Abstract
La Suprema Corte in una recente sentenza stabilisce che la coesistenza di danno da premorienza e quello di perdita di chance, solo eccezionalmente possono coesistere. L’Avvocato Antonio Serpetti di Querciara ci fornisce una sua lettura delle deduzioni assai complesse di questa decisione della Cassazione.
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I fatti di causa nella sentenza Corte di Cassazione n. 26851/2023 del 19/9/2023 (Presidente Travaglino, Relatore Porreca)
Parte ricorrente richiedeva un accertamento ai sensi dell’art. 696bis CPC, in quanto sosteneva che l’assistita aveva subito un danno stante la messa in opera di un errore diagnostico relativo ad un tumore della mammella per cui era stata eseguita una quadrantectomia con biopsia del linfonodo sentinella e successivo svuotamento ascellare. La biopsia aveva inquadrato la massa asportata in un CA duttale infiltrante G3 con recettori negativi. La paziente, nel corso degli anni successivi, andava incontro ad una disseminazione metastatica della malattia a livello polmonare e osseo con conseguente grave disabilità. Secondo i consulenti della paziente l’errore diagnostico si era concretato nella determinazione dell’assetto recettoriale eseguito in sede di accertamento anatomo-patologico ovvero i recettori erano presenti. La revisione del materiale biotico era stata eseguita nel 2010 mentre l’intervento era stato effettuato nel 2007. Stante il suddetto comportamento colposo non era stata quindi prescritta l’adeguata terapia ormonale al termine della chemioterapia quando ormai però la malattia era evoluta drammaticamente. Secondo i consulenti della paziente l’errore diagnostico aveva determinato la riduzione della probabilità di sopravvivenza di 10 anni. Veniva eseguita quindi la consulenza tecnica d’ufficio che concludeva sostanzialmente che la mancata esecuzione della terapia ormonale aveva sostanzialmente soltanto anticipato, più che determinato, la comparsa delle metastasi. Il perito (coadiuvato da uno specialista oncologo in qualità di ausiliario – sic) comunque aveva aggiunto che al momento della prima diagnosi, rilevatasi errata, si sarebbe comunque dovuto compiere un approfondimento citogenetico instaurando poi, eventualmente, una terapia a base di Trastuzumab che avrebbe consentito da un lato la riduzione della recidiva tumorale e dall’altro, anche se in minore misura, il rischio di decesso indipendentemente dalla instaurazione della terapia ormonale. Le conclusioni quindi del consulente tecnico erano che, più probabilmente che non, la combinata terapia ormonale con quella del Trastuzumab avrebbe potuto prevenire la recidiva e la progressione della patologia tumorale con stima del danno biologico di un 50% rispetto allo stato anteriore (così scrive la corte). L’azienda ospedaliera si era quindi costituita contestando queste conclusioni dal punto di vista tecnico sostenendo, di conseguenza, che si era trattato non tanto di un danno da perdita di chances quanto piuttosto della possibilità di prolungare l’intervallo libero da malattia beneficiando quindi di una migliore qualità della vita. Il tribunale aveva accolto la domanda di parte ricorrente osservando in particolare che l’errore diagnostico era stato dimostrato ed era del resto pacifico; che la mancata somministrazione dell’ormonoterapia e del Trastuzumab aveva condizionato comunque negativamente l’evoluzione della malattia neoplastica stante che, secondo la letteratura scientifica prodotta, la percentuale dei soggetti con una malattia tumorale nello stesso stadio, che si erano avvalsi della terapia che era stato omessa, era comunque superiore alla percentuale di pazienti che avrebbero presentato una recidiva nonostante la somministrazione del trattamento; oltre al danno biologico concludeva inoltre che andava parimenti riconosciuto il danno da perdita di chances che veniva liquidato equitativamente. La corte d’appello confermava la validità degli accertamenti tecnici eseguiti aggiungendo che era necessario personalizzare il danno biologico in considerazione dello sconvolgimento dell’esistenza della paziente già compromessa dalla scoperta della malattia a cui si associava anche una perdita di fiducia circa la possibilità di recuperare nel tempo le condizioni pregresse con mutamento definitivo integrale delle proprie condizioni di vita.
Le decisioni della Cassazione commentate dall’Avv. Serpetti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26851/2023 del 19/9/2023 (Presidente Travaglino, Relatore Porreca), offre risposta positiva al quesito se accanto al danno da premorienza – ovvero al danno per non aver avuto una vita che si sarebbe protratta più a lungo e per un tempo determinato – l’errore medico possa determinare anche il ristoro della perdita della chance di sopravvivere ancora più a lungo.
