Argomento dibattuto ma ancora confuso sia in ambito prettamente giuridico che a livello medico-legale, la tematica della perdita di chance di sopravvivenza, rimane ancora una fattispecie piuttosto oscura.
Soprattutto in sede medico-legale, questa viene spesso interpretata come una sorta di nipotino del “nesso causale” e non condizione risarcitoria autonoma e caratterizzata da specifiche proprie delineate in questi anni da alcune sentenze della Cassazione.
Il pronunciamento della III Sezione Civile della Suprema Corte che andiamo a esaminare (29313/2020 Presidente Travaglino – Relatore Porreca) rappresenta, benché nella usuale complessità dei concetti esposti, che sono già impervi per i giuristi, immaginiamoci per quelli che non lo sono, rappresenta però una specie di punto fermo delineando in modo preciso la differenza tra due condizioni che, solo apparentemente sono simili ma che in realtà differiscono in modo sostanziale identificando entità risarcitorie diverse. Stiamo parlando della perdita anticipata della vita e della perdita di chance.
Un glossario necessario
Prima di affrontare il caso e le deduzioni della Cassazione è bene precisare ai fini definitori e di glossario cosa si intenda per ciascuna delle due fattispecie sopra elencate:
- Per perdita anticipata della vita si deve intendere: una conclusione della vita, legata ad un’accertata malpractice sanitaria, che si sarebbe comunque verificata, a causa della malattia di base.
- Per perdita di chance invece i troviamo di fronte ad una concreta perdita, la Cassazione dice: “seria, apprezzabile e concreta possibilità eventistica”, delle possibilità di sopravvivere prodotta e, quindi, in relazione causale con l’operato sanitario identificato come colposo.
Il fatto
Il processo era legato ad un errore nella lettura di un esame istologico dopo un intervento di quadrantectomia per un carcinoma duttale infiltrante G3 che era stato refertato come negativo dal punto di vista recettoriale.
La malattia era proceduta in modo inesorabile con metastasi multiple che avevano costretto la paziente a gravi problematiche nella deambulazione che poteva avvenire solo con stampelle. Una revisione della lettura istologica decretò, a distanza di anni, che risultava, al contrario di quanto diagnosticato precedentemente, assolutamente positivo per i recettori e ciò avrebbe indotto alla somministrazione di terapia ormonale.
Erano passati tre anni dalla data alla quale avrebbe dovuto essere intrapresa cioè al momento in cui l’ammalata si trovava in stadio 2B e non, invece, in stadio 4 della malattia tumorale. E non solo della terapia ormonale il soggetto era stato privato, ma anche della somministrazione di Trastuzumab se uno screening genetico avesse determinato anche questa possibilità.
Tale corretta terapia avrebbe permesso di prevenire la recidive e la progressiva diffusione delle metastasi che, quanto a danno biologico, avrebbero determinato una invalidità del 50 %. Si spera di interpretare in modo corretto quanto deciso dai CTU immaginando che tale quota di invalidità sia quella attribuibile alla condizione di diffusione di malattia. Va detto che, la paziente poi decedeva a causa del patologia tumorale.
Il Tribunale aveva accolto questa tesi risarcendo il danno biologico come determinato aggiungendo, in forma di liquidazione equitativa, il danno da perdita di chance.
In sede di Appello, la Corte riconosceva sia la perdita di chance ovvero, per diretta ammissione in sede di sentenza, un danno da minore durata della vita personalizzando, infine, il danno biologico in termini di sconvolgimento esistenziale connesso all’avanzare della malattia.
La posizione della Suprema Corte.
Vi invitiamo a leggere le contestazioni di entrambe le parti che affrontano in modo estremamente specifico doglianze di vario tipo e che sono tipicamente legate ad argomenti di frequente discussione di questi casi: ad esempio sulla tipologia di dati epidemiologici su cui sono costruite le tesi dei Consulenti del Giudice (argomento importantissimo e di cui si è ancora assai poco dibattuto).
Concentriamoci però su quanto la sentenza cerca di dirci sull’inquadramento di questo tipo di contenziosi.
In primis la Corte precisa uno dei fondamenti del nesso causale ovvero la relazione eziologica tra fatto colposo e evento dannoso. Se questa non sussiste, ovviamente, nessun risarcimento può essere erogato. Se invece, anche concausalmente, si ponga in essere, il risarcimento è dovuto. Sottolineo il concausalmente perché è evidente che questo particolare, non piccolo, viene a volte ignorato sotto il profilo tecnico medico-legale.
Poi la Suprema Corte passa in esame le due fattispecie di cui si discuteva più sopra:
- Riguardo alla perdita anticipata della vita (così come più sopra inquadrata) questa deve essere accertata col criterio del più probabile che non e sarà risarcita, ovviamente, ai parenti.
- Sarà possibile riconoscere un ulteriore danno da perdita di chance, soltanto se sarà identificata “con certezza” che tale possibilità comunque seria, concreta ed apprezzabile di vivere meglio e più a lungo si sia verificata a seguito dell’errore medico adoprando per raggiungere tale certezza non generici dati epidemiologici ma personalizzando al massimo le deduzioni in merito allo specifico paziente di cui ci si sta occupando.
La casistica della Cassazione
Vengono poi elencate tutte le ipotesi di applicazione dei concetti espressi più sopra rispetto allo stato della vittima dando sempre per scontata la sussistenza di colpa professionale e di nesso causale tra questo e le diverse fattispecie risarcibili.
- La vittima è già deceduta al momento dell’introduzione del giudizio.
