Abstract
Interviene sulla questione CAO, che ha tenuto banco in questi ultimi giorni, il Prof. Umberto Genovese, Presidente del gruppo di studio SIMLA, GISDI (Gruppo Interdisciplinare per lo Studio del Danno Iatrogeno).
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«Allora, per la verità, mi sembra troppo bassa per un’alta lode, troppo scura per una chiara lode, e troppo piccola per una grande lode. Solo questo posso riconoscerle di buono, che se fosse diversa da com’è, non sarebbe bella, e che, essendo com’è, non mi piace»
William Shakespeare, Much Ado About Nothing, 1598 – 1599
Ecco l’intervento del Prof. Umberto Genovese.
Molto rumore per nulla o no?
Devo ammettere che la discussione innescata dal documento della CAO a firma del dott. Iandolo mi ha fatto pensare inizialmente al titolo di una commedia shakespeariana: “Molto rumore per nulla”. Non tanto per il “rumore”, anzi questo (inteso come momento di discussione/confronto) lo reputo sempre positivamente, considerandolo sinonimo di vitalità e reazione, ma per il “nulla” (da un punto di vista unicamente dottrinale, metodologico e culturale medico-legale) che ritenevo fosse in questo concretamente sostenuto e prospettato.
Probabilmente mi sbagliavo, non considerando che l’esternazione in discussione – forse – rappresentava soltanto la punta di un iceberg. Ed è noto sia che la parte immersa di questo – in effetti non visibile dalla superficie – abbia il volume maggiore, sia che l’iceberg, per sua natura, risulti una formazione che, una volta staccatasi dalla terraferma, si muova poi autonomamente nel mare.
In ragione di ciò e – soprattutto – in considerazione del mio ruolo di Presidente del GISDI, ritengo sia il caso ora di entrare nella discussione.
Il danno biologico è di competenza medico-legale
Il GISDI (Gruppo Interdisciplinare di Studio sul Danno Iatrogeno) è un gruppo della SIMLA che si fonda appunto su un approccio interdisciplinare alla responsabilità sanitaria, i cui membri del Direttivo e i cui Consiglieri risultano tutti Medici Chirurghi, Specialisti in Medicina Legale. Risulta, pertanto, scontato il suo naturale allinearsi alle considerazioni/posizioni espresse fino ad ora da tutti i Colleghi medico-legali intervenuti nel dibattito.
Non è, pertanto, mia intenzione soffermarmi su argomenti già affrontati da chi mi ha preceduto, per cui cercherò di limitare il mio intervento alla sfera delle attività riguardanti il Gruppo che presiedo. La valutazione della responsabilità professionale sanitaria è, notoriamente, costituita da due momenti fondamentali: l’esame ed il giudizio dello specifico atto sanitario e la stima delle sue eventuali conseguenze negative sul paziente.
Partendo da quest’ultimo punto, non posso che riferirmi a quanto già affermato dal Presidente del GISDAP, sottolineando che, a prescindere dai riferimenti normativi in essere, il danno alla persona sotto il versante biologico viene – ad oggi – valutato riferendosi all’integrità “funzionale” dell’uomo e non del singolo organo/apparato (scrivere il tre per cento significa – inevitabilmente – che tale valore numerico si riporta al cento per cento, inteso come valore complessivo/omnicomprensivo dell’uomo) e ciò presuppone una visione inevitabilmente riconducibile al sapere professionale medico-chirurgico (e – più specificatamente – a quello specialistico medico-legale).
Interesse dal “generale” al “particolare” nell’ambito della valutazione del danno all’apparato dentario
Ciò, ovviamente, non toglie che contributi specialistici ed extraprofessionali risultino più che utili per tale stima complessiva, se non addirittura indispensabili – ad esempio – per la valutazione delle spese di cura. Dato di fatto è che – in ogni caso e che piaccia o meno – il passaggio dal “particolare” al “generale” appartiene al fare medico-chirurgico e poco rileva se in diverse occasioni risultino in discussione minimi ed isolati danni, magari senza concrete ripercussioni sistemiche, in quanto deve sempre necessariamente essere garantita l’idoneità professionale del valutatore ad essere in grado di rapportare le parti all’intero.
Prospettare – anche se solo in taluni casi – scorciatoie o semplificazioni al riguardo rappresenterebbe implicitamente una insidia, quanto meno perché una eventuale impalcatura alternativa non potrebbe fare riferimento alla costanza fenomenologica sulla quale deve fondarsi una “regola”. Se tutto ciò vale sotto il versante biologico, ancor più si deve ritenere valido sotto il versante dell’eventuale stima di ripercussioni negative di natura lavorativa.
