di incontrarsi, furono gli sventurati pazienti del medesimo medico oculista, il dott. John “chevalier” Taylor (1703-1772).
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Ma chi era costui?
Formatosi in una prestigiosa scuola medica inglese, John Taylor, fu uno dei primi a dedicarsi esclusivamente alla chirurgia oculistica e fu il primo a descrivere il cheratocono e a prospettare la correzione chirurgica dello strabismo. Egli trasferì le sue conoscenze in diverse pubblicazioni il cui valore scientifico fu riconosciuto anche fuori dai confini inglesi. Taylor divenne a tale punto famoso che potè iniziare una carriera di chirurgo itinerante attraverso l’Europa, la Russia e fino alla Persia, alternando la cura di pazienti di straordinario lignaggio a letture presso le più prestigiose istituzioni scientifiche.
Ma, incredibilmente, accanto ai fasti di una sfavillante carriera, dalle cronache del tempo emergono racconti inquietanti che descrivono un medico avido e dai bizzarri comportamenti, quel che in buona sostanza oggi definiremmo un vero ciarlatano: Taylor prestava la sua opera solo dietro sontuose parcelle e, nel suo itinerare, pubblicizzava il suo arrivo in ogni città con manifesti e volantini. La sua carrozza era decorata con dipinti di bulbi oculari ed il motto “qui dat videre dat viver” (colui che dà la vista dà la vita). Esercitava la sua attività nel modo più chiassoso, attirando le folle nelle piazze della città e poi andandosene prima che i pazienti avessero il tempo di togliersi le bende!
E neppure mancò di celebrare le sue avventurose imprese in una autobiografia nella quale così “celebra” due fra suoi più illustri pazienti, appunto Bach e Handel: “…I have seen a vast variety of singular animals, such dromedaries, camels &c and particularly at Leipsick, where a celebrated master of music, who had already arrived to his 88th year, he received his sight by my hands; it is with this very man that famous Handel was first educated, and with whom I one thought to have had the same success, having all circumstances in his favour, motions of the pupil, light &c but upon drawing the curtain, we find the bottom defective, from a paralytic disorder… ”.
In altre parole un gran cumulo di fandonie: Bach, certamente il “master of music” al quale Taylor si riferisce, non aveva raggiunto gli 88 anni (morì infatti a 65 anni), come detto Bach e Handel mai si incontrarono e, soprattutto, nessuno dei due ricevette alcun beneficio dalle cure del dott. Taylor!
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Ma cerchiamo di capire cosa accadde davvero
È certo che la vista di Bach si era molto deteriorata nell’ultimo periodo della sua vita, tanto che le autorità della chiesa di St. Thomas, ove egli ricopriva il ruolo di Maestro di Capella dal 1723, tennero un colloquio a Gottlob Harrer per succedere a Bach nel caso della sua improvvisa dipartita.
A quel tempo Bach stava lavorando all’Arte della Fuga, ma non cominciò mai l’ultima della programmata serie di venti e interruppe il suo lavoro a metà della diaciannovesima.
Esasperato dalla grave condizione della sua vista, anche Bach cadde nella rete del grande affabulatore di folle e si convince a farsi operare in occasione dell’arrivo di Taylor nella città di Lipsia nella primavera del 1750. La prima operazione avvenne tra il 28 ed il 31 marzo 1750; dopo un transitorio miglioramento, la vista del compositore peggiorò nuovamente e fu necessario un secondo intervento, eseguito fra il 5 ed il 7 aprile.
Molto probabilmente Taylor praticò a Bach il couching, la prima procedura chirurgica per la cataratta alla quale Taylor aveva dedicato ben nove pagine nel suo libro “Cataratc and Glaucoma” del 1736. In questa operazione egli eseguiva una piccola incisione vicina al limbo. Con un ago apriva la capsula posteriore e dislocava il cristallino inferiormente.
L’intervento dovette essere ripetuto ad una settimana di distanza dalla prima esecuzione, probabilmente per la dislocazione anteriore della lente del cristallino e, verosimilmente con conseguente blocco pupillare e glaucoma. A questi interventi, già di per loro gravati da un elevato rischio di insuccesso, seguivano trattamenti post-operatori a dir poco inquietanti: l’approccio generale di Taylor includeva salassi, lassativi, applicazione locale di medicamenti a base di sangue di piccione, zucchero polverizzato, baked salt, Balsamo Peruviano, polpa di cassia e via dicendo. Dopo l’intervento il paziente doveva mantenere, per diversi giorni, un bendaggio nel quale era inserita una mela cotta o una moneta. Nei casi di grave infiammazione Taylor prescriveva ampie dosi di mercurio che peraltro già utilizzava, verosimilmente come antisettico, durante l’intervento.
Non è noto se Taylor operò uno o entrambi gli occhi di Bach ma, tenuto conto che gli era destrimane, la sua prassi prevedeva di operare sempre l’occhio destro, e questo anche se l’occhio destro era quello sano!