- È risarcibile ai parenti il danno biologico, la Corte dice “differenziale” determinato dagli effetti dinamico-relazionali dell’avanzare della malattia (peggiore qualità della vita effettivamente vissuta) e il danno morale (inteso come provata consapevolezza della anticipazione della propria morte). La Corte spiega, nella parte conclusiva della sentenza, che il lemma “differenziale” si riferisce, in termine di invalidità, alla differenza di condizioni che si sarebbero poste in essere solo a causa della malattia e quelle derivate dal peggioramento delle stesse conseguenti all’errore medico
- È altresì risarcibile equitativamente la perdita di chance relativa alla possibilità di vivere più a lungo.
- La vittima è ancora vivente al momento della liquidazione del danno
- Questa volta i danni saranno direttamente risarciti al paziente e sarà possibile il riconoscimento del danno da perdita di chance.
- Se sarà riconosciuto che l’evento colposo anticiperà la morte del paziente dovrà essere risarcito il danno biologico (anche qui dice la Cassazione “differenziale”) per la peggiore qualità della vita e un danno morale, definito in sentenza da futura morte ma solo se il paziente riesca a dimostrare la consapevolezza di questo evento.
- La vittima è vivente al momento dell’introduzione del giudizio ma è deceduta all’epoca del risarcimento del danno
- Se è certo che l’errore medica abbia causato la morte anticipata del paziente sarà risarcibile ai parenti il danno biologico e morale nello stesso modo di cui si è detto al punto 1
- Se è invece incerto che l’errore medico abbia causato la morte del paziente sarà risarcibile al paziente e trasmissibile agli eredi un danno da perdita di chance.
Danno da perdita anticipata della vita e danno da perdita di chance due entità “quasi” incompatibili
Dunque il danno da perdita anticipata della vita (una morte che si sarebbe comunque messa in opera a causa della patologia “naturale”), che dovrà essere connesso all’inadempienza sanitaria sulla base della criteriologia del più probabile che non, è quantificabile attraverso la liquidazione ai parenti del danno biologico “differenziale” e del danno morale subito dal malato. Tali danni, saranno però parametrati rispetto ad un intervallo temporale limitato al periodo di vita non vissuta calcolato tra i due estremi rappresentati dalla reale morte del paziente e quella che statisticamente sarebbe stata, invece, se l’errore medico non fosse stato commesso.
Il danno da perdita di chance sarà invece risarcito equitativamente al paziente con eventuale possibile trasmissione ereditaria ai familiari quando vi sia la certezza che il comportamento del sanitario possa aver determinato (incertezza eventistica) la perdita di possibilità di vivere più a lungo.
Solo in casi eccezionali i due danni potranno essere liquidati insieme e ciò si verificherebbe quando entrambi saranno, ovviamente, correlabili alla responsabilità del sanitario e la possibilità di vivere ancora più a lungo non sia quantificabile temporalmente.
La sentenza
Lasciamo al lettore, che potrà qui sotto leggere e scaricare la sentenza in modo completo, l’approfondimento conclusivo sullo specifico caso della Suprema Corte che viene comunque rinviato alla Corte d’Appello.
Qualche riflessione
Innanzitutto, pena qualche difetto interpretativo che ci addebitiamo in modo del tutto consapevole e che spero qualcuno magari rinvenga e ce lo faccia notare, crediamo di avervi fornito qualche elemento giurisprudenziale per orientarvi in modo più solido su problematiche del tutto comuni nella pratica peritale in tema di responsabilità sanitaria in modo da avere a diposizione materiale interpretativo rispetto a quesiti posti in sede di CTU che, probabilmente, sulla scorta di quanto riportato in questa sentenza, dovranno essere rimodulati con maggiore precisione.
L’impressione è che esista una sempre più insanabile distanza tra quanto la Cassazione sostiene sull’incertezza eventistica e il nostro procedere a tentoni in questa affascinante “selva oscura” di concetti giuridici che sembrano scolpiti nella roccia ma che noi, invece, all’esame dei singoli casi, siamo costretti a semplificare per fornire dati che possano avere un peso nella pratica forense nei termini di un preciso incasellamento decisionale quale quello che abbiamo precedentemente riportato.
È come se le nostre incertezze esplicitate in forme di dati che è difficilissimo individualizzare per ciascun caso fossero poi acquisiti dal mondo dei nostri committenti giudiziari per costruire intricati castelli che possiedono le caratteristiche di una granitica chart flow giuridica basata sulla valutazione dell’incertezza data per certa.
Per esempio, quanto sarebbe bello discutere sul valore e sulla classificazione dei dati di tipo statistico epidemiologico che forniamo.
Il ruolo della medicina legale nazionale
Questo scollamento è inevitabilmente connesso a nostre colpe che hanno radici lontane e vicine e che forse andrebbero esaminate attraverso una serena autocritica e con un dialogo sempre più intenso con la Magistratura e l’Avvocatura che potrebbero ascoltarci solo se la medicina legale italiana riuscisse a esprimersi attraverso una leadership che abbiamo progressivamente perduto nel corso degli anni.
Risalire la china è molto difficile ma prima di farlo in modo compiuto, e i tentativi ci sono eccome e lo vedrete presto, è necessario un approfondito dibattito che coinvolga la medicina legale a tutti i livelli in modo che si affrontino senza remore e dietrologismi, la nostra essenza attuale e quella prospettabile nel futuro per essere ancora una colonna portante, nell’ambito delle nostre competenze, non solo della quotidiana pratica forense ma del Diritto di questo Paese.