A seguito dell’errore medico, sostengono i Massimi Giudici, deve ritenersi risarcibile soltanto in via eccezionale l’ulteriore danno da perdita di chance per il malato di fronte al danno da perdita anticipata della vita.
Vi sono, tuttavia, alcune circostanze nelle quali, anche grazie alla prova scientifica acquisita, il giudice del merito può ritenere che, oltre al tempo determinato di vita anticipatamente perduta, esista la seria, concreta e apprezzabile possibilità il paziente sarebbe potuto sopravvivere ancora più a lungo. In tali casi, l’ulteriore voce di danno va risarcita secondo equità, al di là ed a prescindere dai parametri relativi al danno biologico ed a quello da premorienza, sia pur diminuiti percentualmente.
In tal caso, prosegue la decisione, sempre che e soltanto se tale possibilità non si risolva in una mera speranza, ovvero si collochi in una dimensione di assoluta incertezza eventistica, che non attinga la soglia di quella seria, concreta, apprezzabile possibilità (come lascerebbe intendere, in via di presunzione semplice, l’avvenuta morte, benché anticipata, del paziente), tale ulteriore e diversa voce di danno risulterà concretamente e limitatamente risarcibile, in via equitativa, al di là ed a prescindere dai parametri (sia pur diminuiti percentualmente) relativi al danno biologico e a quello da premorienza.
Quest’ultimo è un interessantissimo approdo che, tuttavia, non viene applicato al caso esaminato dalla Suprema Corte e relativo ad un errore diagnostico in una patologia tumorale, con contestazione di omissione terapeutica. Per il Collegio, infatti, non basta affermare che la chemioterapia non avrebbe consentito alcuna possibilità di guarigione, perché sarebbe stato poi necessario verificare e spiegare se tale scelta terapeutica avrebbe avuto, o meno, un’incidenza migliorativa, come contributo ad un maggiore intervallo libero da malattia, al fine di raffrontare la maggiore probabilità positiva rispetto all’uso delle terapie mancate.
In via generale, dunque, viene confermato il principio secondo il quale, quando sia certo che la condotta del medico abbia provocato la morte anticipata del paziente, la morte stessa diviene, di regola, evento assorbente di qualsiasi considerazione sulla risarcibilità di chance future, ma la Corte Suprema ammette un’eccezione alla suddetta regola.
Intanto, la Cassazione così riepiloga la disciplina del danno risarcibile sul punto:
- a) vivere in modo peggiore, sul piano dinamico-relazionale, la propria malattia negli ultimi tempi della propria vita a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, rappresenta un danno biologico differenziale;
- b) trascorrere quegli ultimi tempi della propria vita con l’acquisita consapevolezza delle conseguenze sulla ridotta durata della vita stessa a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno morale;
- c) perdere la possibilità, seria apprezzabile e concreta, ma incerta nell’an e nel quantum, di vivere più a lungo a causa di diagnosi e/o cure tardive da errore medico, costituisce un danno da perdita di chance; d) la perdita anticipata della vita a causa di un errore medico, è un danno risarcibile non per la vittima, ma per i suoi congiunti.
Ne consegue, pertanto, che:
- a) nel caso di perdita anticipata della vita (una vita che sarebbe comunque stata perduta per effetto della malattia) sarà risarcibile il danno biologico differenziale, sulla base del criterio causale del “più probabile che non”;
- b) il danno da perdita di chance di sopravvivenza sarà, invece, risarcito, equitativamente, una volta che, da un lato, vi sia incertezza sull’efficienza causale della condotta illecita quoad mortem, ma, al contempo, vi sia certezza eziologica che la condotta colpevole abbia cagionato la perdita della possibilità di vivere più a lungo;
- c) infine, il danno da perdita anticipata della vita ed il danno da perdita di chance di sopravvivenza, di regola, non saranno né sovrapponibili né congiuntamente risarcibili, pur potendo eccezionalmente costituire oggetto di separata ed autonoma valutazione qualora l’accertamento si sia concluso nel senso dell’esistenza di un danno derivato sia dalla perdita anticipata della vita, quanto dalla possibilità di vivere ancora più a lungo, qualora quest’ultima possibilità non sia quantificabile temporalmente, ma risulti seria, concreta e apprezzabile, e sempre che entrambi i danni siano riconducibili eziologicamente (secondo i criteri rispettivamente precisati) alla condotta colpevole dell’agente.
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