Abstract
In questa sentenza, la Cassazione ritorna ad esprimere il suo parere su concetti che parevano a tutti, ormai sorpassati. Si sta parlando degli aspetti “statico” e “dinamico” del danno biologico in un caso, peraltro, ove si può osservare che nella pratica medico-legale e forense, risultano evidenti le difficoltà e gli errori che possono mettersi in opera quando si affronta la problematica del danno nella persona anziana.
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È datata 19/9/2022 la sentenza della Cassazione Civile Sezione III (RG 27380 Presidente Spirito, relatore Rubino) che andiamo a proporvi.
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Il fatto
Un’anziana signora, all’epoca dei fatti 84enne, del tutto autonoma ed autosufficiente, veniva investita da un auto che procedeva in retromarcia mentre era intenta a “buttare” i sacchi della spazzatura. Il politrauma conseguito le procurava, come quadro lesivo iniziale, una frattura pluriframmentaria del collo e del trochite omerale sinistro, trauma cranico, contusione sopra orbitaria sinistra, distorsione del rachide cervico-dorsale, distorsione del ginocchio sinistro, contusioni multiple agli arti inferiori e ferita con perdita di sostanza a livello della gamba sinistra. Dopo ricoveri prolungatisi per ca. due mesi dal fatto, la vittima perdeva ogni possibilità di deambulare e di mantenere la stazione eretta fino a decedere per altre cause (nella sentenza non viene specificata in che data avvenne la morte. Tenete conto che i fatti sono del 2009 e la causa – sic! – è ancora in corso).
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Le due CTU
La CTU eseguita in primo grado aveva, abbastanza incredibilmente, delineato il danno biologico patito in una prolungata invalidità temporanea (498 giorni) con postumi permanenti pari al 12 % per quanto riguarda il danno biologico statico mentre lasciava al Giudice la quantificazione del danno biologico dinamico relativo alla perdita della possibilità di deambulare (?). Il Giudice richiedeva al CTU un’integrazione della sua valutazione nel senso di precisare compiutamente il “danno biologico” riportato. Quest’ultimo – riporto quanto letteralmente risulta dalla sentenza – “indicò che, sommando la perdita funzionale e la perdita della capacità di deambulare all’interno dell’unitario danno biologico, in ipotesi normali il danno biologico sarebbe stato pari all’85%, mentre, tenuto conto delle condizioni della R., il danno totale poteva collocarsi tra il 40 e il 30 %, e infine, per la vittima, esso poteva essere determinato nella misura del 30%”.
Il Giudice di prime cure, in ogni caso, rigettò integralmente le doglianze di parte attrice non ritenendo provato l’an.
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L’appello
I figli della vittima proposero appello e la Corte territoriale chiamata a decidere ritenne provata l’integrale responsabilità del guidatore dell’auto quantificando il danno biologico nella misura del 12%, valorizzando le conclusioni contenute nella prima relazione del CTU, precedente all’integrazione richiesta, aumentando l’importo da liquidarsi per questa valutazione di circa un terzo a titolo di personalizzazione, valorizzando all’interno di essa la perdita definitiva della capacità di deambulare.
Sempre i figli della vittima decisero di ricorrere in Cassazione ritenendo, quale motivo principale, incongrua la valutazione del danno accolto dalla Corte d’Appello per esprimere la quantificazione monetaria dello stesso in quanto non aveva tenuto conto della seconda valutazione del CTU.
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La sentenza della Cassazione
Gli ermellini, dopo aver premesso che il grado di invalidità permanente è di competenza del medico-legale, mentre la personalizzazione è di competenza del Giudice, criticavano fortemente la sentenza per la sua illogicità.
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Le critiche alla sentenza d’appello
Lasciamo la parola ai Giudici che esplicano in maniera molto chiara la loro posizione sul punto:
“Però, quando poi – la Corte d’Appello ndr – va a quantificare il danno, recupera e fa propria la prima valutazione del c.t.u., mostrando di condividere (forse inconsapevolmente, perché si tratta di una scelta non giustificata, e contraddittoria rispetto alle premesse, che inficia la coerenza della motivazione) gli esiti della valutazione iniziale del consulente, fondata su una nozione frammentata e di conseguenza errata del danno biologico, da liquidarsi a punto percentuale solo in riferimento al suo profilo statico, ovvero alla alterazione o menomazione fisica riportata dalla vittima del sinistro, senza considerare l’incidenza di essa sulla vita della persona e sulla sua capacità di attendere alle normali occupazioni, che rileverebbe solo in sede di personalizzazione del danno.”
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Le critiche alla CTU
Infatti, mentre nella integrazione di c.t.u. il consulente prendeva in considerazione il danno biologico complessivo stimandolo in una percentuale del 30% (con un ragionamento peraltro privo di motivazione laddove abbatteva al 30 % la percentuale finale, tenute in conto le non meglio precisate né esplicitate condizioni della signora, legate evidentemente all’età avanzata e alla sua preesistente condizione di salute), la corte va a recuperare, senza spiegarne la ragione, e limitandosi ad affermare che non può dare soddisfazione alle maggiori richieste degli appellanti, la errata e superata percentuale del 12 %, pari solo al profilo c.d. statico del danno biologico, dalla quale era stata espunta ogni conseguenza dinamica delle menomazioni riportate, e in particolare la perdita della capacità di deambulazione, pur accertata dal c.t.u., recuperando la rilevanza di questa componente del danno biologico riportato dalla vittima solo a mezzo di una personalizzazione in aumento, all’interno della liquidazione equitativa della componente di danno morale.