Vero che a quel tempo i medici non avevano alcun concetto relativo all’asepsi, i soli anestetici erano l’alcool e gli oppiacei e gli interventi erano eseguiti con i pazienti seduti su una sedia, tenacemente immobilizzati da un assistente. Per parte loro, i pazienti avevano ben poche aspettative. Semplicemente sapevano che se si fossero messi nelle mani di un chirurgo oculista forse avrebbero avuto una qualche chance rispetto al non fare nulla.
In realtà le condotte di Taylor, in specie la sua prassi di operare sempre l’occhio destro e l’applicazione dei bendaggi, furono oggetto di critica già da parte di alcuni chirurghi del tempo ma a Taylor poco importava, considerando che di norma il paziente rimuoveva il bendaggio solo 5-6 giorni dopo l’intervento quando Taylor era già partito per un’altra destinazione.
È poi da considerare che Bach fu operato da Taylor nel periodo in cui iniziava a diffondersi la moderna chirurgia della cataratta, codificata da Jacques Daviel nel 1756, praticata mediante l’estrazione del cristallino, con progressivo abbandono del couching che fu però praticato ancora per circa un secolo e che ancora oggi è in uso in alcune parti dell’Asia e dell’Africa.
Nei fatti, dopo le “prestazioni” del dott. Taylor, Bach risultò cieco e morì solo 4 mesi più tardi. Non si dispone di elementi documentali che consentano di stabilire con certezza quale fu la causa della morte del compositore – tante sono state le ipotesi formulate nei secoli! – ma, al di là della prova, è difficile pensare che gli interventi e le procedure messe in atto da Taylor siano state estranee all’exitus.
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Cosa accadde veramente a George Frideric Handel
La storia clinica di Handel fu molto più lunga di quella di Bach perché la sua vista cominciò a peggiorare a partire dal 1751. Nel mese di febbraio di quell’anno fu costretto a sospendere la composizione dell’oratorio Jephtha, annotando sulla partitura di essere incapace di proseguire a causa dell’«indebolimento» della vista all’occhio sinistro.
Nella primavera successiva si fece visitare dal dott. Samuel Sharp, della medesima scuola di Taylor, il quale gli diagnosticò un’«incipiente gutta serena», cioè a dire, in termini attuali, un principio di cecità di origine ignota, escludendo la presenza di cataratta.
Handel riuscì comunque a riprendere l’attività e a completare il Jephtha, ma, con la vista ormai quasi completamente perduta all’occhio sinistro e gravemente declinante a quello destro, decise di rivolgersi al dott. William Bromfield, allora chirurgo della Principessa Vedova del Galles, che lo sottopose ad un primo intervento chirurgico di couching nel novembre del 1752.
Handel parve aver recuperato un po’ della sua vista ma le cronache del tempo lo descrissero cieco già all’inizio del 1753. Tuttavia in quel tempo egli fu comunque in grado di scrive, dirigere e suonare l’organo e, per quanto non compose nuove opere, fu in grado di rivedere alcuni vecchi lavori.
Handel soffriva terribilmente per la riduzione della vista che definì “… peggio della miseria, della vecchiaia o delle catene…” e ben si comprende perché non esitò a farsi operare più volte e probabilmente l’ultima per mano di Taylor.
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La leggenda della morte del dott. Taylor
In proposito è dimostrato che Taylor e Handel nell’agosto del 1758 soggiornarono entrambi a Turnbridge Wells. È in quella cittadina che si colloca la scrittura di un terribile poema, datato 15 agosto 1758, poi pubblicato sul London Chronicle del 24 agosto 1758, nel quale Taylor stesso celebra la sua straordinaria capacità nel restituire la vista a Handel. Nel poema Euterpe chiama Apollo ed Esculapio per aiutare il cieco Handel ma Apollo risponde che Esculapio non è necessario perché lo farà il dott. Taylor (!). Il poema ed il richiamo all’episodio contenuto nell’autobiografia di Taylor rappresentano la sola documentazione che supporti l’ipotesi che Handel sia stato “curato” da Taylor.
In ogni caso anche Handel, così come Bach, non riacquistò mai la vista e anch’egli morì solo alcuni mesi più tardi, nell’aprile del 1759.
Anche in questo caso mancano elementi certi per attribuire una chiara responsabilità al dott Taylor nel tragico destino di Handel e neppure il mero “criterio cronologico” può soccorrere in tal senso. Certo è che la fama del dott. Taylor lascia pochi dubbi sul fatto che, se davvero egli ebbe a metter mano sugli occhi di Handel, questo non fu con beneficio!
La leggenda narra che il dott. Taylor morì nel 1772, ovviamente cieco!
Beh Alleluja.
Ricordatevi, però, di alzarvi in piedi quando ascoltate l’Halleluja tratto dall’oratorio “Messiah” di Handel come fece il Re d’Inghilterra d’allora, Giorgio II, quando vi assistette la prima volta. Da allora, in omaggio all’immortale composizione, quando viene eseguito in concerto, tutto il pubblico si alza.
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