Abstract
In una recente ordinanza della Suprema Corte, ci si occupa della liquidazione della morte del feto considerando, se applicabili le determinazioni tabellari di Milano, ma anche tenendo conto, sia della non presenza esplicita in essa di valori per la fattispecie, sia di un parametro non determinato da una vera e propria relazione affettiva se non considerata come potenziale.
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In una recente ordinanza (la 22859 del 20 ottobre 2020) la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (Presidente Frasca, Relatore Positano) ha affrontato il tema della liquidazione del danno parentale dovuto alla morte del feto. Si trattava di un caso relato a responsabilità medica riconosciuta delle Corte d’Appello Territoriale (i Giudici di Primo Grado non avevano invece riconosciuto la responsabilità dei convenuti) che decideva di liquidare il danno agli aventi diritto in misura pari alla metà del minimo concesso dalle tabelle del Tribunale di Milano. Parte attrice contestava tale decisione per due essenziali motivi: da un lato perché, comunque, si sarebbe trattato di un legame familiare comunque riconosciuto dalle Tabelle milanesi, applicabile quindi, comunque, secondo il minimo previsto e, dall’altro, perché la Corte d’Appello non aveva tenuto conto che la gravidanza era stata ottenuta con estrema sofferenza in quanto intervenuta attraverso fecondazione artificiale. La Corte rigettava le richieste.
Innanzitutto, accoglieva il principio che esiste una differenza netta tra morte del feto e quella di un figlio in quanto la relazione affettiva con i famigliari da considerarsi solo “potenziale” e non effettiva peraltro non prevista dai valori tabellari milanesi che considera proprio l’intensità dei legami affettivi quale presupposto della variazione liquidativa. In più, le tabelle di liquidazione milanesi, non avendo efficacia normativa, rappresentano solo regole integratrici di principi di equità. Così, si esprime, in conclusione, la Suprema Corte: «in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione di esso, in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle solo quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’”id quod plerumque accidit“, dando adeguatamente conto in motivazione di tali circostanze e di come esse siano state considerate».
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