Solo all’interno di questa personalizzazione la corte d’appello tiene in conto, come precisato a pagina 12 della sentenza impugnata, l’incidenza della diminuita (perduta, in effetti) capacità di deambulazione, non come limitazione funzionale ma perché essa “comprensibilmente ha determinato dolore e sofferenze psicologiche rilevanti“.
Il tutto pur avendo affermato, a pagina 11, che deve procedersi ad una valutazione del danno non patrimoniale subito dalla defunta da intendersi “sia nella sua componente statica sia nella sua componente dinamica”.
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Gli errori della Corte d’Appello secondo gli ermellini
La Cassazione identifica poi i due errori commessi dalla Corte d’Appello ovvero:
- l’aver scisso la componente cosiddetta statica del danno alla persona dalla sua componente dinamico-relazionale, ritenendo che quest’ultima possa essere apprezzata solo sotto un profilo di personalizzazione del danno;
- l’aver identificato la liquidazione della componente del danno morale all’interno della più ampia categoria del danno non patrimoniale alla salute, con la personalizzazione del danno biologico.
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La Suprema Corte, in un successivo passaggio, denunciando, sia la scarsa motivazione della sentenza, sia la contraddittorietà delle consulenze medico-legali espletate, si allinea in modo assoluto anche ai concetti già espressi nella Consensus Conference SIMLA in tema di valutazione del danno nell’anziano. Afferma infatti:
(La sentenza ndr) “È poi del tutto immotivata, ed è stata operata discostandosi dagli esiti finali della c.t.u., in cui il medico legale, sollecitato dal giudice di prime cure, che aveva chiesto per questo una integrazione della c.t.u., al rispetto della nozione unitaria di danno biologico, e seppur con una consulenza poco decifrabile (in quanto, dopo aver indicato per casi analoghi – in cui cioè al sinistro aveva fatto seguito, come esito permanente, la perdita della capacità di deambulare – una invalidità dell’80%, scendeva senza giustificarne le ragioni al 30%) aveva, superando la prima versione contenente solo la valutazione medico legale della componente statica del danno, esaminato anche le ricadute della componente dinamica sullo svolgimento della vita della persona aumentando la percentuale originariamente stimata di invalidità permanente.”
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La nozione unitaria del danno biologico
Così facendo il giudice di appello non si è attenuto al principio di diritto fondamentale secondo il quale al danno biologico corrisponde una nozione unitaria, che tiene conto sia delle alterazioni nella fisiologia della persona riportate a seguito del sinistro sia delle conseguenze che queste alterazioni determinano nel compiere gli atti della vita quotidiana e quindi in particolar modo gli esiti di una frattura o come in questo caso di un trauma molto complesso, che comportano la perdita addirittura della capacità di stare in piedi e di camminare, devono essere valutate unitariamente e confluire nella quantificazione della percentuale di invalidità permanente, che si fonda su un apprezzamento medico degli esiti fisici permanenti e sulle conseguenti limitazioni nella vita della persona.
E, alla fine, stigmatizza in modo assoluto, la deduzione della Corte d’Appello che qualifica la perdita della capacità di deambulare come mero aspetto di personalizzazione “appiattendola all’interno della liquidazione del danno morale, ovvero prendendo in considerazione la diminuita (in effetti, cessata) capacità di deambulazione della signora a causa dell’incidente solo come fonte di dolore e sofferenze psicologiche rilevanti”.
Qui sotto potete leggere e scaricare la sentenza in forma completa.
Un rapido commento conclusivo
Innanzitutto, non si può non osservare quanta sia la responsabilità del medico-legale impegnato nella quantificazione del danno a persona. Senza voler essere troppo critico nei confronti del collega impegnato in un caso, comunque, sempre difficile da giudicare come quello che riguarda il soggetto in età avanzata, è palese che l’intero iter giuridico si è incagliato sulle risultanze di una consulenza che aveva aspetti contradditori evidenti (non lo dico io ma la Cassazione).
È altrettanto chiaro che nemmeno a livelli di alta giurisdizione (si sta parlando della Corte d’Appello della Capitale) si fatica a discettare su questioni in tema di danno non patrimoniale che sembrerebbero acquisite ed accertate da tempo sotto il profilo giurisprudenziale quale quella dell’unitarietà del danno non patrimoniale alla salute che pur frammentato nelle sue sottocategorie non può che essere, concettualmente, uno e uno soltanto.
Piace sottolineare, infine, come la Suprema Corte accolga in pieno le posizioni della medicina – legale italiana quando sostiene che essa “da decenni esprime una nozione unitaria dell’invalidità permanente”. Cosa vieppiù vera se si pensa alla Consensus Conference sul danno nella persona anziana promossa da SIMLA che, vi dico, in anteprima, sarà presto completata da un “position paper” espresso da una Commissione appositamente nominata dalla Società Scientifica.
PS: il danno biologico della povera Signora per il sottoscritto, sulla base di quanto si riesce a dedurre dalla sentenza, valeva almeno l’80 %. E, nemmeno troppo tra le righe, mi pare che anche i Supremi Giudici sarebbero d’accordo con me.
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Leggi anche: La Consensus Conference sul danno biologico nella persona anziana: cerchiamo di spiegare