La valutazione della responsabilità professionale in ambito odontoiatrico
Venendo ora al primo punto, si deve prendere atto che la valutazione di un comportamento sanitario debba necessariamente fondarsi su competenze ed esperienze proprie della specifica disciplina in discussione. In tale senso la Legge Gelli-Bianco risulta chiara e non si intravedono – pertanto – criticità/contestazioni relativamente al fatto che un esercente una professione sanitaria diversa da quella medico-chirurgica debba esprimersi specificatamente sul comportamento di un suo “pari”.
Non sempre, però, i casi di responsabilità professionale nascono e si esauriscono all’interno dell’ambito di competenza di una unica professione sanitaria e ciò deve necessariamente richiedere una fattiva collaborazione collegiale interprofessionale (ed anche in tal senso deve essere interpretata la presenza della parola “interdisciplinare” contenuta nell’acronimo del nostro Gruppo). Certamente nell’ambito odontoiatrico non è così frequente la trasversalità di azioni e di conseguenze come per altre professioni sanitarie, ma anche in questo caso la particolarità di alcuni casi non può superare l’inquadramento generale di una “regola”, ancor più se questa assurge al valore di “norma”.
Ciò detto (e che consideravo scontato, da qui il mio iniziale pensiero: “molto rumore per nulla”), ritengo che sicuramente il documento della CAO, senz’altro mal posto e mal elaborato, rilevi – in fondo – le ambizioni di affermazione e di protagonismo di una professione. E ciò non mi sembra a priori censurabile. Anzi, ritengo che anche le altre professioni sanitarie dovrebbero avere simili ambizioni. Rilevo, invece, che – ad esempio – la professione medico-chirurgica abbia nel tempo subito passivamente erosioni del proprio fare: alcune senza dubbio accettabili ed inevitabili, altre – invece – sostenute la gran parte delle volte da motivazioni di natura economica, non in linea sia con la tutela dei propri componenti, sia della qualità delle prestazioni sanitarie conseguentemente offerte ai cittadini.
Interesse “particolare” o “generale” nell’ambito della valutazione della responsabilità professionale
Quanto si muove intorno a quest’ultimo punto ritengo che sia in realtà l’argomento più importante. Le ambizioni e le spinte propulsive di una professione della Sanità non possono fare a meno di rapportarsi a quest’ultima. Anche in questo caso, il “particolare” non deve prevalere sul “generale”. Ciò significa che, pur nella loro autonomia, le professioni sanitarie non possono fare a meno di confrontarsi con l’insieme (la Sanità) e le parti (le altre professioni). E neanche pare auspicabile l’essere “l’un contro l’altro armato” aspettando il Napoleone di turno quale arbitro dello scontro (rimanendo nel contesto del “Cinque Maggio” del Manzoni). Risultando, senza dubbio, più proficuo un tavolo di confronto e di intese tra le parti, che consideri quale presupposto fondamentale il prevalere dell’interesse dell’habitat condiviso e non quello esclusivo di una singola professione.
Questa prospettazione non è stata di sicuro agevolata dal documento CAO e non si poteva di certo aspettarsi che lo stesso non inducesse forti reazioni da parte della componente medico-legale della professione medico-chirurgica.
In buona sostanza, si deve prendere atto “che qualcosa è accaduto” e, continuerebbe il Montale, questo potrebbe rappresentare “forse un niente che è tutto”, mentre io mi auguro che sia un “niente” che consenta di comprendere l’indispensabilità di superare estremismi e rigidità, così da indurre ad intraprendere un fattivo percorso condiviso, che abbia alla base una lettura moderna sia della Sanità, sia del fenomeno responsabilità sanitaria e sia della tutela (comunque intesa) della salute dell’individuo.
Prof. Umberto Genovese (Presidente GISDI)
Ma, la questione non finisce certo qui. Perché gli odontoiatri, per lo meno quelli “forensi” o “legali”, insistono anche all’interno del mondo accademico medico-legale. Leggete qui cosa ne pensa il Prof. Emilio Nuzzolese, docente di Medicina Legale presso l’Università di Torino in una lettera da lui inviata a Odontoiatria 33 il 21 giugno scorso (CLICCA QUI PER LEGGERE).
E, ancora di più, leggete cosa ha scritto il Direttore di Odontoiatria33 il giornalista Norberto Maccagno che in un contesto più ampio cita anche le problematiche medico-legali (CLICCA QUI PER LEGGERE).
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Leggi anche: CAO. La posizione di SIMLA: parla il Presidente Introna.